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Intervista a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Il 19 novembre ha esordito nelle sale 40 secondi, il film di Vincenzo Alfieri presentato e premiato alla Festa del Cinema di Roma. Un film che narra le ultime ore di vita di Willy Monteiro Duarte, prima della sua scomparsa che ha sconvolto l’Italia intera. Un film necessario, attuale che ha tanto da dire sul mondo di oggi e sulle falle educative, sulle problematiche che affliggono i giovani e l’incapacità di gestirle.
La notte tra il 5 e il 6 settembre 2020, il 21enne Willy interviene in una lite per difendere un amico e viene ucciso a suon di botte da due gemelli marzialisti, le cui fredde parole di difesa in tribunale riecheggiano tutt’oggi nelle orecchie degli italiani. La rappresentazione delle ultime ore di vita di Willy, oltre a omaggiare il ragazzo che sognava di diventare uno chef, il suo coraggio, i suoi valori, restituisce la brutalità del fato, gli intrecci tra rapporti piegati a regole sociali sbagliate, dinamiche tossiche e quotidiane della collettività.
Ho intervistato Daniele Cartocci, l’interprete di Cristian nel film, e membro storico della Community di Recitazione Cinematografica.
Buona lettura
Willy Monteiro Duarte è il nome di un ragazzo la cui morte ha spezzato davvero il cuore di tutti, ma anche la personificazione di un fenomeno di violenza sempre attuale, un imbruttimento della società e una scarsa cultura nel gestirlo. Cosa pensi possa offrire questo film allo spettatore oltre alla qualità artistica?
Secondo me parla sia alle generazioni più grandi, anche genitori, perché può aiutarle a comprendere i propri figli o le generazioni dopo. E' un modo per metterli in connessione con alcuni pensieri dei ragazzi. Mentre ai ragazzi stessi, quindi diciamo la nostra generazione, e anche quelli più giovani, è un modo per sensibilizzarli e fargli capire che per una banalità possono succedere delle tragedie.
Cosa pensava Daniele in quanto essere umano e in quanto anche romano, (quindi vicino al luogo della tragedia) di questa vicenda? E cosa pensa adesso, dopo aver preso parte al film?
Ho appreso della notizia tramite social, Facebook se non ricordo male. E all'inizio non è che capivo bene, ho provato a leggere gli articoli, però vedevo un po' di confusione. Sembrava un discorso di razzismo, poi… insomma, una lite finita male…. però non era ben spiegata, con questo ragazzo che si era messo in mezzo per difendere un amico, che poi alla fine è vero… Però in realtà, studiando il libro di Federica Angeli, il libro d'inchiesta da cui è partita la sceneggiatura, ho notato che nei primi articoli c'erano state delle grandi approssimazioni. In realtà la vicenda era molto più dettagliata, c'erano dei dettagli che possono ridursi… a una catena di eventi negativi. Della serie: se tutto poteva andare male, è andato tutto male. Una catena che ha portato alla tragedia di Willy che in realtà sì, ha difeso un amico, però lui voleva solo stemperare un po' la situazione, far capire che non serviva litigare. E invece poi sono arrivati quei due e l'hanno massacrato.
Ti va di descriverci a tutto tondo Cristian, che è il tuo personaggio nel film, dal tuo punto di vista ovviamente?
Sostanzialmente Cristian è un ragazzo di provincia che è molto insoddisfatto. Insoddisfatto, insofferente e non ha un sogno, cosa che invece Willy, e la sua ragazza Michelle, hanno. Quindi già c'è una prima differenza rispetto a questi due personaggi che sono legati a Cristian, che si muove su due lati della narrazione: da una parte il gruppo e Willy, con cui c'è un’amicizia ed un rapporto sano. Mentre con Michelle c'è un rapporto tossico, quindi una relazione tossica dove si parla della cultura del possesso, quindi della donna vista come oggetto. Per Cristian Michelle è sua, lei vuole andare a studiare fuori e invece lui non vuole, e non comprende proprio la motivazione, perché è un ragazzo ignorante, legato alla provincia e che, appunto, non ha un sogno. Quindi mentre incoraggia Willy a inseguire il suo sogno, con Michelle invece fa il contrario, perché ha paura dell'abbandono.
