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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Robin in Stranger Things rappresenta uno dei momenti più intensi e formativi per Will, perché trasforma la vulnerabilità in una guida emotiva. In pochi minuti Robin mette a nudo la propria storia, raccontando la scoperta della sua identità e la paura di accettarsi davvero. È un passaggio fondamentale per lo sviluppo dei personaggi e per la costruzione del tema centrale dell’episodio: riconoscere sé stessi attraverso lo sguardo di chi ci capisce. Un monologo sincero, che diventa una chiave narrativa e umana.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Finale del film (con spoiler)
Credits e dove trovarlo
Minutaggio: 44:00.46:30 (Episodio 4)
Durata: 2 minuti 39 secondi
La storia si apre con un flashback del 1983, in cui Will viene catturato dal Demogorgone e consegnato a Vecna, che sembra avviare un piano a lungo termine. Nel 1987, Hawkins è ormai una città in quarantena dopo l’invasione del Sottosopra. I ragazzi, Mike, Dustin, Lucas e Will cercano di mantenere viva la memoria di Eddie e continuano la loro battaglia contro Vecna, mentre la città è presidiata dall’esercito. Undi (Eleven) si allena duramente con Hopper e Joyce, mentre varie squadre dei protagonisti tentano di coordinarsi tramite radio per localizzare Vecna, ormai introvabile da tempo. Durante una ricognizione militare nel Sottosopra, Hopper rimane isolato e Will percepisce attraverso una visione, come se fosse dentro la mente del Demogorgone, che una minaccia sta raggiungendo la casa di Mike e Nancy.
In quel preciso momento, infatti, Holly, la sorellina, viene attaccata dal Demogorgone nella sua stanza Holly riesce a fuggire inizialmente, ma viene comunque rapita e trascinata nel Sottosopra. Nancy e Mike scoprono che la bambina parlava di un misterioso “Signor Cosè”. Indagando e interrogando la loro madre Karen ferita, scoprono che il vero nome dell’entità è Henry. I pezzi si incastrano: Cosè è Vecna, che ha manipolato Holly prima del rapimento. Undi e Hopper si inoltrano nel Sottosopra per cercare la bambina. Nel frattempo, Will capisce che Vecna sta usando un legame mentale con lui e riesce a percepire ciò che Holly vede e sente, come se Vecna stesse sfruttando la sua connessione per comunicare o spiare attraverso i bambini presi di mira. Infine una visione rivela che Holly è nella “casa” di Henry, una versione illusoria e idilliaca creata da Vecna: non è l’unica, perché lui vuole radunare tutti i bambini che ha scelto come vittime...

Non è che ti ricordi di Tammy Thompson? In terza media credevo che avessi una grande voce, come Whitney Houston. La prima volta che l'ho vista, “Oh mio dio”... Davvero. Il tempo ha rallentato. Mi sono ritrovata in un film romantico sdolcinato, sai, capelli mossi dal vento e lei era perfetta, dannatamente perfetta e… lì mi sono resa conto che era quella giusta, che con Tammy avrei finalmente potuto essere me stessa, fino in fondo. C'era sempre stata una parte di me che mi spaventava, sai? Ma se Tammy mi avesse amata fino in fondo no? da allora non avrei più avuto paura. E poi è arrivato lui, Steve il ciuffo Harrington. Il resto te lo lascio immaginare. Tanny si è presa una gran cotta. E… la vita che avevo immaginato con lei insieme al resto della mia vita mi si è sgretolata sotto gli occhi. In pratica I miei voti sono crollati e per punizione pulivo casa tutti I weekend. Ma poi un giorno stavo pulendo una cacca di pipistrello in garage e ho trovato una… una pellicola super 8. Era solo un filmino che avevo girato alle elementari, ma l'ho montato sul proiettore e mi sono ritrovata a guardare la versione bambina di me stessa. E quella piccola me quasi non la riconoscevo. Era talmente spensierata e anche senza paura. Amava ogni parte di se stessa. Ed è lì che ho capito. Non era mai stata Tammy “la stonata” il punto. Ero sempre stata io il punto. Cercavo risposte negli altri, ma dentro di me c'erano già. Dovevo solo smetterla di avere tutta quella paura. Paura di chi ero davvero. Una volta fatto questo, oh… mi sono sentita libera. Come se potessi volare, sai, come se potessi finalmente essere Rockin Robin.
"Non è che ti ricordi di Tammy Thompson?": attacco leggero, tono quasi scherzoso per mascherare il peso di quello che sta per dire; pausa su “Tammy Thompson”; sguardo a Will per assicurarsi di averlo con sé, non accusatorio ma complice.
