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~ LA REDAZIONE DI RC
L’Assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo al Cinema Aquila del 23 novembre 2025 si è aperta con un clima di tensione e urgenza. Le ricadute della nuova legge di bilancio, i tagli alle risorse destinate al cinema e un’imprevista sentenza della Corte di Cassazione hanno creato un quadro che mette a rischio il settore sotto tre fronti: produzione, condizioni salariali e diritti previdenziali.
Daniela Giordano (Presidente UNITA), Thomas Trabacchi (Direttivo UNITA), Roberto Corirossi (UILCOM), Cinzia Liberati (AIARSE–UILCOM) e l’avvocato Federica Murineddu hanno guidato una discussione serrata e in cerca di concretezza.
Il primo tema più caldo è stato il nuovo impianto del tax credit, introdotto dal governo con la legge di bilancio. Daniela Giordano, Presidente UNITA, ha illustrato con precisione il meccanismo che sta generando un’apparente ripartenza del lavoro — una “bolla temporanea” destinata a esplodere nei primi mesi del 2026. Le produzioni stanno correndo a presentare domanda entro il 31 dicembre 2025, per rientrare nelle vecchie condizioni: aliquota al 40% e regole precedenti. Dopo la domanda, la normativa concede 60 giorni per aprire il set e 120 giorni per chiudere la produzione. Questo significa lavoro garantito fino a maggio 2026, ma solo perché si lavora sotto il vecchio regime. A partire dai primi mesi del 2026, invece, entreranno in vigore le nuove regole del tax credit. Ed è qui il punto critico: nelle nuove condizioni molte produzioni italiane non saranno più realizzabili. Con le nuove regole le produzioni italiane indipendenti avranno accesso ridotto o bloccato al tax credit, mentre le produzioni straniere potranno beneficiare del 40%.
Il risultato è un rischio concreto di riduzione drastica dei film italiani recitati in italiano, dipendenza sempre maggiore da contenuti e format stranieri, perdita di cultura cinematografica nazionale, calo occupazionale su tutta la filiera. Giordano ha parlato apertamente di tsunami in arrivo: un impatto che non è ancora visibile solo perché gli effetti del nuovo sistema non sono entrati in vigore. La seconda parte dell’assemblea è stata dedicata alla situazione dei lavoratori: paghe, welfare e contratti. Negli ultimi due anni, il settore ha subito ritardi continui nell’emanazione del decreto tax credit; sospensione o cancellazione di vari progetti; difficoltà diffuse nell’accesso alla NASpI. Molti lavoratori hanno già perso il diritto alla disoccupazione perché la NASpI si calcola sulle annualità precedenti, anni in cui il lavoro è mancato per motivi non imputabili ai professionisti. Corirossi ha annunciato la preparazione di un documento da presentare al Ministero della Cultura e al Ministero del Lavoro.
Cinzia Liberati ha rimesso al centro un tema che il settore trascina da decenni: un contratto collettivo non aggiornato dal 1999, forti disparità economiche, anche di genere, straordinari utilizzati come “tampone” invece di riorganizzare i tempi di lavoro, assenza di equità e trasparenza nella gestione dei ruoli. Ha portato un esempio concreto: le segretarie di edizione, tutte inquadrate al sesto livello B, faticano a raggiungere le retribuzioni dei colleghi maschi di quinto livello.
Trabacchi ha posto poi una domanda diretta: “Cosa deve accadere per creare uno stato di agitazione nel settore?”
Non bastano salari più bassi?
Non bastano costi della vita più alti, colleghi costretti a cambiare mestiere?
Non basta indennità di discontinuità accessibile a una percentuale minima dei lavoratori?
Il welfare attuale, per come è costruito, non copre il settore spettacolo. Maternità, malattia, indennità: tutto è estremamente limitato o inesistente.
