Analisi - \"Una figlia\" di Ivano De Matteo

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~ MASSIMILIANO AITA

Una mia cara e preziosa amica ha detto che sono masochista.

Lì per lì ho dissentito.

Voglio dire: come può essere masochista uno che riesce a sublimare il dolore scrivendo

un lungometraggio dedicato alla donna amata – rappresentandola come una specie di dea in terra?

Ieri, mentre uscivo dal cinema dopo aver visto Una figlia, ho dovuto tuttavia concludere

che la mia amica aveva ragione.

Perché?

Perché solo un masochista può andare a vedere un film in cui si parla di abbandono da

parte di un genitore nei confronti di un figlio alla vigilia dell’incontro con la propria

terapeuta.

Terapeuta alla quale, così casualmente, dovrò raccontare del ripresentarsi della sindrome di abbandono che oramai da “tempo immemore” mi affligge.

Lo so.

Le mie premesse sembrano sempre prive di senso.

In realtà, perdonatemi la falsa modestia, un senso lo hanno: servono a contestualizzare la mia reazione alle tematiche toccate da un film.

Ecco, veniamo appunto al film “Una figlia”.

Il lungometraggio rappresenta una sorta di seguito ideale di “Mia” – la precedente opera di De Matteo.

Un altro film devastante che, tuttavia, a mio modesto avviso peccava di alcune lacune

narrative che lo rendevano meno incisivo di quanto potesse essere.

Nessuna lacuna, invece, mi è dato di riscontrare nel film visto ieri.

Un racconto asciutto, duro, essenziale.

Il rapporto padre-figlia viene affrontato e sviscerato senza abbellimenti, senza ricorso a

facili escamotage emozionali.

No, Una figlia - ci spiega Stefano Accorsi in un voice over memorabile – racconta di come un genitore non può mai smettere di essere un genitore.

Qualunque cosa accada.

E con qualunque intendo proprio qualunque.

Immaginate il gesto, il comportamento, il pensiero più terribile che potrebbe compiere

vostro figlio e voi sarete lì.

Magari non subito; magari avrete bisogno di tempo per “respirare”.

Ma sarete lì.

Una figlia parla – lo sapete che io adoro utilizzare questa parola (credo perché l’ho così

poco sentita durante la mia infanzia da averne metabolizzato in modo irreversibile la

mancanza) – di “amore”.

Qualcuno dei miei sedici lettori storcerà il naso – pensando a quanto sono mono-tono.

Vi sbagliate.

Nel film manca totalmente il romanticismo da romanzo rosa, da soap italiana.

Una figlia rappresenta uno spaccato familiare in cui la “VITA” costringe un padre a scavare dentro di sé, a superare la rabbia, l’odio, il risentimento e financo (che parola

musicalmente perfetta…financo) a mettersi di lato rispetto alla richiesta della propria figlia di accudire e crescere da sola…

Beh, lasciamo da parte gli spoiler.

Sapete l’altra sera ho fatto un sogno incredibile. Ho sognato di adottare un bambino.

Io, proprio io ho sognato di dedicare quel che resta del mio giorno su questo pianeta alla cura di un figlio.

Ieri ho compreso, attraverso la narrazione del film, la ragione profonda del sogno: vorrei

crescere un bambino o una bambina o un qualsiasi genere intenda assumere – evitando gli errori di mio padre.

Il protagonista di Una figlia lo fa.

Riesce a capire, dopo un percorso lungo, complesso e doloroso, di cosa ha bisogno la sua piccola: di crescere.

Di crescere in autonomia, di voler bene e volersi bene.

Di affrontare la “VITA” senza ombrelli protettivi, senza vivere in una campana di vetro,

senza sentirsi protetta e poi abbandonata – improvvisamente - a sé stessa.

La capacità di emozionare di Una figlia è affidata ai due attori protagonisti.

Parlo prima di una incredibile rivelazione: Ginevra Francesconi.

Ragazzi, questa attrice se ha meno di trent’anni e scappa via da questo paese vince

l’Oscar.

Le scene in cui viene arrestata e sottoposta ai rituali di identificazione durante i quali è

costretta a spogliarsi completamente sono da Oscar.

Sguardo perso nel vuoto ad evidenziare un palese stress post-traumatico, corpo

assolutamente immobile.

Nessuna faccina, nessun gesto.

Una statua, di sale o di gesso.

E anche quando comunica al padre di…no spoiler…è solo con lo sguardo che esprime la

propria determinazione ferrea.

Ginevra non ha bisogno di agitare le mani in aria, di arricciare il naso o alzare gli zigomi.

La sua recitazione è tutta a sottrarre; nessun eccesso, nessuna parola o gesto fuori luogo.

Straordinaria.

E veniamo a Stefano Accorsi.

Io mi ero innamorato di Stefano ai tempi di Radiofreccia.

Avevo adorato il personaggio che interpretava, la sua recitazione naturale, giustamente un pò sopra le righe ma dolente e consapevole.

L’ho letteralmente detestato in “Vostro Onore” la trasposizione italiana di “Your Honor

serie americana di indubbio successo.

In quella serie Accorsi sembrava appartenere al novero dei classici attori italiani: faccette strane, cambi di “umore” repentini ed incomprensibili, recitazione lenta e fastidiosa.

In Una figlia tutto quello appena sopra raccontato scompare.

Accorsi è formidabile.

Il suo sguardo, mein Gott, il suo sguardo quando apprende che la figlia ha.

Perfetto.

Come perfetto è il repentino cambio di atteggiamento.

Che può sembrare, in realtà, troppo repentino ma la cui coerenza viene, al contrario,

chiarita poco più avanti quando Accorsi rivela che la compagna e’/era incinta.

Come può un uomo affrontare contemporaneamente due tragedie epocali per qualsiasi

individuo; due perdite devastanti.

Una fisica ed una ideale.

Parlo dell’idealizzazione che Accorsi ha fatto della figlia.

In una scena, il suo personaggio afferma che la figlia risponde sempre al telefono ma

subito dopo rivela di non conoscere il numero di cellulare del fidanzato di Ginevra.

Accorsi deve affrontare il crollo repentino ed inaspettato del suo mondo: del mondo fisico e del mondo interiore.

Ed è da solo, nei fatti, ad affrontare questo cammino.

Nessuno può aiutarlo perché, come replica alla sua avvocata, se non hai figli non puoi

capire.

Fino a ieri avevo ritenuto questa affermazione abbastanza snobistica ed elitaria.

Dopo aver visto “Una figlia” ne ho compreso il senso.

Se non hai figli, ti basi sulla logica nel valutare i comportamenti altrui.

Se hai figli, il rapporto è governato dalle emozioni.

E sì, Una figlia mi ha emozionato tanto.

Troppo per affrontare un colloquio con la terapeuta.

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