Analisi del monologo di Susan Storm in “I Fantastici Quattro – Gli inizi” (2025): tra il figlio Franklin, Galactus e il pianeta terra

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Nel momento in cui il mondo è sul punto di spezzarsi — moralmente, socialmente, emotivamente, I Fantastici Quattro – Gli inizi si ferma. Sospende la corsa cosmica, il rumore della distruzione, le strategie da scacchisti spaziali, e lascia spazio a una madre. La voce di Sue Storm, in un monologo pronunciato davanti a una folla spaventata e divisa, assume il tono di una dichiarazione d’intenti, ma anche di una confessione.

Sue si fa carico non solo della sua famiglia, ma di un intero pianeta, e lo fa usando le parole più umane possibili: quelle che parlano di perdita, di memoria, di legami. Questo discorso è la chiave morale del film, perché ridefinisce il concetto stesso di famiglia, di sacrificio e di responsabilità condivisa.

Franklin è mio figlio, ma anche la terra è la mia famiglia

MINUTAGGIO: 1:11:00-1:13:00
RUOLO: Susan Storm
ATTRICE:
Vanessa Kirby

DOVE: Al cinema!



Volevo presentarvi una persona: questo è nostro figlio, Franklin. Si è parlato molto di lui. Molti di voi mi conoscono, sapete la mia storia. Quando Johnny e io eravamo piccoli, i nostri genitori ebbero un incidente d’auto. Nostro padre era alla guida, ed è sopravvissuto. Ma… nostra madre no. So che cosa vuol dire fare parte di una famiglia che è andata in pezzi. Nostro padre non è stato un gran padre, ma ci ha provato. Ha fatto del suo meglio. Voleva che restassimo uniti, perché è questo che fa una famiglia. Lottare per qualcosa che va oltre se stesso. Unirti a qualcosa che va oltre te stesso. Appartenere a qualcosa che va oltre te stesso. E per noi quattro… per noi quattro è già così, perché abbiamo voi. Nostra madre diceva sempre: “Susie, per te sposterei il cielo e la terra” Ed è quello che faremmo noi per voi. Io non abbandonerò mio figlio per questo mondo; ma non posso abbandonare questo mondo per mio figlio. Lo affronteremo insieme. Lo combatteremo insieme. E lo sconfiggeremo insieme. Come una famiglia.

I Fantastici 4 - Gli inizi: Trama con spoiler

Matt Shakman firma il ritorno dei Fantastici Quattro nel Marvel Cinematic Universe, aprendo la Fase Sei con un film che spinge il gruppo direttamente dentro un conflitto cosmico, ma che affonda le radici nel personale, nel familiare, nel fragile equilibrio tra genitorialità, responsabilità e paura dell’ignoto. Questo non è solo un film sulle origini: è un film sul confrontarsi con ciò che viene dopo. Con ciò che si è generato.

Siamo su Terra-828. Sono passati quattro anni da quando Reed, Sue, Johnny e Ben hanno ottenuto i loro poteri. Ma ciò che li rende davvero una squadra non è la mutazione, è l'intimità. Il film apre su una cena familiare, momento tenero e tranquillo che verrà subito travolto da qualcosa di molto più grande: Silver Surfer appare e annuncia l’arrivo imminente di Galactus, colui che consuma pianeti per sopravvivere.

Da qui si snoda una trama che alterna momenti da space opera pura a crisi interiori personali. Reed è ossessionato dal legame tra l’esposizione ai raggi cosmici e l'arrivo della creatura. Sue è incinta e, pur consapevole del pericolo, è determinata a portare avanti la gravidanza. Johnny resta il più impulsivo, ma comincia a mostrare sprazzi di responsabilità. Ben è il più terreno, il collante emotivo del gruppo. Il tono è quello di una tragedia familiare vestita da blockbuster.

Il viaggio verso Galactus li porta a una delle rivelazioni centrali del film: il divoratore non è solo affamato di pianeti – vuole il figlio di Sue, Franklin, che ancora non è nato. Lo percepisce. Lo sente. Questo bambino è una fonte di energia talmente potente da interferire persino con il metabolismo cosmico di Galactus. Ed è qui che il film comincia davvero a girare su un asse diverso: quello del destino, del sacrificio, del potenziale pericoloso del potere.

Sue partorisce durante un inseguimento spaziale, mentre il team fugge dalla macchina cosmica di Galactus. È una delle sequenze più tese e surreali dell’MCU finora: nascita e morte, creazione e distruzione si sovrappongono visivamente e tematicamente.

Ma il ritorno sulla Terra non porta sollievo. Dopo una disastrosa conferenza stampa, l'opinione pubblica si rivolta contro i Fantastici Quattro. Il mondo è paralizzato dalla paura e inizia a domandarsi: vale davvero la pena rischiare l’estinzione dell’intero pianeta per non sacrificare un neonato? Qui il film assume tonalità quasi politiche, con una narrazione che richiama certi film catastrofici anni ‘70 – e un tono cupo che spiazza.

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È Franklin Richards, il vero punto di svolta del film. Non tanto come personaggio, quanto come concetto: lui è una forza latente. Il bambino è l’incarnazione del potere puro e dell’innocenza assoluta – un paradosso potentissimo in un film che parla proprio di responsabilità e destino.