Una parte dell’assemblea è stata dedicata alla sentenza della Cassazione che ha negato la pensione a un professionista. È il punto più tecnico, ma anche quello che ha generato maggiore allarme, perché riportabile al settore spettacolo. Secondo la sentenza che porta in esame l’avvocato, per calcolare l’anzianità contributiva nel settore spettacolo vanno conteggiati solo i contributi maturati all’interno del singolo anno solare (1 gennaio – 31 dicembre). Questo significa che se in quell’anno non raggiungi la soglia richiesta (es. 60, 90 o 120 giorni), quei contributi non valgono per maturare l’anzianità. Murineddu ha definito questa impostazione un errore di interpretazione: la legge non prevede in alcun punto che i contributi debbano essere maturati entro l’anno solare. Secondo la lettura tecnica corretta, conta il totale dei contributi, non il loro “raggruppamento” per anno. Se applicata in modo generale la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo non maturerebbe più il diritto alla pensione, migliaia di pensioni già erogate potrebbero essere messe in discussione (quantomeno su un piano interpretativo), l'INPS si troverebbe in un conflitto tra dovere giuridico e responsabilità erariale.
L'avvocato della Cassazione ha applicato un criterio in una nuova modalità, mai applicata prima dall’INPS, creando un contrasto interpretativo rispetto alla prassi consolidata. Murineddu spiega che l’INPS non ha mai applicato questo principio negli ultimi decenni; l’avvocato della Cassazione, nel ricorso, ha riconosciuto che l’istituto ha sempre seguito una “prassi consolidata” diversa, e la Cassazione avrebbe accettato un principio inesistente, senza considerare il quadro storico-normativo completo. Di fatto, creando un precedente.
L’avvocato indica due strade:
1. Intervento legislativo con interpretazione autentica: si chiarisca ufficialmente come si devono calcolare i contributi.
2. Intervento della Corte Costituzionale: se la norma, così come interpretata dalla Cassazione, viola i diritti fondamentali (diritto alla pensione), la Consulta può annullare il principio.
È allo studio, per il caso specifico citato dall’Avvocato, anche un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, perché qui non è in gioco l’importo della pensione, ma il diritto alla pensione.
La parte centrale dell’assemblea è stata animata da una serie di domande dirette, nate dalla preoccupazione concreta dei lavoratori presenti, per lo stato del settore. Le risposte dell’avvocato Federica Murineddu, di UNITA e di UILCOM hanno aiutato a mettere a fuoco i punti più delicati della vicenda.
1. “Chi può impugnare la sentenza della Cassazione?”
Murineddu ha spiegato che una sentenza della Cassazione non può essere “impugnata” nel senso tradizionale. Può essere superata solo in due modi: con un intervento legislativo che fornisca un’interpretazione autentica della norma; con una pronuncia della Corte Costituzionale, qualora un giudice sollevi una questione di legittimità.
2. “Chi è già in pensione rischia di perdere l’assegno?”
La questione è complessa. Secondo Murineddu chi è già in pensione non rischia la richiesta di restituzione delle somme percepite, perché la responsabilità sarebbe dell’INPS, non del lavoratore; ma l’INPS potrebbe interrompere l’erogazione futura, se ritenesse che il diritto è stato riconosciuto in contrasto con il principio stabilito dalla Cassazione. L’avvocata ha però ribadito che il principio affermato dalla Cassazione è privo di fondamento normativo e contraddice una prassi centenaria dell’INPS.
3. “I contributi figurativi valgono per maturare gli anni utili?”
La risposta è stata netta: i contributi figurativi (malattia, maternità, NASpI) vengono versati nel Fondo Ordinario, non nel Fondo Lavoratori Spettacolo. Quando l’INPS trasferisce questi contributi al fondo corretto una parte può andare perduta perché la conversione da settimane (Fondo Ordinario) a giornate (Fondo Spettacolo) non è lineare e non sempre copre l’effettiva storia contributiva; e il totale risultante può non corrispondere alla reale storia contributiva del lavoratore.