"In terza media credevo che avessi una grande voce, come Whitney Houston.": tono autoironico, accenna un sorriso su “Whitney Houston”; è un ricordo tenero, ma raccontato con la consapevolezza di oggi; piccola pausa dopo “voce”.
"La prima volta che l'ho vista, “Oh mio dio”... Davvero.": “Oh mio dio” va quasi sussurrato, come se lo rivivesse; pausa lunga sui puntini, poi “Davvero” come conferma, con un piccolo annuire, quasi a dire “era proprio così”.
"Il tempo ha rallentato.": frase breve, detta con tono più basso, quasi cinematografico; lo sguardo si sposta altrove, verso il ricordo, rallenta anche il ritmo del respiro.
“Mi sono ritrovata in un film romantico sdolcinato, sai, capelli mossi dal vento e lei era perfetta, dannatamente perfetta e…": aumenta leggermente il ritmo, si concede un po’ di auto-parodia sul “film romantico sdolcinato”; su “dannatamente perfetta” c’è più calore, ma senza esagerare; dopo la “e…” lascia una pausa sospesa, come se la frase le si spegnesse addosso.
"lì mi sono resa conto che era quella giusta, che con Tammy avrei finalmente potuto essere me stessa, fino in fondo.": tono più sincero, meno ironia; su “quella giusta” lo sguardo torna su Will, come a confessare il primo grande amore; “essere me stessa, fino in fondo” va detto con un filo di emozione, ma contenuta, come una verità che fa ancora un po’ male.
"C'era sempre stata una parte di me che mi spaventava, sai?": abbassa lo sguardo, la voce si fa più morbida; “mi spaventava” va leggermente sottolineato; il “sai?” è un gancio verso Will, cerca il suo riconoscimento implicito.
"Ma se Tammy mi avesse amata fino in fondo no? da allora non avrei più avuto paura.": qui entra un po’ di amarezza; “mi avesse amata fino in fondo” va detto con una lieve incrinatura nella voce; breve pausa dopo il “no?”; “non avrei più avuto paura” come una specie di illusione dichiarata, quasi un sospiro sul finale.
"E poi è arrivato lui, Steve il ciuffo Harrington.": cambio di energia, torna l’ironia; “Steve il ciuffo Harrington” va colorato con affetto e presa in giro insieme; breve sorriso, ma sotto c’è ancora il dispiacere.
"Il resto te lo lascio immaginare.": tono asciutto, lascia volutamente spazio al sottotesto; breve pausa prima di dirlo; sguardo a Will, come a dire “lo sai come va questa storia”.
“Tanny si è presa una gran cotta.": frase quasi buttata lì, ma con una piccola puntura emotiva; fa un mezzo sorriso amaro; non calcarsi troppo sulla “gran cotta”, più constatazione che sfogo.
"E… la vita che avevo immaginato con lei insieme al resto della mia vita mi si è sgretolata sotto gli occhi.": l’“E…” iniziale va esitato, come se cercasse il coraggio di ammetterlo; ritmo più lento su “mi si è sgretolata sotto gli occhi”; qui può affiorare un po’ più vulnerabilità, ma senza lacrime esplicite.
"In pratica I miei voti sono crollati e per punizione pulivo casa tutti I weekend.": torna su un registro più concreto; “in pratica” alleggerisce, come se minimizzasse; su “pulivo casa tutti i weekend” può usare una nota ironica, come a ridere della tragicomicità della situazione.
"Ma poi un giorno stavo pulendo una cacca di pipistrello in garage e ho trovato una… una pellicola super 8.": qui c’è spazio per il comico visivo su “cacca di pipistrello”, accennando quasi schifo; la doppia esitazione “una… una pellicola” segnala che quel ritrovamento è stato davvero importante; sulla seconda “una” la voce si fa più attenta.
"Era solo un filmino che avevo girato alle elementari, ma l'ho montato sul proiettore e mi sono ritrovata a guardare la versione bambina di me stessa.": tono più morbido e nostalgico; “solo un filmino” va ridimensionato, ma il “mi sono ritrovata a guardare…” cresce in importanza; lo sguardo va verso un punto nel vuoto, come se vedesse ancora quel proiettore.
"E quella piccola me quasi non la riconoscevo.": qui entra una tristezza dolce; “quasi non la riconoscevo” detto con un leggero rallentamento; sguardo che si abbassa o si ammorbidisce, come se parlasse a se stessa tanto quanto a Will.
"Era talmente spensierata e anche senza paura.": tono affettuoso verso la sé bambina; “spensierata” può essere detto con un mezzo sorriso, “senza paura” con un filo di rimpianto; pausa corta dopo la frase, per lasciarla sedimentare.
"Amava ogni parte di se stessa.": questa è una rivelazione chiave; va detta semplice, quasi sottovoce, senza retorica; lo sguardo può restare fisso, come se si rivedesse in quella totalità che sente di aver perso.