Dopo il fallimento del piano di Reed, che prevedeva di spostare la Terra lontano dalla traiettoria di Galactus attraverso una rete di portali quantici, la squadra si gioca l’ultima carta: usare Franklin come esca per attirare Galactus nel portale rimasto operativo a Times Square. È un piano disperato: la città è deserta, evacuata. Aiutano anche vecchi alleati, come l’Uomo Talpa.

Ma il piano fallisce. Galactus riesce a prendere il bambino, e quando tutto sembra perduto, Sue si ribella. Usa i suoi poteri per trattenere Galactus abbastanza a lungo da farlo finire nel portale. Tutto questo costa caro: Sue Storm muore per lo sforzo.

E lì, in un momento completamente atipico per un cinecomic Marvel, il film si prende una pausa totale dal rumore. I superstiti – Reed, Ben, Johnny – si inginocchiano accanto a Sue, che giace senza vita. Franklin si appoggia al suo grembo. Ed è in quel momento che accade qualcosa che cambia tutto: la madre rinasce. La scena è costruita con una solennità quasi sacrale, evitando volutamente ogni tipo di effetto pirotecnico. Il risveglio è silenzioso. È Franklin ad averla salvata. Senza comprendere cosa stia facendo. E forse proprio per questo ci riesce.

Questa scena è il cuore concettuale del film. Franklin non è un’arma. È un miracolo. Un’energia che restituisce vita anziché distruggerla. In un universo dominato da esseri onnipotenti come Thanos, Celestiali, Galactus, vedere che la vera forza rigenerativa nasce da un bambino appena nato è un messaggio potente.

Epilogo – Il seme del destino

Quattro anni dopo. Sue è viva. Si prende cura di Franklin in una casa isolata, circondata da natura. L’aria è calma. Ma quando il bambino viene avvicinato da un uomo mascherato, col mantello verde, tutto cambia. È Victor Von Doom, e il modo in cui il film costruisce questo reveal è da manuale. Nessun dialogo. Nessuna spiegazione. Solo una maschera, un incontro tra il destino e ciò che verrà.

La Fase Sei si apre davvero qui.

I Fantastici Quattro – Gli inizi non è un film sulle origini nel senso classico. È un film che parla delle conseguenze. Di ciò che accade dopo che si ottiene un grande potere. Di come si affronta un mondo che cambia quando una nuova vita entra nella storia. Shakman costruisce un MCU che comincia a maturare: meno ironia, più dilemmi morali. E soprattutto, meno eroi perfetti e più famiglie imperfette. Il risultato? Un’introduzione densa, che non chiude nulla, ma apre tutto.

Analisi Monologo

Il monologo di Sue è costruito in tre blocchi emotivi, ognuno dei quali serve una funzione narrativa e tematica precisa.

“Questo è nostro figlio, Franklin.” – L’umanizzazione del simbolo

“Si è parlato molto di lui.” In apertura, Sue toglie il figlio Franklin dal livello di concetto astratto. Fin lì, il bambino era visto dal mondo come un oggetto di scambio, una soluzione o una minaccia. Ma mostrandolo, chiamandolo per nome, Sue lo riporta al suo statuto di persona. Non “il bambino con i poteri”, ma Franklin, loro figlio. Questo è un gesto potentissimo, che ricalibra immediatamente la percezione del pubblico, sia dentro che fuori dallo schermo.

“Nostro padre non è stato un gran padre… ma ci ha provato.” – La memoria come fondamento dell’identità

“Lottare per qualcosa che va oltre se stesso.” Nel cuore del monologo, Sue ricostruisce un trauma infantile. L’incidente dei genitori, il dolore della perdita, il senso di smarrimento. Ma quello che ne emerge non è un racconto vittimistico, bensì una lezione di tenuta emotiva. Sue spiega che, anche nei momenti peggiori, il padre cercò di mantenerli uniti. Fallì? Forse. Ma ci provò. Questo passaggio è fondamentale, perché collega il dolore personale alla responsabilità collettiva. Il messaggio è chiaro: non serve essere perfetti, serve restare insieme. La famiglia non è una condizione ideale. È una scelta attiva, quotidiana.

“Io non abbandonerò mio figlio… ma non posso abbandonare questo mondo.” – L’etica dell’eroe genitore Qui il monologo raggiunge la sua tensione più profonda. È il dilemma centrale del film, espresso nella sua forma più chiara: sacrificare un figlio per salvare il mondo, o sacrificare il mondo per salvare un figlio? Sue rifiuta l’alternativa. E propone una terza via: resistere, combattere, sperare insieme. È il momento in cui il ruolo di madre e quello di supereroina smettono di essere in conflitto e si fondono. “Lo affronteremo insieme. Lo combatteremo insieme. E lo sconfiggeremo insieme. Come una famiglia.” Il richiamo all’unione dei “quattro” si allarga a tutta l’umanità. Non è un discorso privato: è un patto collettivo. Non c’è paternalismo, non c’è egoismo, non c’è martirio. C’è una volontà: noi siamo qui. Insieme. Per restare.

Conclusione

Il monologo di Sue Storm funziona da perno dell’intero film. È il momento in cui la storia dei Fantastici Quattro smette di essere solo cosmica e diventa etica. La posta in gioco non è solo la sopravvivenza della Terra, ma il significato di essere una famiglia, di appartenere, di scegliere l’altro anche quando fa paura. Questo discorso trasforma Sue nel centro dell’intera narrazione. È lei a incarnare il principio guida di ciò che li rende veramente “fantastici”: non i poteri, ma il legame. È la consapevolezza che l’amore, per essere tale, non deve mai essere un ricatto.

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