Questo tema accentua la richiesta di trasparenza: oggi un lavoratore dello spettacolo non ha a disposizione strumenti chiari per verificare la sua posizione contributiva in modo affidabile.
4. “Esistono precedenti di norme modificate dopo una sentenza che danneggiava la categoria?”
Sì. È stato ricordato il caso di una norma che impediva agli attori di accedere alla disoccupazione: una battaglia giudiziaria e sindacale aveva portato alla sua abolizione tramite un intervento del legislatore. È un precedente importante, che mostra come la pressione collettiva possa aprire una strada anche in scenari complessi come quello attuale.
5. SERVE UNIONE DI INTENTI, TRA I VARI ENTI, TRA I VARI SINDACATI, TRA TUTTO IL SETTORE.
Perché il timore è che sia già troppo tardi.
Riportiamo uno dei tanti interventi arrivati in sala, che forse meglio chiarisce uno dei principi più assurdi di questo sistema. E’ un criterio applicato in questo caso ad un attore, ma ogni lavoratore dello spettacolo può benissimo trovare un riscontro nella sua professione.
E poi una piccola considerazione sulle giornate, perché a me viene sempre un po' la febbre quando sento 90, 60, 120… Adesso Daniela (Daniela Giordano ndr) lo sottolineava anche prima, come qualcosa di veramente difficile da raggiungere. Non è difficile da raggiungere, è semplicemente impossibile. E allora giova fare un piccolo esempio che mi è capitato purtroppo di farlo anche con persone che erano in un ruolo in grado, come dire, di doverci difendere da tutto questo ed erano abbastanza inconsapevoli. Allora, è un esempio che io voglio riportare molto brevemente, perché se io facessi una fiction televisiva su Rai Uno e avessi un ruolo molto importante, molto importante, potrei fare anche 15 giorni di lavoro, 15 pose, una trentina di scene? Sarei il co-protagonista di questa serie… Poi faccio anche un film, importante, molto importante. Ho altre 10 pose? Sono un co-protagonista di questo film. Io impiegherei l'anno solare per fare questa fiction, 6 mesi; un film, 2, 3 mesi e poi altri 3 mesi di disoccupazione sana che ci vuole, nel nostro ambiente. Avrei 25, 35… 35 contributi per quell'anno solare, 35. Prenderei circa, vogliamo dire, 50 40, 50000 euro lordi? Facendo questo i miei contributi sarebbero in proporzione a questa cosa, per cui è un contributo ricco che io verso all’INPS, e sarei su tutti I giornali, sarei nelle televisioni, sarei un attore famoso e avrei prima 35 contributi in un anno. Ora quei 60, 90, 120 non sono difficili, sono impossibili da raggiungere. Non c'è proprio coscienza di quello che è la realtà del nostro lavoro. Non c’è.
L’assemblea al Cinema Aquila ha fotografato un momento in cui il settore dello spettacolo si trova schiacciato da tre pressioni simultanee:
il nuovo tax credit, che rischia di bloccare la produzione italiana dopo una breve ripartenza apparente;
condizioni di lavoro fragili, con contratti obsoleti, salari in calo e un welfare che non riesce a sostenere la discontinuità strutturale delle professioni artistiche;
l’incertezza previdenziale generata da una sentenza della Cassazione che, se applicata, metterebbe fuori gioco l’intera architettura contributiva del settore.
Il messaggio che arriva da Roma è chiaro: la comunità del cinema e dello spettacolo pretende chiarezza, tutele coerenti e un confronto vero con le istituzioni.
Ogni intervento ha ribadito lo stesso punto: senza azioni concrete e coordinate, lo shock previsto tra marzo e maggio 2026 potrebbe cancellare anni di lavoro, professionalità e identità culturale. La mobilitazione, ora, passa dalle scelte collettive che verranno prese nelle prossime settimane, a cominciare dall’udienza chiesta in Parlamento per esprimere con chiarezza tutti i punti sui quali rifondare un settore che, davvero, sta raschiando il fondo del barile.

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