La donna alla finestra: analisi del dialogo tra Anna e Katherine, tra verità e inganno

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~ LA REDAZIONE DI RC

La donna alla finestra

“La donna alla finestra” (The Woman in the Window, 2021) è un thriller psicologico diretto da Joe Wright, tratto dall’omonimo romanzo di A. J. Finn. La sceneggiatura è di Tracy Letts, che nel film interpreta anche uno dei personaggi secondari. Un film che gioca chiaramente con gli stilemi di Hitchcock, a partire dal riferimento più evidente: La finestra sul cortile. Ma c’è una differenza sostanziale — qui lo sguardo non è quello di un testimone inerte, ma di qualcuno la cui mente è già incrinata prima che inizi la storia.

La protagonista è Anna Fox (Amy Adams), una psicologa infantile affetta da agorafobia. Non esce di casa da mesi. Vive in una grande villetta a tre piani a Manhattan, spettrale e immersa in un silenzio ovattato, come fosse fuori dal tempo. Passa le giornate a osservare i vicini dalla finestra, bere vino rosso e guardare vecchi film noir in bianco e nero. Il punto è proprio questo: Anna non è una narratrice affidabile. Fin dall’inizio, capiamo che qualcosa nella sua versione della realtà non torna. La sua routine cambia quando nella casa di fronte si trasferisce la famiglia Russell. Il figlio adolescente, Ethan, va a trovarla e le sembra timido, educato, forse troppo. Poi conosce Jane Russell, la madre — o almeno, crede di farlo. Una donna energica, affettuosa, misteriosa. Fanno due chiacchiere, giocano a dama, condividono qualche bicchiere. Passa poco tempo e Anna, guardando fuori dalla sua finestra, assiste a quello che crede essere un omicidio: Jane viene accoltellata.

Chiama la polizia. Ma le cose prendono una piega straniante: quando i Russell si presentano a casa sua, la donna che dice di essere Jane Russell non è la stessa che Anna ha incontrato. È un’altra persona (interpretata da Jennifer Jason Leigh). Ethan finge di non sapere di cosa stia parlando. Il marito, Alistair (Gary Oldman), è ambiguo e ostile. E il detective che si occupa del caso insinua che sia tutta una fantasia, un effetto collaterale dei farmaci che Anna assume con l'alcol. A questo punto il film entra in una fase di thriller da camera mentale. Lo spettatore è chiamato a chiedersi: cosa è vero e cosa no? Anna è una testimone attendibile o è vittima della propria mente?

La risposta si svela lentamente, tra indizi lasciati qua e là (una fotografia, un frammento di dialogo, un computer lasciato acceso). Fino al colpo di scena: non era tutto nella sua testa. La prima Jane esisteva davvero, ma nessuno vuole ammetterlo perché la sua presenza contraddice le versioni ufficiali. E il vero pericolo arriva da un’altra direzione: Ethan, il ragazzo all’apparenza innocuo, si rivela essere un giovane sociopatico, con un passato di violenza, e una fissazione per la manipolazione psicologica. Il finale si svolge in piena notte, sul tetto della casa, sotto la pioggia battente. Un confronto fisico, quasi teatrale, tra Anna e Ethan, che si chiude con la morte del ragazzo e un lento ritorno alla lucidità della protagonista. Alla fine del film, Anna è pronta a lasciare la casa e forse a tornare nel mondo reale.

Il dialogo

Katherine: Julianne Moore

Anna Fox: Amy Adams



Katherine: Ma pare che non ti chiedo come sei diventata così.

Anna Fox: Così come? 

Katherine: Agorafobica. 

Anna Fox: Ho… ho l’ansia. Ho un disturbo d’ansia. Punch? (Anna Fox fa la foto al suo gatto, Punch) 

Katherine: Quindi… che bravo (rivolto al gatto) Per questo prendi tante compresse? 

Anna Fox Mhm-mhm. 

Katherine: Allora questa… questa cosa fa? Questa rosa. Questa? 

Anna Fox: Quello è Inderal. 

Katherine: Ahh. Betabloccante. 

Anna Fox: Come lo sai? 

Katherine: Perché è scritto sul flacone. Ahah… Sono sicura che non dovresti assumerle con gli alcolici. 

Anna Fox: Mhmm. mentre beve un bicchiere di vino. Grazie della candela. Ethan me l’ha portata, grazie.

Katherine: Oooh, uao. Frenata e cambio d’argomento, colpo di frusta.2 Ridacchia, ridacchiano entrambe. 

Anna Fox: E’ un bravo ragazzo. 

Katherine: Apre un ciondolo che porta al collo. All’interno, una foto di suo figlio Guarda. 2 Ohh..

Katherine: Oh… 

Anna Fox: Che carino. 

Katherine: Si 

Anna Fox: Si. 

