Monologo femminile - \"Dirty dancing: Havana nights\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Katey Miller, posto in apertura del film "Dirty Dancing: Havana Nights", è una piccola introduzione del tono del film. In poche righe ci troviamo già dentro la testa della protagonista, e capiamo il suo modo di osservare il mondo — con distacco, ma anche con lucidità, e soprattutto con una voce già fortemente definita. Siamo nel novembre del 1958, una data non scelta a caso: a un passo dalla rivoluzione cubana, a un passo dalla trasformazione della protagonista. Il monologo serve a posizionare lo spettatore nel tempo, nello spazio e nell’identità della protagonista, ma fa qualcosa in più: crea un contrasto immediato tra ciò che Katey era (una ragazza americana borghese, razionale, con i piedi ben piantati nei libri e nei suoi obiettivi) e ciò che, in quel momento, ancora non sa di poter diventare.

Il mio viaggio a Cuba

MINUTAGGIO: 00:20-3:10

RUOLO: Katey

ATTORE: Romola Garai

DOVE: Netflix

ITALIANO

Novembre 1958, ultimo anno di liceo. Le mie coetanee ballavano con i dischi di Elvis, sognavano un ragazzo che le portasse al ballo della scuola. Io leggevo Jeane Austen e sognavo il college. E poi i miei annunciarono che ci saremmo trasferiti a Cuba, entro la settimana. Sbattere le porte e tenere il muso all’infinito non servì a niente; era comunque più facile che ammettere di avere paura. Almeno tutti gli altri erano contenti: papà aveva avuto la sua bella promozione alla Ford; la mamma poteva viaggiare in grande stile e Suzie… ah, giuro che si sarebbe adattata anche a un uragano. Ecco quello che sapevo di Cuba: il francese scolastico non mi sarebbe servito, e anche se nessuno ne voleva parlare, Fidel Castro stava organizzando una rivoluzione contro il presidente Batista. Difficile perfino immaginarlo, in un posto come questo. 

Dirty Dancing: Havana Nights

Dirty Dancing 2 — il titolo originale è Dirty Dancing: Havana Nights (2004) — è un film che condivide il DNA con l’originale Dirty Dancing del 1987, ma non è un vero e proprio sequel. Piuttosto, è una rilettura ambientata in un contesto completamente diverso, con nuovi personaggi e una nuova ambientazione storica. Il richiamo nel titolo serve più a evocare l’atmosfera sensuale e coreografica dell’originale che a costruire una vera continuità narrativa. Il film è ambientato nel 1958 a L’Avana, a ridosso della Rivoluzione cubana. Ed è qui che le cose si fanno interessanti. Perché mentre Dirty Dancing era un racconto di formazione in un’America ancora sotto la superficie del conformismo degli anni Sessanta, Dirty Dancing 2 trasporta quel tipo di racconto in una situazione politicamente e socialmente molto più instabile. Sullo sfondo c’è una Cuba che sta per esplodere, letteralmente. Questa ambientazione non è un semplice sfondo decorativo: la tensione politica e il fermento rivoluzionario influenzano direttamente le scelte dei personaggi e il tono del racconto. La protagonista è Katey Miller, interpretata da Romola Garai, una ragazza americana di buona famiglia che si trasferisce a L’Avana con i genitori a causa del lavoro del padre, un dirigente della Ford. Katey è una ragazza intelligente, colta, con un’educazione "tradizionale", ma profondamente curiosa verso ciò che va al di là delle convenzioni.

A cambiare il suo sguardo sul mondo è Javier Suarez, interpretato da Diego Luna, un cameriere cubano che lavora nell’hotel dove alloggia la famiglia Miller. Javier è carismatico, appassionato di musica e danza, ma anche profondamente radicato nella realtà politica e sociale del suo paese. La loro relazione parte come un incontro-scontro culturale e sociale. Lei è affascinata dalla passione e dalla libertà del mondo che lui rappresenta; lui è inizialmente diffidente, consapevole del divario sociale tra di loro.

