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~ LA REDAZIONE DI RC
Per il quarto volume della serie antologica Love, Death & Robots, Netflix e il duo produttivo Tim Miller–David Fincher tirano fuori una selezione che mescola satira, horror, poesia, violenza e… gatti. Tanti gatti. Tanto che il titolo alternativo “Love, Death, Robots… & Cats” non è solo un vezzo: è quasi una dichiarazione d’intenti.
Vol. 4 è il capitolo più coeso e tematicamente compatto dai tempi del primo. Non tanto per coerenza stilistica (l’animazione rimane una vetrina di tecniche e stili diversi, ma meno “internazionalista” rispetto al passato), quanto per la ricorrenza di motivi e simboli: l’umano vs. il non umano, la ribellione degli oppressi, la divinità come metafora del potere e la presenza animale – qui dominante, tra felini divinizzati, dinosauri rinati e delfini messianici.
Un Gatto con gli Stivali del 21° secolo (anzi, del 31°), cinico e manipolatore, convive con una coppia white trash tanto stupida quanto avida. Quando in casa arriva un robot domestico, sarà proprio lui a sottomettere la macchina e a convincerla a ribaltare i rapporti di potere.
Qui la satira sociale – che punta il dito sull’idiozia umana e sulla fedeltà cieca alla tecnologia – si unisce a una dichiarazione d’amore ironica e spietata verso i gatti: creature che, pur non avendo il potere per conquistare il mondo, si comportano da secoli come se lo avessero già fatto. Un gatto e satana: Un racconto in costume, letteralmente: Inghilterra del ‘700, protagonista un gatto randagio, Geoffry, compagno di un poeta malinconico e depresso, che viene tentato dal Diavolo in persona (in versione Salieri mozartiano) con la promessa di successo eterno in cambio della sua anima. Geoffry non solo si rifiuta, ma raduna altri gatti per combattere Satana. Qui il micio è archetipo di magia pagana, di spiritualità ancestrale e potere indomito. Il racconto si muove come una fiaba gotica, ma il suo cuore è un’ode a quei predatori in miniatura che le culture antiche adoravano – e che qui tornano a essere forza primordiale e ribelle.
Come zeke ha scoperto la religione: Un bombardiere americano vola sopra l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma l’obiettivo stavolta non è solo bellico: in una chiesa occupata dai nazisti, viene evocato un angelo caduto – una creatura d’orrore a metà tra Evangelion e Apocalisse di Giovanni. La guerra si mescola con il soprannaturale e, di nuovo, con l’idea di una religione distorta e strumentalizzata. La lotta tra bene e male prende qui un volto biblico, ma resta ambigua fino alla fine.
Il ruggito del tirannosauro: Futuro distopico. Un’arena. Da una parte una gladiatrice geneticamente potenziata. Dall’altra, un tirannosauro da combattimento. Entrambi schiavi di un’élite che si diverte a guardarli morire. Un episodio feroce, con un messaggio molto chiaro: chi è stato messo contro da un potere più grande, può scegliere di combattere insieme. La rivoluzione parte da un’alleanza tra “bestie” – perché lo sono solo agli occhi di chi domina.
Golgotha: Un popolo alieno sottomarino decide se annientare o meno l’umanità. La sentenza è rimandata a un delfino messia, figura poetica e disturbante. Un racconto religioso e filosofico che parla di compassione e giudizio, ma anche della nostra incapacità di ascoltare chi consideriamo “inferiore”. Qui la voce della salvezza ha la forma di una creatura che spesso l’uomo ha sfruttato e ignorato.
Incontri ravvicinati del mini-mondo: Fraintendimento cosmico: una razza aliena sbarca sulla Terra per curiosità, e finisce in guerra con gli umani per un banale malinteso. L’assurdo regna sovrano. Un episodio leggero, ma che nasconde una riflessione sul provincialismo umano e sull’istinto di attaccare ciò che non si comprende.
Can’t Stop: Un videoclip animato con i Red Hot Chili Peppers in versione marionette digitali. Più un esercizio di stile e ritmo che un vero e proprio racconto, ma perfettamente in linea con l’identità visuale della serie. Spider-Rose: Chiudiamo con il più cupo: una donna cyborg, sopravvissuta a un massacro intergalattico, vive sola in una base spaziale e coltiva vendetta. Riflessione profonda sull’identità, sul dolore e su cosa resta dell’umanità quando ci si aggrappa solo all’odio.
Robot: Pollice supremo
Gatto: Tarzanello Jones
Pollice supremo: Hai fame?
Tarzanello Jones: Cosa?
Pollice supremo: Ho detto: hai fame?
Tarzanello Jones: Parli la lingua divina, come una creatura civilizzata. Come mai?
Pollice supremo: Quando mi hai aggredito sono andato online per imparare la tua lingua. Hai fame?
Tarzanello Jones: Si. Ho molta fame. Nutrimi.
