Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
In un film che parla di riscatto personale e violenza sistemica, il monologo di Kenza rappresenta un momento di rottura emotiva e narrativa. Fino a questo punto, il personaggio interpretato da Alice Belaïdi è stato mostrato come una giovane poliziotta determinata, con un’attitudine pragmatica e una certa durezza nei modi. Ma qui Kenza si toglie l’uniforme, almeno simbolicamente, e rivela cosa si nasconde dietro quella rabbia. Il monologo è uno squarcio nel dolore privato di chi, per combattere il crimine, ha dovuto prima viverlo sulla propria pelle.
MINUTAGGIO: 45:30-47:23
RUOLO: Kenza
ATTRICE: Alice Belaïdi
DOVE: Netflix
ITALIANO
Lui è mio fratello. Devo dirti una cosa. E’ vero, ho dei trascorsi con i Manchour, per questo ho perso la testa con quei due. Io e mio fratello li conosciamo da sempre, siamo cresciuti con loro. Lui era diventato educatore di strada, e quando loro hanno cominciato a spacciare mio fratello li ha fatti veramente incazzare. Una sera l’hanno preso, l’hanno legato a una sedia, e l’hanno bruciato vivo L’hanno ripreso mentre bruciava e mi hanno inviato il video, l’ho saputo così. E poi sono spariti. Fino a circa un anno fa. Sono dei fantasmi, vivono di notte, non li vede mai nessuno. Già quando erano piccoli volevano reclutare tutti i pazzi come loro. Psicopatici, si, ma sono furbi, ma sono sempre un passo avanti, persino sugli altri cartelli, per questo stanno creando un evento su tutta Marsiglia. Ma io li prenderò, lo so.
Diretto da Antoine Blossier, il film K.O. si muove su due binari: da una parte l’action urbano ambientato nei sobborghi duri e realistici di Marsiglia, dall’altra una narrazione profondamente personale, fatta di senso di colpa, redenzione e ricerca di umanità dentro una spirale di violenza. È un film d’azione, sì, ma filtrato attraverso una lente molto più cruda e intima di quanto il genere solitamente permetta. Il protagonista, Bastien (interpretato da Ciryl Gane, alla sua prima vera prova attoriale), è un ex combattente di MMA che ha scelto l’isolamento dopo una tragedia: durante un incontro, ha accidentalmente ucciso il suo avversario, Enzo. Tre anni dopo, Bastien vive ai margini, evitato da tutti e soprattutto da se stesso. Ma è proprio il passato a bussare alla sua porta quando la vedova di Enzo si presenta chiedendogli aiuto: suo figlio adolescente, Léo, è scomparso in uno dei quartieri più pericolosi di Marsiglia.
Da qui inizia un’indagine personale e fisica in cui Bastien è costretto a confrontarsi con un ambiente ostile, fatto di gang, lotte di potere e codici criminali. Ma l’aspetto più interessante è che la vera lotta si svolge dentro di lui. A complicare le cose c’è Kenza, interpretata da Alice Belaïdi, una giovane agente di polizia determinata a smantellare l’organizzazione criminale che controlla le periferie. I due finiranno per incrociare i propri percorsi: lei rappresenta la legge, lui una forma molto più ambigua di giustizia personale.
Girato interamente in 32 giorni nei quartieri più iconici e marginali della città, K.O. fa della sua ambientazione un elemento narrativo essenziale. Dalla Place de la Major a Saint-Pierre, fino ai quartieri nord come Frais Vallon, Marsiglia è una città che pulsa sullo sfondo, sporca, vissuta, sempre in bilico tra bellezza e pericolo. Non è una semplice scenografia: è una presenza costante che riflette il tormento dei personaggi e amplifica la tensione del racconto.
“Lui è mio fratello. Devo dirti una cosa.” L’ingresso è secco, diretto. Nessuna premessa emotiva, nessuna concessione al melodramma. Questo rende il racconto ancora più potente. Kenza non ha bisogno di farci provare pena: vuole solo dire la verità. L’uso della prima frase come dichiarazione e non come richiesta crea una connessione immediata con l’ascoltatore, e pone Bastien – e lo spettatore – in una posizione di ascolto obbligato.
“Io e mio fratello li conosciamo da sempre, siamo cresciuti con loro.” Qui emerge una verità comune a molte storie criminali ambientate in periferia: carnefici e vittime spesso hanno condiviso gli stessi marciapiedi. I Manchour non sono entità esterne, ma il frutto dello stesso terreno in cui Kenza e suo fratello sono cresciuti. Questa frase mette in discussione l’idea di "bene" e "male" come categorie separate, mostrando come la criminalità organizzata si sviluppi in ambienti dove i legami affettivi e quelli criminali si intrecciano in modo perverso. “L’hanno bruciato vivo… mi hanno inviato il video, l’ho saputo così.” È il cuore del monologo. Una rivelazione brutale, lasciata cadere senza infiorettature. La freddezza con cui Kenza lo dice non è mancanza di emozione, ma il risultato di un trauma sedimentato. Ricevere il video della morte di un fratello è un’esperienza disumanizzante, e proprio per questo, questa frase segna un punto di non ritorno per il personaggio. Da questo momento in poi, la sua missione contro i Manchour non è più solo professionale. È personale. Quasi biblica.
“Psicopatici, sì, ma sono furbi… per questo stanno creando un evento su tutta Marsiglia.” Qui Kenza passa dalla testimonianza al profilo criminale. Dimostra di conoscere perfettamente le dinamiche del potere che i Manchour esercitano. Non sono semplici criminali: sono strategici, invisibili, organizzati. Il monologo non è solo una confessione, ma anche un atto di accusa. Marsiglia è sul punto di esplodere, e solo chi conosce la storia dall’interno può tentare di fermare l’ingranaggio. “Ma io li prenderò, lo so.” La chiusura è una promessa. Non tanto al pubblico, né a Bastien, ma a sé stessa. È una dichiarazione che non ha bisogno di essere razionale: è un atto di fede personale. Dopo tutto quello che ha raccontato, l’unica cosa che le resta è la determinazione. Non la giustizia, ma qualcosa che le somiglia.
Il monologo di Kenza è lì per farci capire cosa c'è in gioco. È un momento che sposta l’asse del film: da thriller d’azione con dinamiche individuali, a un confronto più profondo con il dolore strutturale che abita certe città. Alice Belaïdi riesce a dare voce a un trauma vissuto in silenzio, trasformandolo in una forza narrativa che dà peso al suo personaggio e amplifica il senso di urgenza che attraversa tutta la seconda parte del film. Dopo questo monologo, Kenza è una sorella che ha perso tutto, e ha deciso di non perdere se stessa.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.