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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo del padre in Cashero episodio 2 è uno dei momenti più potenti e silenziosi dell’intera serie Netflix. Attraverso una semplice lettera, la scena racconta il lato invisibile dell’eroismo: la fatica, la colpa, il prezzo emotivo di fare del bene. Non è un discorso motivazionale, ma una confessione lucida, adulta, che trasforma il potere in responsabilità e l’amore in necessità.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Finale del film (con spoiler)
Credits e dove trovarlo
Minutaggio: 33:30-35:30
Durata: 2 minuti
Emozioni chiave Colpa, tenerezza trattenuta, paura lucida, responsabilità morale, rassegnazione attiva
L’episodio si apre con una fuga notturna. Una ragazza corre disperata, inseguita da alcuni malviventi, fino a ritrovarsi intrappolata in un vicolo cieco. Quando sembra non esserci via d’uscita, la ragazza inizia a ridacchiare. È un riso nervoso, liberatorio. Dalle sue mani eruttano fiamme, che avvolgono tutto ciò che toccano. In pochi secondi i criminali vengono messi fuori combattimento. È una scena rapida, brutale, che introduce un nuovo tipo di potere: istintivo, distruttivo, incontrollabile. La situazione però cambia subito. Arrivano uomini vestiti di nero, guidati da una donna. La ragazza la riconosce: è Jo Anna. Con un ordine secco, dall’alto vengono fatti esplodere idranti d’acqua che spengono le fiamme. Privata del suo potere, la ragazza viene catturata senza resistenza.
Il giorno dopo, la sua assenza pesa come un macigno. Il padre e la sorella parlano della sua sparizione: la ragazza si chiama Hwa-jin. Guardando il telegiornale, il padre vede le immagini del salvataggio dell’autobus avvenuto nel primo episodio. Riconosce immediatamente il valore di quell’uomo. Dice che devono trovarlo, e subito. Secondo lui, Sang-ung potrebbe mettere fine alla guerra che si sta combattendo nell’ombra. Ma Sang-ung, in quel momento, è in carcere. Non ha soldi nemmeno per pagare la cauzione. È una situazione grottesca: l’uomo che ha salvato decine di persone è imprigionato perché povero. Ricorda allora un numero che il padre gli aveva dato “per le emergenze”: una sorta di agenzia di pegni, un contatto ambiguo. Fa la chiamata. In pochissimo tempo, grazie a un intervento misterioso, Sang-ung viene liberato.
La libertà però ha un prezzo. Appena fuori, viene scortato in auto da una donna e dai suoi uomini. Lei gli rivela una verità devastante: suo padre ha con lei un debito di circa tre miliardi di won. Sang-ung non riesce a crederci, cerca di scendere dall’auto, ma viene narcotizzato. Sang-ung si risveglia di nuovo, questa volta in un appartamento abbandonato, circondato da uomini armati. La donna che lo ha fatto uscire di prigione spiega che deve verificare se ha davvero ereditato i poteri. Gli gettano del denaro tra le mani e iniziano a picchiarlo brutalmente con delle spranghe. È un test crudele. Con i soldi, Sang-ung reagisce: si rialza, restituisce i colpi, fino a scagliare uno degli aggressori dall’altra parte della stanza. Ma quando i soldi finiscono, arriva una stanchezza devastante. Sang-ung crolla a terra.
La donna si rivela essere un’ex del padre. Gli spiega che dovrà pagare i debiti di famiglia. A meno che non accetti una soluzione alternativa: sposare sua figlia. Quando capisce che Sang-ung è già fidanzato, cambia tono. Gli dice che l’unico modo per sopravvivere e fronteggiare “gli psicopatici che lo cercano” è usare le sue finanze, senza scrupoli. Sang-ung è esausto. Scappa lanciandosi da una finestra. La donna non lo ferma: sa che tornerà quando non avrà più un dollaro.

Sang-ung… ho letto dell’incidente dell’autobus. L’immagine era sgranata, ma io sapevo che eri tu. Non so da dove venissero quei soldi, ma so il male che hai sentito nel fare del bene. Anche per me è sempre stato così. Avrei voluto fare di più per te e tua madre, ma poi succedeva sempre qualcosa. Mi dispiace. Cose del genere ti succederanno di continuo. Ho sempre lavorato, pensando che tu e tua madre potevate essere nell’auto, o nello scuolabus, o nell’edificio in fiamme che stavo salvando. Senza quel pensiero, sopportare un lavoro simile è impossibile per chiunque. E’ duro, e spaventoso. Ma non sottrarti. La persona che ami, conta su di te. Concludo con un consiglio: non toccare mai i soldi del fondo per la casa.
