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Analisi a cura di...
~ SIMONE FERDINANDI
Quando sei in sala e ti stai guardando un film di Yorgos Lanthimos hai sempre l’impressione di star assistendo ad uno strano incrocio tra un incubo febbrile ed un romanzo di Franz Kafka: surreale, paradossale, inumano e controintuitivo. E la sua ultima fatica, Bugonia, si ritrova perfettamente. Cosa succede se un duo di apicoltori complottisti rapisce una CEO di una grandissima azienda di biotecnologie sostenendo che sia un’aliena?
Il film, nella sua follia, è estremamente semplice, ambientato completamente tra quattro mura, portato avanti dallo scontro tra le strampalate teorie di Teddy Gatz (Jesse Plemons), basate su podcast, video Youtube, siti complottisti; e il freddo razionalismo di Michelle Fuller (Emma Stone), che, disperatamente, cerca di far ragionare i suoi rapitori, provando ad usare qualsiasi argomentazione per fermare il delirio dei due. E poi nel film aleggia sempre una questione importantissima: esiste una verità assoluta? Oppure veramente il nostro mondo è basato sulle prospettive?E soprattutto, esistono il bene e il male? Perché effettivamente Teddy ha un grosso risentimento nei confronti di Michelle, ha buone ragioni per odiarla, che ovviamente non vi dirò per non spoilerarvi nulla (ringraziatemi), così come lei non è una povera vittima, rappresenta una realtà alto borghese che campa di un finto progressismo di natura corporate e di una profonda ipocrisia tipica di chi pensa che tramite i soldi si possa comprare ogni cosa. Dal punto di vista registico Lanthimos abbandona alcuni elementi del suo stile come quell’approccio incredibilmente freddo e distaccato anche nelle situazioni più sanguigne, e la “meccanicità” delle interpretazioni attoriali. In particolare questa scelta permette alla follia del film di emergere in tutta la sua potenza. Il greco é riuscito a trovare un compromesso tra il suo stile ed un’estetica molto sporca, adatta ad un film ambientato principalmente nello scantinato di una casa rurale del sud degli Stati Uniti. Ovviamente anche altri aspetti del cinema di Lanthimos rimangono, come l’uso di musiche sacre di stampo gotico, che entrano con violenza destabilizzando completamente lo spettatore.

E ora parliamo delle interpretazioni… Jesse Plemons mostra tutto il suo talento, fornendo un’interpretazione da manuale, basata sull’espressività del suo volto e del suo corpo, rappresentando alla perfezione un uomo paranoico, completamente immerso in una realtà propria. Teddy è un alienato, un rifiuto della società, e Plemons riesce a trascinarci nella sua mente. Emma Stone, vera e propria attrice feticcio di Lanthimos, riesce a creare un contrasto molto forte con l’interpretazione esplosiva di Plemons tramite un lavoro molto più minimalista rispetto alla sua controparte. Questo incastro tra i personaggi e le loro interpretazioni portano il film ad un livello superiore. Personalmente, spero che questo film rappresenti la definitiva esplosione di Jesse Plemons, un attore incredibilmente talentuoso che molte volte si è ritrovato a interpretare ruoli secondari, delle volte memorabili come in “Civil War” dove pur apparendo a schermo per una manciata di minuti lascia un segno nello spettatore. Dovendo riassumere: Lanthimos ci regala l’ennesima perla, un film anomalo che riesce ad arrivare in maniera diretta allo spettatore. Nonostante io sia un grande fan del greco, devo riconoscere che è un gradino sotto rispetto a “La Favorita” o “Povere Creature”, ma, ad onor del vero, pochissimi registi riuscirebbero a tenere una qualità così alta.
P.S: se siete fan dei Green Day, sappiate che il film vi rovinerà Basket Case e nemmeno poco. Guardate il film a vostro rischio e pericolo.

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