Monologo femminile - Bronte in \"Ombre nell'acqua\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Bronte arriva all’inizio di “Ombre nell’acqua”: lei è appena arrivata a Evelyn Bay e si è già lasciata avvolgere dal mistero che permea la cittadina. Non è una testimone diretta dei fatti, non conosceva Gabby, né i ragazzi annegati quel giorno. E proprio per questo, forse, riesce a vedere con chiarezza quello che gli altri hanno preferito ignorare. Bronte diventa la voce esterna che entra nella storia per smuovere le acque. Il suo sguardo è quello di chi non ha paura di fare domande scomode. La sua curiosità è genuina, ma anche empatica. Il monologo non è un’accusa, è una presa di posizione. E in una serie che parla di verità sommerse, questa piccola indagine personale si trasforma in un atto di giustizia.

Evelyne Bay e i suoi misteri

STAGIONE 1 EP 1

MINUTAGGIO: 00:20-2:30

RUOLO: Bronte

ATTRICE: Shannon Berry

DOVE: Netflix

ITALIANO

Quel giorno tutto cambiò. Quando due giovani annegarono, lasciando le loro famiglie distrutte dal dolore, e dal senso di colpa. C’è un fascino selvaggio e meraviglioso che mi ha portato a Evelyne Bay, ma c’è anche qualcosa di doloroso, che si cela sotto la superficie. All’inizio pensavo fosse pensavo fosse a causa di quelle due morti di quindici anni prima, poi ho scoperto che l’oceano si era portato via anche un’altra cvita, quel giorno. Una giovane ragazza, scomparsa, senza lasciare traccia. Si chiamava Gabby Birch. Cosa le successe? E nessuno ha mai raccontato la sua storia? Tutti parlano di Flinn e Tony, i due ragazzi che persero la vita. Ma cosa successe a Gabby? Perché nessuno ne parla? Io lo scoprirò. Non lascerò che venga dimenticata.

Ombre nell'acqua

“Ombre nell’acqua” è una miniserie che si presenta come un thriller psicologico, ma sotto la superficie si muove qualcosa di più profondo. La storia è quella di una comunità spezzata da lutti mai risolti, dove le emozioni sommerse – colpa, rancore, paura – affiorano lentamente, come relitti nel mare della memoria.

La serie – 6 episodi da 50 minuti ciascuno – è ambientata nella fittizia Evelyn Bay, una cittadina della Tasmania avvolta da una bellezza mozzafiato, ma segnata da un dolore stratificato. Il mare che circonda questo posto non è solo sfondo, è un confine liquido tra ciò che è stato e ciò che non si vuole ricordare. Al centro c’è Kieran Elliott (Charlie Vickers), un uomo che torna a Evelyn Bay con la compagna Mia (Yerin Ha) e la loro bambina. Il motivo ufficiale è assistere suo padre malato, ma sotto c’è molto di più: Kieran è sopravvissuto a un incidente marino che, quindici anni prima, ha ucciso suo fratello Finn e un altro giovane, Toby. In quella stessa notte, è sparita anche Gabby, un’adolescente che non è mai stata ritrovata. Il ritorno di Kieran coincide con un nuovo dramma: Bronte, una ragazza appena arrivata in città, viene trovata morta sulla spiaggia. Le due tragedie, separate da 15 anni, si intrecciano in modo inquietante. Bronte stava indagando proprio sulla scomparsa di Gabby. Aveva capito troppo.

Come ha dichiarato lo stesso creatore Tony Ayres, Ombre nell’acqua è prima di tutto un melodramma familiare, mascherato da crime. Il motore emotivo della serie non è l’investigazione, ma i rapporti umani, logorati e deformati dal tempo. Ogni personaggio è definito da un legame spezzato: Kieran vive con la colpa di essere sopravvissuto; Mia è una madre che teme che il passato del compagno possa inquinare la loro nuova famiglia; Trish, la madre di Gabby, non ha mai avuto un corpo su cui piangere; Julian, il padre di Sean e Toby, ha protetto uno dei figli a discapito della verità. Il giallo, in questo senso, diventa solo il dispositivo per svelare le dinamiche familiari, le fragilità mascherate, e la violenza del silenzio.