“Sang-ung…”: attacco a vuoto, come se provasse il nome prima di riuscire a dirlo davvero; micro-pausa subito dopo; voce bassa, non teatrale, è un richiamo affettivo più che un’apertura.
“ho letto dell’incidente dell’autobus.”: tono pratico, quasi da cronaca; non caricare di dramma; breve respiro alla fine, come se il padre stesse scegliendo parole “sicure”.
“L’immagine era sgranata, ma io sapevo che eri tu.”: su “sgranata” uno sguardo che si perde (ricordo visivo); su “io sapevo” entra l’orgoglio trattenuto; non sorridere, è un riconoscimento serio; pausa dopo “tu”.
“Non so da dove venissero quei soldi, ma so il male che hai sentito nel fare del bene.”: “Non so” detto senza giudizio (nessuna accusa); “ma so” è una lama dolce: cambia peso, rallenta; su “male” la voce si abbassa e si sporca appena; pausa breve dopo “bene” per lasciare arrivare la frase.
“Anche per me è sempre stato così.”: frase-ponte, intima; non enfatizzare “me”, è condivisione, non protagonismo; sguardo morbido, come se lo dicesse per proteggere il figlio dal sentirsi “sbagliato”.
“Avrei voluto fare di più per te e tua madre, ma poi succedeva sempre qualcosa.”: qui entra la colpa; “avrei voluto” con un respiro che trattiene; “sempre qualcosa” è stanchezza cronica, non melodramma; piccola pausa dopo “madre”.
“Mi dispiace.”: secco, piccolo, quasi insufficiente; non piangere qui: è una scusa detta da un uomo che non sa chiedere scusa bene; lascia un silenzio più lungo del normale dopo la frase.
“Cose del genere ti succederanno di continuo.”: tono da avvertimento, ma non minaccioso; è un padre che “prepara” il figlio; su “di continuo” abbassa ancora l’energia, come una resa lucida.
“Ho sempre lavorato, pensando che tu e tua madre potevate essere nell’auto, o nello scuolabus, o nell’edificio in fiamme che stavo salvando.”: è la frase più cinematografica: costruiscila a immagini; elenco scandito (“auto / scuolabus / edificio in fiamme”) con micro-pause tra i blocchi; lo sguardo “vede” ogni quadro; su “che stavo salvando” non c’è eroismo: c’è necessità, quasi superstizione.
“Senza quel pensiero, sopportare un lavoro simile è impossibile per chiunque.”: qui sta la tesi del padre; rallenta nettamente; “impossibile” è pronunciata piena ma controllata; dopo “chiunque” fai un silenzio che suoni come: questa è la verità adulta.
“E’ duro, e spaventoso.”: due colpi brevi; “duro” è fisico, “spaventoso” è mentale; non allargare l’emozione, tienila compressa, come uno che l’ha detta mille volte a se stesso.
“Ma non sottrarti.”: frase comando; cambia la postura interna (più dritta); non urlare: autorità quieta; pausa prima di “non” come se stesse decidendo di essere padre fino in fondo.
“La persona che ami, conta su di te.”: “persona che ami” con calore; “conta su di te” con responsabilità; lo sguardo va dritto, senza durezza; chiudi con un respiro breve, come se questa frase costasse dirla.
“Concludo con un consiglio: non toccare mai i soldi del fondo per la casa.”: “concludo” è difesa emotiva (si mette una distanza per non crollare); dopo i due punti, cambia ritmo: più lento, più grave; “mai” va appoggiato, ma senza minaccia—è preghiera mascherata da regola; su “casa” lascia la voce scendere e poi taglia: silenzio finale lungo, come un presagio.
Il monologo del padre in Cashero episodio 2 è costruito come una confessione tardiva, non come un discorso motivazionale. Non c’è enfasi, non c’è retorica: tutto passa attraverso una calma dolorosa, tipica di chi ha già pagato il prezzo delle proprie scelte e ora può solo trasmettere consapevolezza. Il padre non celebra l’eroismo del figlio, lo riconosce. Sa che Sang-ung ha fatto del bene, ma soprattutto sa quanto male quel gesto gli sia costato. Questa è la chiave emotiva del monologo: il bene non è gratuito, non è leggero, non è pulito.
