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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è una delle parentesi più poetiche e dense di simbolismo in Thank You, Next. Qui la voce di Leyla si distacca dal quotidiano, dal tono sarcastico o pratico che spesso la caratterizza nella serie, per assumere il ritmo e la struttura di una favola. È una strategia narrativa precisa: usare il linguaggio dell’infanzia per parlare di esperienze adulte. Andiamo a esplorarlo come merita.
STAGIONE 2 EP 7
MINUTAGGIO: 00:21-7:23
RUOLO: Leyla Taylan
ATTRICE: Serenay Sarıkaya
DOVE: Netflix
ITALIANO
C’era una volta, tanto tempo fa, in un mondo molto lontano, ma veramente lontano, in un paese molto freddo, distante da Istanbul, una bambina di nome Leyla, che nacque in un giorno d’estate. Il primo essere vivente che vide Leyla fu una splendida cicogna. Lei e suo padre seguirono la cicogna, e viaggiarono per il mondo, per un periodo davvero molto lungo. Sfortunatamente, fino a quando Leyla non compì 20 anni, non ebbe una casa sua, e degli amici a cui potersi legare, e che potesse frequentare sempre. Alla fine, Leyla decise di stabilirsi a Istanbul, la città più bella del mondo. Tolstoy disse tutte le grandi storie iniziano in due modi: una persona parte per un viaggio; o uno straniero arriva in città. Leyla, una novellina in campo sentimentale e una straniera in città, trascorse dieci anni nel mare di Omer, che lei reputava sicuro. E viaggiò molto, in lungo e in largo, in luoghi molto lontani. In questo viaggio mise le radici, fece nascere dei germogli, ma col tempo si rese conto che in realtà quella storia non era così bella. Comunque non credo sia stato Tolstoj a dire quella frase, in ogni caso non è importante chi sia stato a dirla, non pensi? La storia dal finale infelice procede spedita. Leyla si imbatte in un volatile affascinante, ma che rispetto a lei era un grandissimo predatore. lEYLA era davvero molto determinata, in realtà il suo più grande errore era di essere determinata. “”Fidati”, disse il rapace, perché io uso i miei artigli affilati solo su coloro che vogliono farci del male. Leyla rifletta un pò. Meditò parecchio, e alla fine seguì la bussola del suo cuore. Perché i suoi sentimenti le hanno sempre indicato quale fosse la giusta direzione. Il rapace naturalmente venne travolto dalla felicità. Anche Leyla ne venne colpita: volarono sempre più lontano, sempre più in alto. Alla fine arrivarono talmente in alto che quando provarono a guardare oltre le nuvole non riuscirono a vedere la terra sotto di loro.
Leyla Taylan (interpretata da Serenay Sarıkaya) è un’avvocatessa in carriera, brillante, ambiziosa, ma anche emotivamente scombussolata dopo una rottura importante. La sua relazione – iniziata nel pieno del lockdown – è finita, e ora Leyla si trova davanti al bivio classico: ricostruirsi o lasciarsi andare. La serie segue la sua vita dopo questa frattura, mentre cerca di capire cosa vuole davvero da sé stessa e dagli altri. Sul piano lavorativo, la vediamo muoversi tra casi legali, colleghi competitivi e clienti eccentrici. Sul piano personale, invece, attraversa un vero e proprio campo minato sentimentale: ex fidanzati, flirt improbabili, e nuove conoscenze che si rivelano – nel bene o nel male – specchi delle sue insicurezze.
Tutto questo si svolge nella Istanbul più scintillante, tra attici, terrazze con vista sul Bosforo, feste eleganti e relazioni che sembrano uscite da un'app di dating scritta da uno sceneggiatore con una debole per i colpi di scena. La narrazione procede per tappe: ogni episodio esplora un tipo diverso di relazione o di “fallimento amoroso” contemporaneo – dal ghosting, alla dipendenza affettiva, fino alla cosiddetta situationship. Leyla si confronta di volta in volta con uomini che incarnano cliché romantici (dal tipo misterioso a quello irraggiungibile) ma che servono a far emergere, più che le dinamiche sentimentali, le fragilità e le aspettative della protagonista.
