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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Colin Firth in Un matrimonio all’inglese è uno dei momenti più densi e carichi di significato del film. Breve, quasi sussurrato, eppure ha il peso specifico di una confessione trattenuta per anni. Lo sguardo basso, il tono sommesso, e la scelta delle parole: tutto costruisce un personaggio che non cerca compassione, ma che a un certo punto non può più evitare la verità. Il monologo arriva in un momento delicato del film, quando le tensioni familiari stanno raggiungendo il punto di rottura. Il personaggio interpretato da Firth, Mr. Whittaker, è stato fino a quel momento un uomo ai margini: presente ma silenzioso, spesso isolato nel suo studio o nei suoi pensieri. Quando finalmente parla del suo passato militare, lo fa non per cercare giustificazioni, ma perché la presenza di Larita – che, come lui, è una “sopravvissuta” – rompe il muro di ipocrisia che regge quella casa. E allora lui si permette di essere onesto. Non pubblico, non teatrale. Solo onesto.
MINUTAGGIO: 1:05:00-1:06:00
RUOLO: Jim Whittaker
ATTORE: Colin Firth
DOVE: Amazon Prime Video
ITALIANO
Hai notato quanti pochi uomini della mia età ci sono al villaggio? Quattordici anni fa ci siamo arruolati tutti, firmammo tutti insieme. Mio fratello, amici, dipendenti. Tutti accovacciati in prima linea, nella grande guerra. Come Capitano era compito mio tirarli fuori tutti dalle trincee. Nei primi quattro minuti della nostra prima carica, ventimila uomini morirono. A Torvat in fondo alla strada qui, loro stanziavano il Marocco. Il loro capitano li ha salvati. Io non ho riportato un solo uomo, tutto questo villaggio è morto.
"Un matrimonio all’inglese" (titolo originale: Easy Virtue) è un film del 2008 diretto da Stephan Elliott, tratto da una pièce teatrale scritta da Noël Coward nel 1924. È uno di quei film che, pur avendo l’aspetto della classica commedia in costume britannica, gioca su una serie di contrasti piuttosto interessanti, sia a livello stilistico che tematico. La storia si svolge nella campagna inglese degli anni '20. Un giovane aristocratico inglese, John Whittaker, porta improvvisamente a casa la sua nuova moglie americana, Larita, una donna libera, moderna, e con un passato che non si adatta minimamente alle convenzioni della famiglia tradizionale britannica. Il cuore del film è proprio in questo scontro culturale tra la vecchia Inghilterra conservatrice e una figura femminile che rappresenta l’America ruggente e disinibita degli anni ‘20.
Colin Firth interpreta il padre di John, un uomo distrutto dalla guerra, ormai disilluso e isolato all’interno della sua stessa casa. È un personaggio che parla poco ma osserva tutto. Ogni sua scena è costruita sul non detto: sguardi, silenzi, piccoli gesti. A differenza della moglie – la glaciale e inflessibile matriarca interpretata da Kristin Scott Thomas – Firth dà vita a un personaggio che ha già rinunciato a difendere le apparenze e che si riconosce, quasi subito, nello spirito ribelle e ferito di Larita. Quello che Firth fa molto bene qui è restituire la malinconia di un uomo che ha visto la fine di un’epoca e che, pur vivendo ancora tra le sue rovine, non ha più la forza (o la voglia) di salvarle. La sua presenza è sempre silenziosa ma carica di peso, e rappresenta l’anello di congiunzione tra la decadenza del vecchio mondo e la possibilità di un cambiamento.
Il film mette in scena una guerra domestica fatta di etichette, sguardi giudicanti e ipocrisia. Il matrimonio tra John e Larita non è solo una storia d’amore, ma diventa il campo di battaglia tra due mondi incompatibili: la famiglia Whittaker, simbolo di un’Inghilterra che si rifiuta di accettare la propria decadenza, e Larita, che rappresenta non solo l’America, ma anche la modernità, la libertà sessuale e il rifiuto della vergogna.
«Hai notato quanti pochi uomini della mia età ci sono al villaggio?»
L’incipit è una domanda apparentemente semplice, quasi colloquiale, ma nasconde una tragedia enorme. È una frase che apre una ferita. Il villaggio vuoto è un cimitero silenzioso, e lui è uno dei pochi superstiti. Una condizione che non lo nobilita, ma lo condanna.
«Quattordici anni fa ci siamo arruolati tutti... Mio fratello, amici, dipendenti.»
Qui Firth tratteggia un’intera comunità con una frase: un gesto collettivo, un entusiasmo condiviso, forse ingenuo. Il fatto che includa anche i “dipendenti” fa capire che non si trattava solo di fratellanza o patriottismo, ma anche di gerarchia sociale. E lui, come Capitano, stava in cima a quella piramide.
«Come Capitano era compito mio tirarli fuori tutti dalle trincee.»
Ed è qui che la colpa entra in scena. Lui aveva una responsabilità. Non era solo un soldato tra i tanti. Era colui che doveva guidare, proteggere, decidere. E non ci è riuscito.
«Nei primi quattro minuti della nostra prima carica, ventimila uomini morirono.»
Questa è la frase che gela. È quasi irreale, numericamente enorme. Ma lui non la enfatizza, non alza la voce. La dice così com’è, come si elenca una statistica, ma ogni sillaba è una condanna. Questo è il cuore del trauma: la guerra come macchina assurda e impersonale, in cui la vita si misura in minuti e numeri, non in nomi o volti.
«Io non ho riportato un solo uomo, tutto questo villaggio è morto.»
Il colpo finale. Non si tratta solo di perdita, ma di fallimento personale. Non è la guerra ad averli uccisi: è come se, nella mente del personaggio, fosse stato lui. È un senso di colpa che ha trasformato il sopravvissuto in uno spettro che vaga in una casa piena di formalismi e menzogne. È anche, implicitamente, una critica al modo in cui quella società – quella famiglia – ha rimosso il trauma, fingendo che tutto potesse tornare com’era prima.
Questo monologo racchiude l’essenza del personaggio di Colin Firth: un uomo spezzato, ma non del tutto piegato. Non cerca la redenzione, non vuole compassione. Ma in quel momento, nella sua voce ferma e spenta, ammette che non ha più voglia di fingere. Il suo passato lo ha reso estraneo a quel mondo di rituali, tè del pomeriggio e apparenze, e per questo si riconosce in Larita – un’altra outsider, giudicata per motivi diversi, ma altrettanto incompresa.
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