Dialogo - Julia Garner e Jessica Henwick in \"Il Royal Hotel\"

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Il Royal Hotel

"Il Royal Hotel" è un film che utilizza una trama lineare per esplorare una tensione sotterranea, quasi viscerale, che si accumula scena dopo scena fino a diventare impossibile da ignorare. Diretto da Kitty Green, già regista de The Assistant, qui costruisce un’altra storia al femminile che parla di potere, controllo e sopravvivenza in un ambiente ostile, dove la minaccia è spesso silenziosa ma costante. Hanna (Julia Garner) e Liv (Jessica Henwick) sono due amiche in viaggio in Australia. Zaino in spalla e voglia di libertà, ma pochi soldi in tasca. Finiscono così per accettare un lavoretto temporaneo tramite un programma "lavora-e-viaggia", come bariste in un pub nel cuore dell’outback: il Royal Hotel. Isolato, degradato, frequentato da uomini spesso ubriachi, il Royal non è esattamente un posto da cartolina. Il titolare Billy (interpretato da Hugo Weaving) è un relitto umano più che un personaggio: scostante, alcoolizzato, ambiguo. Non è apertamente ostile, ma nemmeno affidabile. E questo vale per quasi tutti gli uomini che frequentano il locale. Uomini che fissano, commentano, provocano. Nessuna violenza esplicita all’inizio, ma un’aria carica di una tensione che cresce a ogni birra versata, a ogni occhiata di troppo.

Il cuore della storia è nella differenza tra le due protagoniste. Liv è più rilassata, più disinvolta, e tende a leggere le situazioni con indulgenza, quasi a voler sdrammatizzare. Hanna, invece, è inquieta fin da subito. Avverte ogni micro-aggressione, ogni frase fuori posto, ogni risata di troppo come una lama sotto pelle. Non è paranoia: è una sensibilità più affinata, forse una ferita pregressa mai raccontata, forse semplicemente uno sguardo che rifiuta di normalizzare la prepotenza. Il film lavora su questa tensione emotiva tra le due. L’una si adatta, l’altra implode. Ma quando la situazione comincia davvero a precipitare, è Hanna ad avere la lucidità — e il coraggio — di dire basta. Il problema è che non possono andarsene subito: il bus non parte prima di due giorni. Due giorni in cui tutto potrebbe succedere. 

Il dialogo

Hanna: Julia Garner

Liv: Jessica Henwick

Liv: Ok…Senti… Quelle ragazze inglese, Jules e Cassie, è la loro ultima notte, quindi è una specie di festa di addio.

Hanna: Che…? Siamo in vacanza, dovremmo essere su una spiaggia.

Liv: Teeth dice che…

Hanna: Aspetta, cosa? Teeth? 

Liv: Era… quello con il… comunque dice che è abbastanza tranquillo, la sera.

Hanna: No, è… è disgustoso. Tutti loro lo sono.

Liv: Non sono peggio di quei tipi sulla barca.

Hanna: Cosa? Mi ha chiamata troietta.

Liv: Si ma… non credo significhi quello che pensi tu.

Hanna: Si, è quello che penso io, ma non è questo il punto.

Liv: No, ecco, qui si usa così.

Hanna: “Qui si usa così”.

Liv: Andiamo, dai. Sopportiamo per qualche settimana. Facciamo un pò di soldi. Stiamo viaggiando, volevamo un’avventura. E poi andremo a nuotare a Bonde. 

Hanna comincia a ridere.

Liv: Che c’è?

Hanna: Si pronuncia “Bondai”.

Liv: “Bondai”? 

Hanna: Si… Si…

Liv: Ne sei sicura?

Hanna ride sommessamente.

 

Hanna: Ancora qualche settimana. Ok. 

Liv: Ehi, dove sono i canguri?

Hanna: O mio Dio.

Analisi dialogo

Questo dialogo è una piccola scena che, sotto la sua superficie leggera, racchiude in realtà parecchio del tono e del cuore de Il Royal Hotel. Un momento di respiro, sì, ma anche un passaggio fondamentale per capire la dinamica tra le due protagoniste — Hanna e Liv — e l’ambiente che le circonda. Siamo ancora nella prima metà del film, nel pieno della discesa lenta verso l’alienazione. Le ragazze stanno cominciando a percepire le prime crepe, ma non sono ancora nel pieno della minaccia. E questo scambio rappresenta esattamente quel punto di svolta emotivo in cui una delle due inizia a sentire la corda tirarsi troppo, mentre l’altra cerca ancora di normalizzare tutto.

Hanna è già in stato di allerta. Il suo istinto è difensivo, quasi reattivo. Ogni dettaglio le suona stonato, ogni parola le sembra carica di significato. Quando dice “ci hanno chiamato troietta”, non si limita a riportare un’offesa, sta denunciando un contesto che la ferisce. Ma soprattutto, rifiuta di giustificarlo. La battuta “Siamo in vacanza, dovremmo essere su una spiaggia” non è ironia: è un grido. Sta dicendo non è questo quello che avevamo immaginato. E quando si appiglia alla pronuncia corretta di "Bondi" — “Bondai” — lo fa con una risata che ha dentro sarcasmo, stanchezza e un disperato bisogno di leggerezza. È il primo spiraglio di vulnerabilità che le vediamo concedere.

Liv è il personaggio che cerca la mediazione. Ha un atteggiamento più aperto, più ottimista. O forse, più negazionista. Usa la logica del “così si fa qui”, che è il classico tentativo di minimizzare il disagio normalizzandolo. Quando dice “non sono peggio di quei tipi sulla barca”, cerca di relativizzare. E nella sua mente probabilmente ci crede anche.

Ma questo atteggiamento è il vero cuore del dialogo: Liv è quella che si adatta. È quella che non vuole rovinare l’avventura. Ha ancora bisogno di pensare che tutto vada bene. E se per farlo deve ridicolizzare i nomignoli (“Teeth”, “troietta”) o farsi una risata sulla pronuncia, lo fa.

Si parte da una proposta apparentemente innocua — "è la festa di addio di due ragazze" — e si arriva a una micro-crisi (“è disgustoso. Tutti loro lo sono”). Hanna e Liv non urlano, non si insultano. Ma si fronteggiano, in due modi di vivere la stessa esperienza.

C’è un punto preciso in cui il tono cambia, ed è quando Hanna dice: “Sì, è quello che penso io, ma non è questo il punto.” Hanna sta dicendo che non si tratta solo del termine, ma del contesto. Di come ci si sente quando si è guardate in quel modo. Di come certe parole, in certi luoghi, diventano armi. Il momento finale — lo scambio sulla pronuncia di “Bondi” e la battuta sui canguri — è fondamentale. La risata che chiude la scena non è un sollievo. È più simile a una risata nervosa. È la risata di due persone che stanno cercando di non perdere il controllo. Ed è uno dei momenti in cui il film mostra quanto sia facile scivolare nella negazione, o nell’autoironia, pur di non affrontare qualcosa di più grande.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com