Quando parla dell’autobus e dell’immagine sgranata, il testo mette subito a fuoco il tema della distanza: il padre non vede chiaramente, ma riconosce.
È un riconoscimento affettivo, non pubblico. Subito dopo arriva l’identificazione totale: “anche per me è sempre stato così”. Qui il monologo smette di essere una lettera e diventa un passaggio di testimone. Il padre non si giustifica, ammette il fallimento (“avrei voluto fare di più”), ma lo colloca dentro una vita fatta di continue emergenze, di rinvii, di scelte obbligate. La colpa non esplode, resta compressa.
Il cuore del monologo è nella spiegazione del meccanismo mentale che permette di andare avanti: lavorare immaginando che le persone amate possano essere tra quelle da salvare. Non è eroismo, è sopravvivenza psicologica. Senza quel pensiero, dice il padre, un lavoro così è impossibile. Questa frase ribalta completamente l’idea romantica del supereroe: non si agisce per vocazione, ma per paura di perdere chi si ama. È una verità adulta, dura, e per questo potentissima.
Il finale, apparentemente pratico, è in realtà tragico: “non toccare mai i soldi del fondo per la casa”. Non è un consiglio economico, è una profezia. Il padre sa che quel confine verrà superato, ma sente comunque il bisogno di nominarlo, di fissarlo. La casa diventa il simbolo di una vita normale che il figlio rischia di non avere mai. Il silenzio che segue questa frase è più importante di qualsiasi chiusura emotiva: è il peso di una scelta che sappiamo già verrà infranta.

Tornato a casa, la situazione privata esplode. Min-suk scopre la verità sui 30 milioni di won regalati dalla madre e sul loro utilizzo. Si sente tradita e lo lascia. Sang-ung corre a cercarla, ma un’esplosione lo ferma: il suo appartamento è in fiamme. Capisce che le parole dell’usuraia non erano solo minacce. Tutto è collegato. Si rifugia nella rimessa di suo padre. Il giorno seguente, Min-suk partecipa a un matrimonio a cui erano invitati insieme. Jo Anna, che caccia supereroi, è convinta che Sang-ung arriverà. Decide quindi di dare fuoco a tutto, trasformando la cerimonia in un inferno. Sang-ung è paralizzato, non sa cosa fare, finché non legge una lettera lasciata dal padre. È una confessione intima: il padre gli parla del dolore di usare quei poteri, del peso morale che comportano, e del fatto che solo Sang-ung può davvero capirlo.
La decisione è presa. Sang-ung preleva i fondi destinati alla casa e corre a salvare Min-suk. Arriva giusto in tempo: una lastra di marmo sta per schiacciarla. La salva. Lei è sconvolta, poi ferita, quando scopre che ha usato i soldi per la casa. Ma Sang-ung le dice una frase chiave: il bonus del matrimonio che lei desiderava rimarrebbe comunque, anche se divorziassero. In mezzo alle fiamme, Min-suk accetta di sposarlo. È una scelta emotiva, non economica. Forse la prima.
La pace dura pochissimo. Arriva l’uomo che ha preso il potere di Hwa-jin. È una battaglia all’ultimo soldo. Sang-ung riesce a sconfiggerlo, ma crolla stremato a terra. Sembra la fine. Poi, letteralmente, un muro si apre. Ne escono una ragazza e suo padre. Si presentano come membri della Lega Coreana dei Superumani. Portano via Sang-ung, mettendolo in salvo.
Il finale del secondo episodio è un cambio di scala narrativo. Se il primo episodio parlava del conflitto interiore di Sang-ung, qui il messaggio è chiaro: la sua storia è politica. Esistono organizzazioni che catturano, estraggono, comprano e vendono poteri come fossero risorse naturali. Hwa-jin non è stata sconfitta: è stata privatizzata.
Regista: Lee Chang-min
Sceneggiatura: Lee Jae-in Jeon Chan-ho
Cast: Lee Jun-ho Kim Hye-jun Kim Byung-chul Kim Hyang-gi)
Dove vederlo: Netflix

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