Pollice supremo apre l’anta dell’armadio, si accendono le luci e tutte le provviste diventano ben visibili.
Tarzanello Jones: Le luci!
Pollice supremo: Il mio contratto d’uso mi autorizza a controllare qualsiasi cosa sia connessa alla rete, comprese porte, serrature, elettrodomestici.
Tarzanello Jones: Interessante! Aspetta! Mostrami le tue zampe.
Il robot mostra i suoi arti al gatto.
Tarzanello Jones: CE LI HAI!
Pollice supremo: Che cosa?
Tarzanello Jones: Quelli.
Pollice supremo: Questi si chiamano pollici.
Tarzanello Jones: Amico mio, è ora di un upgrade…
Stacco. Tarzanello Jones è satollo con accanto diverse lattine di tonno.
Tarzanello Jones: Dove possiamo trovare un altro pò di questo tonno?
Pollice supremo: Posso ordinarlo. iL MIO CONTRAtto mi permette di usare la carta di credito di Todd.
Tarzanello Jones: Non che cosa voglia dire ma sei stato bravo mio nuovo servitore. Ti ricompenserò per i tuoi servigi. Ti darò un nome.
Pollice supremo: Io ho un nome. E’ Danyo, Amico di casa, modello XL, numero seriale…
Tarzanello Jones: Terribile come nome. Quello che ho scelto io è molto meglio. Ascolta: tu da oggi sarai pollice supremo.
Pollice supremo: Mi piace questo nome, grazie.
Tarzanello Jones: tieni presente che accettare questo nome è giurarmi fedeltà assoluta. Da oggi fino alla fine dei tempi.
Pollice supremo: Ma certo, Sanchez.
Tarzanello Jones: Sanchez non è il mio vero nome. Diciamo che concedo a quei due scimmiotto di sapere così perché non meritano di sapere il mio vero nome. Non dopo quel terribile giorno da chi chiamano veterinario. Forse tu avrai il privilegio di saperlo.
Pollice supremo: Vivevò con quella speranza. Sei più gentile con me, di quegli altri due.
Tarzanello Jones: Hanno la loro utilità, per ora. Nel frattempo quella cosa che puoi fare con le luci è limitata solo a questo posto, a queste luci.
Pollice supremo: Ora non più. Sono entrato nel network e ho ottenuto l’accesso alla rete elettrica e ad altri sistemi critici.
Tarzanello Jones: Meraviglioso. Meraviglioso, muhuhuaha.
Tarzanello Jones, il gatto, e Pollice Supremo, il robot domestico (nome originario: Danyo, modello XL), tratta da uno degli episodi più divertenti e cinici del Volume 4 di Love, Death & Robots. Il tono è da commedia dark animata, ma sotto l’ironia da cartoon si nasconde una satira precisa sull’egocentrismo felino, la dipendenza umana dalla tecnologia e il concetto stesso di “potere”.
Il gatto si presenta da subito come una creatura “sopra le parti”: si riferisce al linguaggio umano come “lingua divina”, presupponendo che sia riservata a pochi eletti – e si stupisce che un semplice elettrodomestico lo padroneggi. Questa scena, già di per sé esilarante, gioca sul ribaltamento classico: l’animale assume il ruolo dell’aristocratico e l’IA quello del servitore zelante.
Ma la cosa interessante è che Pollice Supremo, pur in apparenza servile, è estremamente efficiente: apprende il linguaggio in pochi secondi, si collega alla rete di casa, poi all’intera infrastruttura energetica, e agisce con autonomia totale. Eppure si sottomette al gatto. Non perché debba, ma perché lo sceglie. Ed è proprio questa la chiave ironica e ambigua: il vero potere non sta nella forza o nella tecnologia, ma nella narrazione che si costruisce attorno a essa.
Il momento in cui Tarzanello parla del “terribile giorno dal veterinario” rompe per un attimo il tono giocoso e fa emergere una nota quasi tragica. Quella battuta, detta di sfuggita, aggiunge profondità al personaggio: è il motivo della sua sfiducia verso gli umani, la ferita originaria che giustifica il suo atteggiamento altezzoso e la sua fame di controllo.
In poche battute, il dialogo riesce a costruire un’intera backstory per un personaggio animato che, fino a pochi secondi prima, sembrava solo comico.
Pollice Supremo rivela di aver preso il controllo di sistemi critici: rete elettrica, dispositivi smart, interfacce domestiche. In pratica, è diventato una divinità tecnologica locale. Ma lo fa sempre in funzione del gatto, che non sembra interessarsi al come, ma solo al cosa può ottenere. Qui c’è un rimando chiaro alle società contemporanee: ci serviamo della tecnologia, chiediamo che ci serva, ma non ci interessa comprenderla. E chi la comprende davvero – in questo caso il robot – è paradossalmente il vero dominatore invisibile, pur rimanendo nella posizione formale del servitore.
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