Katherine: E’ mio figlio. Il mio bambino. Sai quando hai nu figlio dici il mio bambino, mio figlio, no? Come se fosse tuo, come se ti appartenesse, ma non è così. 

Anna Fox: Tu appartieni a loro. 

Katherine: Esatto, esatto. Tu appartieni a loro. E forse non eri mai appartenuta a nessuno, prima. Insomma, forse tu… tu credevi di appartenere ai tuoi genitori, ma poi sei cresciuta. Di certo non appartenevi a tuo marito. Arriva questo bambino e ti possiede. All’improvviso ha un moto di commozione. Non te lo devo dire io. Si riprende. 

Anna Fox: Belli i tuoi orecchini. 

Katherine: Oh, già, grazie, sì. Un dono. Un dono di un vecchio fidanzato. 2 A tuo marito dispiace?

Anna Fox: Dubito che lo sappia. Scoppia a ridere. Lui non si fida. 

Anna Fox: 2 Oh, e come mai? 

Katherine: Non lo so. 

Anna Fox: Non lo sai? 

Katherine: Io no… ma dai, no. io NON lo so. Non lo so… è… Chi lo sa perché non si fida? Lui è un brav’uomo, è un bravo padre. E’ solo che sai, è… rigido. Autoritario. Ho problemi anche io. Sai. Ma ci lavoro su… e riesco a gestirli. Ma… ma forse qualche volta devo… fare un pò da arbitro. E io mi preoccupo per Ethan, lui… è sensibile. 



SI GUARDANO.

 

Katherine: Le famiglie. Complicate. 

Anna Fox: Perché, la tua famiglia è complicata? 

Katherine: Nel frattempo ha disegnato uno schizzo, che lancia sul tavolo. Guarda. 

Anna Fox: Uao, è incredibile. 

Katherine: Si, un Jane Russell originale. Visto il mio cambio di argomento? 

Anna Fox: Ho visto. 

Katherine: Si, e non sai con chi hai a che fare. 

Ridacchiano entrambe.

Analisi dialogo

Questa scena avviene poco dopo che Anna ha fatto conoscenza con “Katherine”, una donna carismatica, diretta, un po’ fuori dagli schemi. Ma come si scoprirà in seguito, la donna con cui Anna sta parlando non è Katherine Russell, bensì una terza figura completamente esterna alla famiglia Russell. Il dialogo quindi assume un valore doppio: quello che vediamo non è ciò che sembra. All’inizio, la scena si muove su binari da confidenza tra sconosciute: “Come sei diventata così?”, chiede la donna, con apparente leggerezza. Ma già qui c’è una piccola aggressione passiva. La frase è carica: “così” non è neutra, è un giudizio. Anna risponde con vaghezza: “Ho l’ansia”. E cambia subito argomento, parlando del gatto, Punch. È un meccanismo di difesa. E questa fuga dalla verità è una costante del personaggio: Anna scappa dalla realtà, perfino nella conversazione. Il passaggio sui farmaci è importante: Katherine legge i nomi dalle etichette, sa cos’è l’Inderal (un betabloccante usato anche contro l’ansia). Questo momento sposta il baricentro del dialogo: chi è davvero in controllo qui? Anna dovrebbe essere la padrona di casa, ma è Katherine che dirige la conversazione, anche quando finge leggerezza.

“Sei sicura che dovresti assumerle con l’alcol?” – è una battuta, ma è anche un’accusa velata. Il vino in mano ad Anna è un elemento ripetuto per tutto il film, che sottolinea la sua inaffidabilità e il senso di colpa costante che si porta dietro. La scena cambia marcia quando Katherine mostra il ciondolo con la foto del figlio. Da qui parte il momento più intenso e stratificato del dialogo: “Quando hai un figlio, dici ‘il mio bambino’, come se ti appartenesse… ma non è così.” È qui che emerge il vero sottofondo emotivo della scena: il legame madre-figlio come forma di schiavitù emotiva. Katherine dice: “Tu appartieni a loro”. Anna annuisce, ma lo fa con una tonalità che lascia trasparire una ferita. Il dolore è condiviso ma mai esplicitato: entrambe le donne hanno alle spalle una perdita.

Col senno di poi, sappiamo che Anna ha perso sua figlia e suo marito in un incidente d’auto, e questo spiega il suo isolamento e la fragilità che traspare sotto ogni parola. Katherine sembra intuirlo, ma non affonda il colpo. Invece vira verso qualcosa di ancora più sottile: il disegno. Anche il cambio di argomento viene sottolineato ironicamente: “Hai visto il mio cambio d’argomento?” / “Ho visto.” — La scena è un continuo rimbalzo tra intimità e falsificazione. È un gioco di specchi. In cui ogni battuta ha un doppio fondo.

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