Ho visto in alcune interviste anche ai tuoi colleghi del cast una partecipazione emotiva molto forte alla vicenda che va al di là dell'immedesimazione. Come hai gestito insieme a loro e al regista Vincenzo Alfieri la responsabilità di mettere in scena un fatto così reale sia dal punto di vista interiore che quello esteriore, quindi il fatto di cronaca e le persone coinvolte?
Inizialmente ero felice di far parte del cast, però ho sentito una responsabilità e vedevo anche negli altri serietà. Poi chiaramente sul set si cazzeggia anche, però c'era una serietà di fondo dovuta al tema che si affrontava nel film. E quindi andavamo tutti nella stessa direzione proprio perché appunto… non è stato solo un film, è stato qualcosa di più, proprio per il tema che si affrontava. Poi come ti dicevo sul set essendo tanti ragazzi si tendeva anche a cazzeggiare. Vincenzo invece ci riportava un po' sempre sull'attenti dicendo: “Guardate, stiamo facendo un film che comunque tratta una vicenda drammatica.”

Quali sono state le emozioni più difficili con cui ti sei dovuto interfacciare nella preparazione e poi nell'attuazione di questo personaggio?
Io caratterialmente sono ansioso, quindi avevo un po' ansia, data da tutto… dalla preparazione del personaggio, ma anche sul set, perché si doveva rispettare un certo rigore, no? Quindi sicuramente paura, ansia, però allo stesso tempo gioia di far parte di un progetto importante, perché come ti ho detto prima non è solo un film, ci ho visto dentro anche uno scopo sociale. Questo provava Daniele.
E per il personaggio di Cristian? Che ricordiamo essere l'amico che Willy ha difeso la notte della sua morte. Se ci sono state delle emozioni particolari da portare in scena?
Secondo me Cristian ha una sensibilità, però una sensibilità mascherata, nel senso che lui è fragile, però maschera la sua fragilità con l'aggressività. E questo lo rende anche un po' freddo in certi momenti. Mentre magari con gli amici si scioglie un po' di più, con Michelle, dovuto anche al fatto che si stanno lasciando, è un po' più distaccato. Però è un distacco ferito, ecco, è un cucciolo ferito, come ti posso dire.
Ok. Il film ha iniziato già un tour che coinvolge anche le scuole. Quanto è importante per te parlare ai ragazzi attraverso la storia di Willy?
Per me è fondamentale per lo scopo che ti dicevo in precedenza. Il fatto di cercare di sensibilizzare i ragazzi a non, come posso dire… è un discorso che verso quell'età, verso i 15, 16 anni ho provato anch'io, perché magari avevo anch'io un po' di insoddisfazione, di rabbia repressa, penso quasi tutti i ragazzi di quell'età ce l'abbiano. Quell’età in cui devi capire chi sei.
Si, come una sorta di loop emotivo, no?
Esatto, quindi non hai una strada ben segnata. E secondo me questo film fa capire l'importanza anche di avere dei sogni, coltivarli e di avere degli obiettivi, che secondo me ti salvano. Che poi in realtà è pure un po' il caso mio, perché comunque a me il cinema ha tolto quell'insoddisfazione che provavo. E quindi secondo me il film va visto proprio per far capire ai ragazzi che all'inizio è normale non trovare una strada, però comunque se hanno una passione la devono perseguire e quello ti può levare l'insoddisfazione. In questo caso il film parla di insoddisfazione che sfocia in rabbia, rabbia repressa.
Ok, mi hai chiamato la domanda successiva. Tu, Daniele Cartocci, come approcci al cinema e come nasce questa passione?