"Ed è lì che ho capito.": micro-pausa prima di dirlo; tono rivelatorio, come la cerniera emotiva del discorso; prepara la svolta che sta per offrire a Will.
"Non era mai stata Tammy “la stonata” il punto.": su “Tammy ‘la stonata’” torna un attimo l’ironia (anche affettuosa), ma “non era mai stata” è più serio; alza leggermente lo sguardo verso Will, è una frase pensata per lui.
"Ero sempre stata io il punto.": detta con chiarezza e semplicità; niente vittimismo, solo presa di responsabilità; può accompagnarla con un piccolo gesto verso di sé (una mano al petto), mantenendo il contatto visivo con Will.
"Cercavo risposte negli altri, ma dentro di me c'erano già.": ritmo regolare, quasi da confessione adulta; su “dentro di me c’erano già” la voce può farsi appena più calda, come se gli stesse offrendo una chiave pratica.
"Dovevo solo smetterla di avere tutta quella paura.": “solo” va detto con autoironia, perché non è affatto “solo”; tono più morbido su “tutta quella paura”; breve pausa alla fine, lasciando spazio perché Will si riconosca.
"Paura di chi ero davvero.": frase più bassa, quasi un soffio; lo sguardo può scendere per un istante, poi risalire verso Will alla fine della frase; qui la vulnerabilità può farsi più evidente.
"Una volta fatto questo, oh… mi sono sentita libera.": “oh…” è un piccolo sbuffo di sollievo, un suono fisico, non troppo recitato; su “libera” la voce si apre leggermente, entra una luce nuova; il corpo può rilassarsi un po’.
Come se potessi volare, sai, come se potessi finalmente essere Rockin Robin.": tono più leggero, quasi giocoso sul finale; “volare” e “Rockin Robin” vanno colorati con entusiasmo trattenuto, non cartoonesco; chiude con un sorriso vero, invitando implicitamente Will all’idea che anche lui possa “essere sé stesso” con la stessa libertà.
Il monologo di Robin vive su due binari: il ricordo personale e l’urgenza emotiva di trasferire quel ricordo a Will. Nell’insieme, la scena funziona se l’attore mantiene un flusso naturale, quasi da confidenza privata, senza trasformare ogni passaggio in un momento isolato. L’energia deve sembrare continua, come un pensiero che si apre mentre lo dice, non come un discorso preparato. Robin comincia evocando Tammy con leggerezza, quasi prendendo in giro sé stessa: il tono è ironico, morbido, con quel modo spontaneo che lei ha di buttare lì le cose senza renderle troppo drammatiche. Nominarla è come rompere il ghiaccio: uno sguardo a Will, un mezzo sorriso, la sensazione di “ok, te lo posso dire”. Quando parla della prima volta che l’ha vista, la voce rallenta, diventa più morbida; si lascia andare all’immagine da film romantico, quasi volutamente esagerata, come se sapesse che suona ridicola ma proprio per questo è reale. L’innamoramento adolescenziale è raccontato come un ricordo tenero ma non malinconico: su “perfetta, dannatamente perfetta” entra per la prima volta un frammento di verità emotiva, più calda, meno scherzosa.
La parte centrale diventa più vulnerabile: quando dice che con Tammy avrebbe potuto essere sé stessa “fino in fondo”, il tono deve farsi più sincero, il respiro più lento. È il momento in cui l’ironia si sospende, per dare spazio a quello che realmente significava per lei quell'amore: una porta aperta sulla libertà personale. La frase successiva, la parte di sé che la spaventava, va detta con delicatezza, senza alcun vittimismo; è un’ammissione, non un lamento. È in questo punto che Robin crea il ponte emotivo verso Will: non parla più solo di sé, parla di qualcosa che sa appartenergli, la paura della propria identità.
L’entrata in scena di Steve è l’occasione per rialzare il registro e alleggerire di nuovo il tono. È un piccolo respiro comico, una parentesi che evita che il monologo diventi troppo pesante. Su quel passaggio l’attore deve riuscire a far sorridere, ma senza rompere l’intimità. Subito dopo torna la frattura: la vita che aveva immaginato si sgretola, e il ritmo rallenta di nuovo. Qui non serve piangere; basta far percepire la fragilità nel modo in cui la frase si spezza, nel respiro che si accorcia. Quando introduce la pellicola super 8, la scena entra nella sua parte più poetica. L’immagine di lei che pulisce il garage, quasi per caso, e trova un frammento del proprio passato, è il cuore della rivelazione. L’attore deve riportare l’atmosfera del ricordo attraverso lo sguardo: un attimo sospeso, come se vedesse davvero quella bambina sullo schermo. Su “non la riconoscevo” nasce la tristezza più sincera dell’intero monologo: non tragica, ma profonda. È un dolore gentile, fatto più di nostalgia che di sofferenza.
