Monologo di Anton Ego – la professione del critico | Ratatouille

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi del monologo di Anton Ego in "Ratatuille"

Il monologo di Anton Ego in Ratatouille è una delle riflessioni più profonde mai scritte sul ruolo del critico e sul valore dell’arte. Apparentemente elegante e controllato, il discorso nasconde una frattura interiore che lo rende perfetto per un lavoro attoriale di grande maturità. Non è un testo emotivo in senso classico, ma una resa lucida, una presa di coscienza che attraversa potere, giudizio e responsabilità.

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Ratatuille
Personaggio: Anton Ego
Attore: Peter O' Toole

Minutaggio: 1:39:00-1:41:35

Durata: 2 minuti, 35 secondi

Difficoltà: 7/10 controllo, precisione, trasformazione interiore

Emozioni chiave Superiorità / cinismo, onestà intellettuale, sorpresa profonda, smarrimento identitario, riconciliazione / resa nobile, ammirazione sincera

Contesto ideale per un attore Comunica: intelligenza, autorità, profondità senza isteria. Audizioni per personaggi di potere: critici, giudici, professori, direttori, mentori

Dove vederlo:Disney+

Contesto del film "Ratatuille"

Remy è un ratto con un dono rarissimo: un olfatto e un gusto straordinari. A differenza del resto della colonia, non mangia per sopravvivere, ma per capire il cibo. Il suo idolo è Auguste Gusteau, chef televisivo e autore del celebre motto: “Chiunque può cucinare”. Ed è qui che nasce il primo grande conflitto del film:  Remy può cucinare, ma non dovrebbe. È un ratto. Il mondo non lo vuole in cucina. Quando, per una serie di eventi, Remy si ritrova a Parigi e finisce nelle cucine del ristorante di Gusteau, incontra Alfredo Linguini, giovane sguattero maldestro, senza talento né ambizione. I due formano una coppia perfetta e impossibile: Remy ha il talento ma non può mostrarsi, Linguini può stare in cucina ma non sa cucinare Il loro rapporto si basa su una finzione teatrale potentissima: Remy guida Linguini tirandogli i capelli, letteralmente recitando al suo posto. È una metafora chiarissima: quante volte il talento vero è nascosto dietro un volto accettabile? Man mano che il successo cresce, crescono anche i problemi. Linguini si abitua alla fama, Remy si sente sfruttato, e il sogno inizia a incrinarsi. Il film non idealizza il talento: lo mette sotto pressione. A complicare tutto arriva Anton Ego, critico gastronomico temutissimo, simbolo del giudizio assoluto: è l’incarnazione della paura di non essere all’altezza, soprattutto per chi crea.

Testo del monologo + note

Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che, nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale... ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero... ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni: al nuovo servono sostenitori! Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cena sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina è a dir poco riduttivo: hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere! In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau "Chiunque può cucinare"... ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire: non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque! È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's e che, secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia. Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio! 

“Per molti versi la professione del critico è facile:”: attacco con autorità calma; sguardo frontale, quasi didattico; micro-pausa su “facile” per far sentire il piacere del controllo.

“rischiamo molto poco, pur approfittando del grande potere che abbiamo…”: tono lucido, chirurgico; non accusatorio ma consapevole; sottolinea “grande potere” con un accento minimo; pausa breve dopo “poco” per far pesare l’ammissione.


“Prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere.”
: punta di cinismo elegante; mezzo sorriso interno (non compiacimento caricaturale); accelera leggermente su “uno spasso” e poi frena su “leggere” come se sentisse il gusto amaro.


“Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che, nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale…”
: cambio di temperatura; voce più bassa, più personale; pausa dopo “triste realtà”; su “grande disegno delle cose” lo sguardo si alza come a cercare una prospettiva più ampia; “molta più anima” va detto con rispetto, quasi un inchino invisibile.


“ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero…”:
qui entra la crepa; rallenta; lascia un silenzio dopo “davvero” come se si stesse misurando per la prima volta con la vulnerabilità.


“ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo.
”: tono da testimone, non da predicatore; su “difendere” aggiungi una piccola energia, come se la parola costasse.


“Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni:
”: sguardo che si sposta leggermente di lato, come ricordando quante volte ha visto “il nuovo” respinto; ritmo stabile, senza retorica.

“al nuovo servono sostenitori!”: primo vero colpo di voce; non urlato, ma più pieno; pausa subito dopo l’esclamazione per far sentire che sta parlando anche di sé (e del suo dovere mancato).

“Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile.”: il ricordo entra nel corpo; ammorbidisci lo sguardo; “qualcosa di nuovo” va detto con meraviglia controllata; pausa dopo “straordinario”; su “assolutamente imprevedibile” lascia trasparire un sorriso minimo, quasi incredulo.

“Affermare che sia la cena sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull'alta cucina è a dir poco riduttivo:”: qui stai preparando il salto; tono formale ma teso; breve sospensione su “a dir poco” come se cercassi le parole giuste.

“hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere!”: è la frase-cardine; non farla melodrammatica: rendila sincera e spaventata; respiro prima di “fondamenta”; su “del mio essere” lascia uscire un filo di voce più nudo; dopo l’esclamazione, silenzio pieno.


“In passato non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello chef Gusteau “Chiunque può cucinare”
…”: riprendi la postura da critico, ma con autoconsapevolezza; su “sdegno” niente compiacimento, solo constatazione; quando citi “Chiunque può cucinare” trattalo come una frase che prima disprezzava e ora pesa diversamente: pausa subito dopo.

ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire:”: qui entra la trasformazione; rallenta; “soltanto ora” è una confessione, quindi piccolo abbassamento dello sguardo; pausa dopo i due punti come se aprissi una porta.

“non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque!”: non è slogan motivazionale: è una verità conquistata; “non tutti possono” con realismo, senza addolcire; pausa netta su “ma”; su “celarsi” fai sentire la parola (come se vedessi Remy); chiudi con energia luminosa ma composta.


“È difficile immaginare origini più umili di quelle del genio che ora guida il ristorante Gusteau's”:
qui l’ammirazione diventa concreta; tono rispettoso, quasi cerimoniale; su “origini più umili” evita la pietà: è dignità; micro-pausa su “del genio” per dare valore senza enfasi.

 “e che, secondo l'opinione di chi scrive, è niente di meno che il miglior chef di tutta la Francia.”: torna l’eco della recensione scritta; ritmo da firma in calce; “secondo l’opinione di chi scrive” con un lampo di ironia sobria (sa quanto conta quella frase); su “il miglior chef” piena sincerità, senza trionfalismo.

Tornerò presto al ristorante Gusteau's, di cui non sarò mai sazio!”: chiusura con un piacere quasi infantile ma controllato; sorriso appena accennato; non correre: lascia “mai” respirare; dopo l’ultima parola, silenzio lungo, come se per la prima volta il critico avesse fame di qualcosa che non è potere, ma esperienza.

Analisi del monologo di Anton Ego in "Ratatuille"

Il monologo di Anton Ego, tratto da Ratatouille, funziona come una confessione pubblica che non nasce dal pentimento, ma dalla presa di coscienza. Ego non sta chiedendo scusa, né sta ritrattando il suo ruolo: sta ridefinendo il senso stesso del giudizio critico. L’apertura è volutamente controllata, quasi accademica. Parlando della “facilità” del mestiere del critico, Ego si colloca subito in una posizione di potere lucido e consapevole. Non c’è vergogna, ma una lucidità fredda, quasi clinica, che rivela quanto il giudizio negativo sia spesso più comodo, più sicuro, più gratificante di quello costruttivo. Man mano che il discorso avanza, però, questa sicurezza comincia a incrinarsi. Quando ammette che anche l’opera più mediocre possiede più anima del giudizio che la definisce tale, Ego compie il primo vero passo fuori dal personaggio pubblico. Qui il monologo smette di essere teorico e diventa umano: il critico riconosce che la parola, quando non è accompagnata da responsabilità, può diventare sterile, persino violenta. È in questo punto che il testo cambia natura: non parla più di cucina, ma di creazione, di rischio, di talento esposto.

Il cuore del monologo arriva con l’idea del “nuovo” come qualcosa che ha bisogno di sostenitori. Ego non si autoassolve: riconosce che il mondo – e lui ne è parte – è spesso ostile a ciò che non conosce. La scoperta del piatto diventa allora un evento quasi esistenziale. Non è solo una sorpresa gastronomica, ma uno shock identitario. Quando dice che quell’esperienza ha scosso “le fondamenta stesse del suo essere”, il critico smette definitivamente di parlare da una posizione di controllo e si espone come uomo che ha appena capito di poter sbagliare.

Il riferimento al motto di Gusteau è il momento di svolta morale. Ego non lo rilegge in chiave romantica o buonista, ma con una maturità nuova: non tutti possono diventare grandi artisti, ma il talento può nascere ovunque. È una frase che chiude un cerchio interno, non un manifesto. Nel finale, l’elogio del nuovo chef non è enfatico né celebrativo: è sobrio, preciso, quasi notarile. Proprio per questo è potentissimo. Ego torna a essere un critico, ma un critico trasformato, che ha scelto di usare il proprio ruolo non per distruggere, ma per riconoscere. Per un attore, questo monologo è un viaggio dalla superiorità alla responsabilità, dalla certezza alla scoperta, dalla distanza all’ascolto. Funziona solo se interpretato con misura, evitando qualsiasi forma di compiacimento emotivo. È un testo che chiede maturità, sottrazione e una forte fiducia nel silenzio.

Finale del film "Ratatuille"

Il climax del film è uno dei finali più intelligenti dell’animazione moderna. Quando Anton Ego si siede al tavolo, si aspetta virtuosismo, tecnica, superiorità. Remy invece prepara una ratatouille, un piatto povero, casalingo, lontanissimo dall’alta cucina spettacolare. Ed è qui che il film colpisce nel profondo: al primo assaggio, Ego viene catapultato nell’infanzia. Un flashback secco, emotivo, senza parole. Il cibo non dimostra nulla: rivela. Il giudizio si sgretola. Ego capisce che la grande arte non è quella che umilia, ma quella che connette. Nel suo monologo finale (che è una vera lezione di scrittura), Ego ammette una verità scomoda: “Non tutti possono diventare grandi artisti, ma un grande artista può venire da ovunque.” Il film non chiude con una vittoria totale: Il ristorante viene chiuso, La verità su Remy viene scoperta, Il mondo non cambia davvero.Ma nasce qualcosa di nuovo: un piccolo bistrot dove umani e ratti cucinano insieme. Non è l’utopia, è una convivenza possibile.

Credits e dove vederlo

Regista:Brad Bird, Jan Pinkava (co-regia)

Sceneggiatura: Brad Bird

Cast: Patton Oswalt: Rémy Lou Romano: Alfredo Linguini Janeane Garofalo: Colette Tatou Ian Holm: Skinner Peter Sohn: Émile

Dove vederlo: Disney+

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