Leyla apre con un tono da fiaba: "C’era una volta, tanto tempo fa, in un mondo molto lontano..." Non è solo un modo per incorniciare un racconto romantico: è il tentativo di dare ordine al caos attraverso una narrazione con regole riconoscibili. Nella fiaba, ogni cosa ha un inizio, un centro e una fine. C’è una protagonista, ci sono creature simboliche, ci sono ostacoli. In questo caso, la protagonista è se stessa, ma filtrata dalla lente della metafora. La favola permette a Leyla di raccontare una storia di amore e perdita senza cedere del tutto alla vulnerabilità. È un monologo che cerca protezione nel tono immaginifico, ma che sotto sotto sta facendo i conti con una delusione profonda.
"Sfortunatamente, fino a quando Leyla non compì 20 anni, non ebbe una casa sua, e degli amici a cui potersi legare..." Qui non si parla solo di un tetto sopra la testa. “Casa” è appartenenza, “amici” sono radici emotive. Leyla ci dice che ha vissuto per anni senza stabilità. C’è qualcosa di profondamente identitario in questo dettaglio: è il ritratto di una donna cresciuta nell’instabilità, che ha fatto del movimento la sua normalità. "Alla fine, Leyla decise di stabilirsi a Istanbul, la città più bella del mondo." Non è solo una dichiarazione d’amore per la città (che nella serie è quasi un personaggio): è la prima decisione autonoma di Leyla. Dopo anni passati a inseguire una cicogna — simbolo del destino, del caso, forse dei genitori — ora Leyla sceglie. Istanbul diventa il punto di partenza del suo vero viaggio: quello emotivo.
"Tolstoj disse tutte le grandi storie iniziano in due modi: una persona parte per un viaggio; o uno straniero arriva in città..." Leyla cita Tolstoj, ma poi stessa si corregge. Dice che forse non è stato lui a dirlo, e aggiunge “non è importante chi sia stato a dirla, non pensi?”. Qui c’è una consapevolezza disarmante: la verità di una frase non dipende dall’autore, ma da quanto ci somiglia. Leyla sente che quella frase la rappresenta, ed è questo che conta. Lei è entrambi i personaggi: parte per un viaggio (interiore) ed è anche una straniera che arriva in città (in senso affettivo, relazionale). "Trascorse dieci anni nel mare di Omer, che lei reputava sicuro." L’immagine è bellissima e dolorosa: il mare come rifugio, ma anche come elemento ambiguo. Il mare ti può cullare, ma ti può anche inghiottire. In quei dieci anni Leyla mette radici, ma si rende conto che quel “porto sicuro” era un’illusione.
Qui la serie trova un modo elegante per parlare di relazioni stabili che diventano, nel tempo, gabbie dorate. "Fidati”, disse il rapace, “perché io uso i miei artigli affilati solo su coloro che vogliono farci del male.” La metafora qui è lampante: il “rapace” è l’uomo che arriva dopo Omer. Affascinante, predatorio, ma seduttivo. E come spesso succede, Leyla sceglie di fidarsi, seguendo la bussola del cuore. Ma questa fiducia è anche il suo errore. C’è qualcosa di circolare e tragico nella frase: "Il suo più grande errore era di essere determinata." Leyla non sbaglia per debolezza, ma per coerenza con sé stessa. Questo la rende un personaggio interessante: non cerca redenzione, cerca di capire perché l’ostinazione del cuore non coincide mai con la sicurezza. "Arrivarono talmente in alto che quando provarono a guardare oltre le nuvole non riuscirono a vedere la terra sotto di loro." Il volo come metafora dell’amore totalizzante, che ti solleva… ma ti disorienta. Non vedere la terra è perdere i riferimenti, smettere di capire dove sei. È un’immagine di smarrimento, mascherata da poesia. Non è un finale drammatico, è sospeso. E quella sospensione è perfetta per raccontare l’incertezza che attraversa tutto il percorso emotivo di Leyla.
Questo monologo è una strategia di sopravvivenza narrativa. Leyla prende gli eventi della sua vita e li trasforma in simboli. Così può affrontarli senza esserne travolta.
Nel raccontarsi come protagonista di una favola, Leyla si protegge dal dolore, ma nello stesso tempo si dà un ordine, una traiettoria. Il mondo reale non ha senso, non ha morale. La fiaba sì. Ed è qui che questo monologo funziona a livello drammaturgico: crea un momento di sospensione, uno spazio in cui la protagonista si rilegge, si riscrive e — forse — inizia a guarire.
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