Io mi ricordo un film che ho visto, dal quale ho capito la potenza del cinema che è “La nostra vita” di Daniele Luchetti. Anche “Che ne sarà di noi” di Giovanni Veronesi. Però in realtà ogni tanto ci ripenso, e già da piccolo piccolo, nonostante volessi giocare a pallone, avevo altre idee, altri sogni… quando uscivo dal cinema, mi ricordo tipo… “Billy Elliot”... io per una settimana volevo fare il ballerino. Quindi in realtà forse era una cosa che già avevo proprio da piccolo e tra l'altro la mamma di una compagnetta mia delle elementari, che era insegnante di danza classica diceva sempre a mia madre: “Portalo perché fisicamente è longilineo”.

E cosa consiglieresti agli attori e alle attrici che oggi sono sfiduciati e faticano anche a convivere con l'ansia del non riuscire ad emergere. Ad esempio, tu che comunque stai iniziando a fare alcuni lavori come attore esordiente, come hai gestito il momento precedente al… “Ok, ho appena ottenuto un ruolo importante in un film”?
Una strada per gestire l'ansia dici?
Sì proprio per convivere con l'ansia di non farcela.
Distrarsi, fare altro. Però nello stesso tempo io facevo altro, quindi mi distraevo, non pensavo tutto il giorno a quello… anche se… E’ difficile da spiegare. Cercavo di non pensare tutto il giorno a quello, ma in realtà ci pensavo tutto il giorno e quindi anche a me veniva l'ansia. Però un modo per gestirla è sicuramente avere altri svaghi, altre distrazioni.
Qual è la parte che preferisci di questo lavoro e la parte che magari fatichi un po' di più a gestire?
La parte che preferisco è la preparazione. Perché sento di avere un ordine, sento di avere schema ben preciso. Poi anche sul set tocchi l'apice e il "dopo" a me in realtà non è che piace tanto. (Ride) Però, vabbè pure quello comunque è bello, perché poi trovi tutta la soddisfazione del lavoro che hai fatto e la vedi anche quando le persone vanno al cinema.
Il "dopo" intendi il fatto di essere visto in generale oppure tutto quello che c'è da fare dopo la distribuzione di un film?
Tutto. A me piace proprio stare sul set, però arrivare pronto. Sia la fase di preparazione, che per dirti su questo film, io mi sono letto 2 volte il libro di Federica Angeli, mi sono recuperato tutto il materiale, che ne so… “Un giorno in pretura”, mi sono visto tutte le interviste, ho sentito i podcast, poi ho fatto lo studio del personaggio, poi quando sono arrivato sul set ho lasciato andare tutto.
Una parola per definire il tuo essere attore.
Soldato.
Mi piace! Viviamo in un mondo che ormai è fortemente individualista e sul set portiamo invece avanti un lavoro di squadra importante. Mettiamo in scena un mondo violento ed egoista facendo squadra e supportandoci anche a vicenda quando siamo fortunati. Quanto credi sia importante il supporto, nella vita e in questo lavoro e come ti sei sentito sotto questo punto di vista durante la realizzazione di 40 secondi?
No è fondamentale, è la prima cosa. Se non c'è quella e ognuno va per conto suo neanche finisce il film. Te l'ho detto, la fortuna di questo film secondo me è che tutti, dalla prima persona all'ultima persona che ci hanno lavorato, andavano nella stessa direzione. Poi uno vede l'attore al cinema, però poi in realtà ci stanno dietro gli operatori, i macchinisti, elettricisti, la produzione, cioè un miliardo di persone che sono il film. Quindi il pubblico chiaramente vede solo l'attore, ma dietro l'attore, dietro a quel vestito ci sta la costumista… l'assistente della costumista, e tanti altri che come loro fanno il film. L'attore è solo quello che poi viene visto, ma non è l'unica componente del film.
Tu sei uno dei volti storici della Community di Recitazione Cinematografica e io personalmente sapevo che presto sarebbe arrivato un “momento intervista” del genere con te e sono felicissima di essere io a farlo. E in merito ti vorrei chiedere quanto il tuo percorso di Recitazione Cinematografica, in particolare quello con Alfonso Bergamo, sia stato così importante per Daniele, come essere umano e come professionista.