Il mistero principale ruota attorno alla sparizione di Gabby e all’omicidio di Bronte. Ciò che sembrava un banale incidente marittimo diventa un mosaico complesso:

Sean, amico di Kieran, aveva condotto Gabby nelle grotte. Dopo aver ricevuto un rifiuto, l’ha lasciata lì. Lei è annegata da sola.
Bronte, interessata al caso Gabby, capisce la verità e affronta Sean. Lui la uccide d’impulso e ne nasconde il corpo.
Julian, pur di non perdere un altro figlio, nasconde la verità per 15 anni.

Analisi Monologo

Il monologo è costruito come una progressione emotiva: parte da un ricordo collettivo, si sposta su un’intuizione personale e infine diventa una dichiarazione d’intenti. “Quel giorno tutto cambiò. Quando due giovani annegarono, lasciando le loro famiglie distrutte dal dolore, e dal senso di colpa.”

Bronte riconosce il trauma condiviso di Evelyn Bay. Non lo nega, anzi, lo mette in primo piano. Ma già in questa prima frase c’è un dettaglio interessante: non parla di “tragedia”, ma di “cambiamento”. Sta già suggerendo che non si è trattato solo di una perdita, ma di un punto di non ritorno, di una frattura permanente. “C’è un fascino selvaggio e meraviglioso che mi ha portato a Evelyn Bay, ma c’è anche qualcosa di doloroso, che si cela sotto la superficie.” Qui il tono cambia: il paesaggio entra in scena. Evelyn Bay non è più solo lo sfondo, ma una presenza ambigua, attraente e disturbante. Bronte percepisce fin da subito che qualcosa non torna. La bellezza del luogo contrasta con l’energia opprimente che la attraversa. È la classica tensione da noir: il paradiso naturale che nasconde l’inferno emotivo.

“Poi ho scoperto che l’oceano si era portato via anche un’altra vita, quel giorno. Una giovane ragazza, scomparsa, senza lasciare traccia. Si chiamava Gabby Birch.”

Ed ecco il punto di svolta. Il dolore collettivo si rivela parziale, selettivo. Due morti sono ricordate, una scomparsa è dimenticata. Inizia così la dissonanza della memoria: Bronte scopre che la storia che tutti raccontano è incompleta, e questo la inquieta. “Tutti parlano di Flynn e Tony, i due ragazzi che persero la vita. Ma cosa successe a Gabby? Perché nessuno ne parla?” Qui arriviamo al cuore del monologo. Le domande non sono solo narrative – chi era Gabby, che fine ha fatto – ma anche morali: perché il suo silenzio non pesa quanto le altre morti? È il momento in cui la serie fa un salto di coscienza. Non si tratta solo di un mistero, ma di un’ingiustizia nella memoria collettiva. Ayres, il creatore della serie, parlava proprio di questo: di come le morti femminili vengano spesso messe da parte, rimosse, minimizzate. “Io lo scoprirò. Non lascerò che venga dimenticata.” Il monologo si chiude con una promessa. Una frase semplice, ma potente. Bronte non è un’eroina classica, non ha strumenti da detective o poteri narrativi da protagonista. Ha solo la volontà di ricordare chi è stato dimenticato. E questa volontà basta a cambiare tutto. È questo atto di responsabilità che la rende pericolosa, che spinge Sean a eliminarla.

Conclusione

Questo monologo è molto più che un momento espositivo: è una dichiarazione etica. Bronte diventa il grimaldello narrativo che scardina la versione ufficiale degli eventi. Non solo: è il personaggio che, pur avendo poco tempo in scena, lascia il segno più profondo. Lei muove la trama non con l’azione, ma con la parola. Con una domanda.

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