Quando Katey decide di partecipare a un concorso di danza, chiede a Javier di essere il suo partner. Da qui in poi il film segue la loro preparazione per la gara, ma il cuore della storia non è solo il ballo: è la trasformazione dei due personaggi. Ballando, Katey si allontana dal mondo borghese in cui è cresciuta, mentre Javier lotta per mantenere la propria integrità e la propria identità in un contesto oppressivo.

Analisi Monologo

"Novembre 1958, ultimo anno di liceo. Le mie coetanee ballavano con i dischi di Elvis, sognavano un ragazzo che le portasse al ballo della scuola. Io leggevo Jane Austen e sognavo il college." Subito una distinzione: Katey si separa dal coro, dal gruppo. Dove le altre ballano, lei legge. Dove le altre fantasticano su una socialità ritualizzata (il ballo della scuola), lei desidera un orizzonte intellettuale. Austen, scelta tutt’altro che casuale, è l’autrice che più di tutte ha raccontato donne che sfidano le aspettative sociali, pur restando all’interno di cornici molto strutturate. Katey si riconosce in quelle figure: educate, brillanti, ma pronte a muoversi fuori dal tracciato. "E poi i miei annunciarono che ci saremmo trasferiti a Cuba, entro la settimana." Il tono cambia di colpo: siamo nel territorio della rottura, dell’imprevisto che destabilizza. Il contrasto tra il sogno del college e l’ordine familiare interrotto è immediato. Il trasferimento a Cuba rappresenta l’inizio forzato di un viaggio che è insieme geografico e interiore.

"Sbattere le porte e tenere il muso all’infinito non servì a niente; era comunque più facile che ammettere di avere paura." Qui il monologo prende un respiro più profondo: Katey si racconta con onestà, ma anche con un sottile senso di autocritica. La ribellione adolescenziale – il muso, le porte sbattute – è solo una copertura, un meccanismo difensivo contro la paura. Questa frase è una delle chiavi emotive del film: Katey è razionale, ma è anche in pieno conflitto emotivo. E il suo viaggio sarà proprio un lento abbandono delle difese intellettuali a favore di un’esperienza corporea, emotiva, fisica: la danza, e l’amore, arriveranno dopo. "Almeno tutti gli altri erano contenti: papà aveva avuto la sua bella promozione alla Ford; la mamma poteva viaggiare in grande stile e Suzie… ah, giuro che si sarebbe adattata anche a un uragano." Una fotografia familiare rapida ma precisa. C’è una sottile ironia nello sguardo di Katey, ma non cinismo. Riconosce il bisogno del padre di avanzare nella carriera, la superficialità della madre nel trovare eccitazione nel viaggio, e la flessibilità della sorella.

Lei, in mezzo a questi caratteri, si percepisce come l’unica dissonanza: la sola a non adattarsi subito, e proprio per questo sarà quella che cambierà di più. "Ecco quello che sapevo di Cuba: il francese scolastico non mi sarebbe servito, e anche se nessuno ne voleva parlare, Fidel Castro stava organizzando una rivoluzione contro il presidente Batista. Difficile perfino immaginarlo, in un posto come questo." E qui arriva un passaggio importante. Katey è informata, colta, ma ancora ingenua: non riesce a connettere la bellezza esotica del luogo con la complessità storica e politica che lo attraversa. La rivoluzione, che per ora è solo una voce taciuta, sarà un elemento centrale della sua esperienza. L’impossibilità di immaginare un evento rivoluzionario “in un posto come questo” dice molto su come Katey percepisce il mondo: come qualcosa di ordinato, coerente. Ma l’intero arco del film serve proprio a destrutturare questa visione.

Conclusione

Questo monologo funziona come una mappa in miniatura dell’intero film. Ci racconta una ragazza che crede di sapere chi è, dove sta andando, e quali siano le coordinate del suo mondo. In poche righe, Katey si definisce per ciò che è e – inconsapevolmente – per ciò che le manca.

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