Tantissimo. A me ha dato tanta consapevolezza il percorso con Alfonso, al di là della community che comunque mi ha fatto conoscere te e altre mille persone. Il percorso con Alfonso in particolare mi ha dato tanta consapevolezza e cultura cinematografica in generale. Anzi, proprio l'altro ieri ho fatto un'altra intervista e un giornalista mi ha chiesto se io ero più uno istintivo o che ragionava. E gli ho fatto l'esempio dell'amigdala con la corteccia, come funzioniamo noi e il nostro cervello, alcune cose che ci sta insegnando Alfonso in queste lezioni.
Ridono

Adesso siamo tutti più più fighi con sta roba, cioè siamo tutti più consapevoli.
Il fatto non è solo di essere fighi, è anche poter ragionare e avere una cultura, chiaramente cinematografica e legata al cinema, che però ti dà poi tanta consapevolezza.
Magari delle cose che facevamo in maniera istintiva, stiamo riuscendo mano a mano ad inquadrarle.
Ti dà degli strumenti, sì. E anche il primo, il secondo giorno di set, mi stavo vedendo la registrazione proprio di una lezione di Alfonso, una delle ultime dello scorso anno chiaramente, e parlava dell'ascolto, quindi sono arrivato sul set proprio pensando all'ascolto. Ed è una cosa che ti aiuta molto, quando lavori. E' un percorso che ti aiuta ad affrontare il set e non solo.
RC è una community per attori che cerca di creare uno spazio per opportunità, ma soprattutto per supporto. Quanto credi siano importanti questi spazi oggi e quali credi siano i benefici che possano creare?
Il beneficio primario della community secondo me è il fatto di conoscere persone che hanno la tua stessa passione e quindi puoi anche confrontarti, puoi apprendere altri punti di vista di altre persone che hanno la tua stessa passione.
Per allacciarmi a questo discorso della Community che ruolo pensi abbiano i social oggi nel nostro mestiere? E se hanno avuto un ruolo nella tua formazione o nella tua immersione.
Secondo me sono importanti se uno li usa con la testa, altrimenti possono essere dannosi, in generale, ma anche su questo film ci sono dei riferimenti all'uso del telefono, nel senso che può diventare uno strumento “del demonio”. Con i social tu vedi altre vite, però le persone fanno vedere solo quella parte, che è la parte bella. Un ragazzo può sentirsi, tornando al discorso precedente, insoddisfatto perché vede la vita di un altro che è più bella della sua. Però questo non significa demonizzarli perché possono essere anche utili soprattutto magari nella recitazione dove magari puoi fare networking. Anche la Community di Recitazione Cinematografica, io l'ho vista su Instagram, e sta su WhatsApp, quindi ho conosciuto tutte queste persone tramite i social. Quindi se usati correttamente i social sono importanti, poi in generale un attore secondo me non è un influencer. Un pò questa sta cosa sta cambiando, nel senso che anche magari i produttori vedono quanti followers uno ha, e anche se non è un attore gli fanno fare l'attore. Però di base l'attore è un mestiere. I social secondo me lo ricoprono fino a un certo punto.
Ultima domanda, alla luce di quanto hai realizzato in questo film, cosa diresti al Daniele adolescente se potessi parlargli da Daniele trentenne.
Forse di comincia a studia' prima recitazione. (Ridono) No, però credo che alla fine secondo me ogni cosa ha il suo tempo. Forse io a sedici, diciassette, diciott'anni non avevo la testa per fare recitazione. Secondo me comunque è un percorso che uno deve fare, non è che le cose arrivino così. E quindi se diciamo che le cose stanno avvenendo adesso è perché ho fatto un percorso… e piano piano uno trova la sua strada, quindi... che gli direi… Sì forse, si, sembrava una battuta però magari iniziare un po' prima a studiare recitazione.

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