Da quel punto in poi, l’energia cambia: la comprensione arriva come un lampo chiarificatore. Le frasi diventano più asciutte, più vere. “Non era mai stata Tammy il punto. Ero sempre stata io il punto” è il momento rivelatore, quello che Will deve ricevere per intero. L’attore deve dirlo con un tono pulito, fermo, senza retorica: è un frammento di saggezza che Robin ha conquistato e che ora regala. Non c’è rabbia, non c’è rimpianto: solo consapevolezza. Anche la frase sulle risposte “che erano già dentro di lei” va consegnata con calma, come se lo stesse scoprendo nel momento stesso in cui lo dice. Il finale è un’apertura luminosa: quando parla di liberazione, il corpo può sciogliersi, le spalle abbassarsi, il sorriso nascere spontaneo. È fondamentale che l’attore senta fisicamente questa sensazione, come se qualcosa davvero si alleggerisse dentro. “Come se potessi volare” non va detto come una frase poetica, ma come una constatazione vera, leggermente incredula. E “Rockin Robin” è il tocco identitario, giocoso, che chiude il cerchio: non è un modo per ridere di sé, ma per celebrare chi è diventata. È una confessione che diventa dono, e funziona solo se chi recita resta in ascolto: dei propri ricordi, ma soprattutto dello sguardo di Will davanti a sé.

Vecna prende di mira un altro bambino: Derek. Il piano dei ragazzi è attirare il Demogorgone a casa sua e inserirgli una ricetrasmittente, così da seguire il mostro fino al nascondiglio di Vecna. Intanto Holly, nella falsa realtà costruita da Henry, scopre messaggi misteriosi e si addentra nel bosco, spiata da una creatura. Undi e Hopper combattono contro una squadra dell’esercito nel Sottosopra e distruggono un’arma sonica che stava bloccando i poteri della ragazza, riuscendo poi a riprendere la ricerca della bambina. Will conferma che Vecna sta “raccogliendo” bambini e che il suo legame mentale con la mente alveare non si è mai del tutto spezzato . L’episodio si apre con Derek, ancora sotto shock, che si sveglia nel fienile dove Joyce e gli altri stanno cercando di proteggerlo. La donna tenta di farlo ragionare, ma Derek vuole scappare: Vecna gli ha detto tutt’altro. Proprio allora il Demogorgone irrompe nel fienile. Will, che continua ad avere visioni dal punto di vista della creatura, “vede” tutta la scena attraverso i suoi occhi. Joyce prova a difendere il bambino con un’accetta, ma la svolta arriva quando Steve piomba dentro guidando un’auto e investe il Demogorgone.
L’idea folle è seguirlo nel portale, sfruttando la scia della creatura. La macchina entra nel Sottosopra per un soffio, con a bordo Steve, Dustin, Jonathan e Nancy. Nel Sottosopra, la nebbia è così fitta che a un certo punto perdono di vista il Demogorgone e si schiantano contro un muro viscido, tipico delle superfici organiche create da Vecna. Intanto Will continua a “sentire” il Sottosopra: ha nuove visioni di bambini sedati, collegati a tentacoli come se fossero respiratori viventi. Capisce che Vecna sta seguendo uno schema: vede quattro spirali, un numero che si ripeterà fino ad arrivare a dodici bambini rapiti.
Nel frattempo, Max e Holly danno un nuovo tassello al mistero. Holly, attirata da una lettera scritta da Henry/Vecna, attraversa un passaggio nel muro e viene raggiunta da Max, viva e cosciente dopo la lunga degenza. Max la conduce in un luogo surreale: una casa immersa in una savana luminosa. Spiega alla bambina che ciò che vede non è reale, ma un ricordo composito, la prigione mentale in cui Henry intrappola le sue vittime.
Per recuperare i bambini sequestrati dai militari, Robin propone un piano in stile La Grande Fuga: entrare da un tunnel sotterraneo e liberare i piccoli prigionieri. Ma serve una talpa, qualcuno dall’interno… Derek è l’uomo giusto, ma le cose precipitano e, proprio quella notte… Arriva Vecna.
Regista: Matt e Ross Duffer
Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer
Produttore: Stephanie Slack Margret H. Huddleston
Cast: Winona Ryder (Joyce Byers) David Harbour (Jim Hopper), Finn Wolfhard( Mike Wheeler), Gaten Matarazzo (Dustin Henderson) Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair) Noah Schnapp (Will Byers) Millie Bobby Brown (Undici / Jane Ives)
Dove vederlo: Netflix

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