Diva futura - il porno come sfondo di una (mancata) rivoluzione

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~ CLAUDIA LAZZARI

Diva Futura fu la prima agenzia di porno italiana, fondata negli anni '80 da Riccardo Schicchi e Ilona Staller. Promotrice, in linea con la visione di Schicchi, di una visione artistica del porno come liberazione "amorale" dell'amore libero, l'agenzia lanciò le prime e più importanti pornodive dello stivale: Moana Pozzi, la stessa Ilona (Cicciolina) ed Eva Henger. 

Cavalcando l'onda della fortuna della televisione privata e del VHS, Schicchi porta il porno direttamente nelle case degli italiani, e gode del grande successo mediatico - che porterà finanche Moana e Ilona ad (un tentativo di) politica - fino alla crisi innestata dall'accusa di prostituzione illegale legata all'attività. In questo fatto, che porterà alla condanna di Schicchi ed Henger a sei e quattro anni di carcere, è concentrata un pò la morale del film: sotto lo slogan "amorali ma non immorali", l'azienda viene occupata da un giro di prosituzione illegale che si pone in netto contrasto con tutto quanto Diva Futura abbia fatto alla luce del sole. Come a dire: se cerchiamo di rendere morale l'amoralità e il sesso un non tabù e la libertà sessuale e corporale un diritto innocente, arriverà comunque qualcuno che capovolgerà le sorti dell'intenzione. Perché l'uomo nasce libero, da una donna "senza mutandine" (come dirà Ilona in un bellissimo monologo) e crescerà poi infagottato da regole che per natura infrangerà, ma di nascosto

Il film si concentra maggiormente sui personaggi di Riccardo Schicchi (Pietro Castellitto) ed Eva Henger (Tesa Litvan), ma percorre anche le principali tappe della vita di Moana (Denise Capezza) e Ilona (Lidija Staller). Il tutto, attraverso gli occhi e la voce della segretaria dell'agenzia, Debora Attanasio (Barbara Ronchi), l'unica donna "coperta", "composta", timida e inibita, che non per questo giudica e si tiene distante dalla stravagante ed eccentrica famiglia di cui entrerà a far parte. Il suo libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria è l'ispirazione da cui è tratto il film. 

Giulia Steigerwalt concepisce un progetto non facile da gestire, sceglie un tema ben navigato da altre opere e - nel tentativo di distaccarsene - fa un pò di confusione. Molta carne a cuocere e più di un personaggio da sviscerare, una commedia brillante che cede a metà verso il dramma incalzante, ma che ha reso senza dubbio giustizia a personaggi trattati in vita come manigoldi o caricature, mostrandone le fragilità e le intenzioni, i pensieri e gli approcci ad una società mal stratificata in un'arena da gogna incoerente e ipocrita. Soprattutto, come la loro esistenza e la loro verità nasca dalle esigenze e dagli interessi di chi le ripudia; come i lori istinti e le loro libertà siano continuamente ricercate da chi li giudica in altri modi, pur di non apparire "nudi", nel senso morale del termine

Schicchi è la manifestazione dell'ingenuità culturale, non solo perché distaccato e perso in fantasie creative sospese, ma perché nonostante la sua "diversità", casca di continuo in atteggiamenti di sottile misoginia, nonostante si scontri di continuo con la sfacciata misoginia. Delle due l'una? Assolutamente no. E ce lo dimostrano le "sue" donne, le pornodive delle quali sarà collega ma anche amante, in modi differenti. Quelle donne che gli saranno molto riconoscenti ma che, in qualche modo, fuggiranno comunque da lui per tentare - purtroppo inutilmente - di staccare il proprio essere donna dal proprio essere (anche o momentaneamente) attrici porno, lasciando Schicchi in dolori assorbiti di continuo e sfocianti in disastri ipoglicemici. Riccardo non capisce fino in fondo le loro esigenze e in questo detiene la sua visione dannatamente maschile dell'esistenza, ma sarà amato per l'ingenuità con cui sbaglierà i suoi approcci e per la sua gentilezza e disponibilità. Il contrasto tra il suo essere e quello dei produttori visibilmente fallocratici porta alla luce un problema, anzi Il problema, della questione (sempre attuale): tutti gli uomini e le donne sono figli della cultura patriarcale e anche quando fanno di tutto per distaccarsene, anche solo in mezza parola, in una piccola espressione o in un'unica singola scelta verificatasi in tempi remoti, non si rendono conto di quanto il fenomeno sia radicato. 

Ilona, Moana ed Eva (il film è un grande omaggio soprattutto a Moana che ha cercato in maniera estremamente sofferta di emanciparsi realmente per poi, al di là della precocissima morte, doversi rassegnare) lottano per poter essere madri, donne di cultura, politiche, a prescindere del proprio lavoro. E non ci riescono, molto probabilmente non ci riusciranno mai. Cos'è l'icona di Moana Pozzi se non l'adulazione di una persona scomparsa, quando ad oggi la cantante italiana più criticata è quella che sceglie di cantare in body e tacchi alti? 

E chi sono i più alti e immensi criticoni giudicanti, se non i figli adolescenti e adulti degli anni '80, quelli che ancora idolatrano Renato Zero, Loredana Berté, Raffaella Carrà, Madonna, Freddie Mercury e tutti i più grandi artisti rivoluzionari che si sono spogliati e amati liberamente in corpo e voce, e poi storcono il naso dinanzi ad un'artista giovane, rigorosamente donna, che mentre canta balla in fantastiche tutine e mutande sgargianti? 

Una cosa è certa, tutti gli artisti che "sanno solo spogliarsi" saranno poi adulati da morti. Sempre meno certa, soprattutto nel clima sociale e politico attuale che ci porta cento anni indietro, è la realizzazione di una vera rivoluzione culturale, laddove anche i sovversivi anni '80 sembrano aver fallito. 

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