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Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo nel cuore del film, in quella fase in cui la realtà comincia a sfilacciarsi e le verità diventano troppo scomode per essere ignorate. Dopo lo spavento vissuto dal protagonista in “Le streghe”, la nonna capisce che è arrivato il momento di dire le cose come stanno. Non più favole, non più rassicurazioni. Solo verità. Il monologo che segue è il primo vero contatto del protagonista — e dello spettatore — con la dimensione cupa del mondo delle streghe.
MINUTAGGIO: 15:40-19:00
RUOLO: La Nonna
ATTRICE: Octavia Spencer
DOVE: Netflix
INGLESE
But when she did, when she talked, her mouth… Was she wearing gloves? Long ones, up to her elbows? Was she wearing a hat? And when she talked, did her voice sound ugly and scratchy like an outhouse door swinging on a rusty hinge? I feared this was happening. That lady you saw in the grocery store was no lady. What you saw was a witch. That’s right. A no-good, rotten, low-down, sneaky, sneaky witch. Okay. Okay. Is this you and your church friends trying to play a joke on me? ‘Cause if it is, it’s not very funny. Listen, child. Witches ain’t nothing to joke about. I’ve known children who no longer exist as children on this earth. They were turned, transformed, taken by witches. I can tell you about Alice Blue. Well, Alice Blue and I were best friends. We lived across the street from each other. We were like sisters. Inseparable. We did everything together, even our chores. But Alice was a lollygagger. Alice, quit lollygagging, girl. It’s almost suppertime. Alice did something no child should ever do. She took candy from a stranger. I got so scared, I tore out of there like greased lightning, and hightailed it straight home. I never should have left Alice alone. I knew I shouldn’t have. But I was so scared. Later that night, when I saw Alice alive, I was as happy as a mouse in a bucket of cheese. But the very next morning, all that happiness went away because it happened. She started turning. Alice was chicken-afied. Chicken-alified. I tried to explain what I saw, but everybody was looking at me like I was crazy. Finally, I just shut up about it. Although, I made it a point to visit Alice in her coop every day. Alice even laid eggs. Big green ones. Biggest green eggs I ever seen. People said they were delicious.
ITALIANO
Indossava dei tanti, lunghi, fino ai gomiti? Portava un cappello…? E quando parlava, la sua voce era brutta e graffiante come una porta che ruota su un cardine arrugginito? Temevo che sarebbe accaduto. La persona che hai visto stamattina non era una donna. Quella signora era una strega. Un’ignobile, disgustosa doppiogiochista buona a nulla di una strega. Stammi a sentire. Con le streghe non si scherza. Conosco alcuni bambini che al giorno d’oggi non vivono più sottoforma di bambini: sono stati trasformati, mutati, rapiti dalle streghe. Posso parlarti di Alice Blue. Alice Blue e io eravamo migliori amiche. Abitava di fronte a casa nostra. Eravamo come sorelle, inseparabili. Facevamo tutto insieme, persino le faccende. Ma Alice era una fannullona. Alice fece una cosa che nessun bambino dovrebbe mai fare: accettò un dolcetto da una sconosciuta. Quella donna mi spaventò così tanto che scappai via come un fulmine e mi diressi verso casa. Non avrei mai dovuto lasciare Alice da sola. So che non avrei dovuto, ma ero terrorizzata. Poi, quella sera, quando vivi che era ancora viva, fui felice come un topo in un cestino di formaggio. Ma il mattino seguente… tutta quella felicità scomparve, perché… improvvisamente… cominciò a trasformarsi. Alice era stata pogallizzata. Galvanizzata. Provai a spiegare cosa avevo visto, ma la gente mi guardava come se fossi pazza. E alla fine smisi di parlarne, anche se mi assicuravo di far visita ad Alice nel suo pollaio ogni giorno. Alice depose anche delle uova, grandi e uova, le più grandi che avessi mai visto. E alcuni dicevano che fossero anche deliziose.
Nell'Alabama degli anni Sessanta, un ragazzino afroamericano perde i genitori in un incidente d'auto. Viene accolto dalla nonna materna, una donna energica e affettuosa che fa di tutto per risollevarlo dal trauma. Tenta con la musica Motown, con la cucina del Sud e con una dose di calore familiare che non ha niente da invidiare a una pozione magica. Ma non è con l’intrattenimento che riesce a scuoterlo: è parlandogli con sincerità della vita, dell’ingiustizia, della perdita. Ed è proprio accettando questa verità scomoda che il ragazzo riesce a ritrovare un po’ di serenità. La nonna gli regala una topolina da ammaestrare, che diventa subito una piccola compagna inseparabile.
Qualcosa di strano si manifesta: durante una passeggiata vengono osservati da una figura inquietante, una donna che poco dopo lancia una maledizione sulla nonna, causandole una violenta tosse. Il giorno seguente, al supermercato, il ragazzino rivede la stessa donna, stavolta accompagnata da un serpente. È evidente: quella non è una persona normale. Tornati a casa, racconta tutto alla nonna, che allora gli svela la verità — le streghe esistono. E odiano i bambini. La donna gli racconta un episodio del suo passato: da piccola, una sua amica fu trasformata in gallina proprio davanti ai suoi occhi da una strega. Non fu mai possibile salvarla. Per mettersi al sicuro, i due decidono di rifugiarsi in un elegante hotel, dove lavora un cugino della nonna. Lì sperano di passare inosservati: le streghe, dice la nonna, evitano di colpire i figli delle famiglie bianche e ricche, perché troppo visibili. Ma il rifugio è tutt’altro che sicuro. Poco dopo il loro arrivo, il ragazzo nota un gruppo di donne dall’aspetto eccentrico — tra cui proprio quella del supermercato. Sono le streghe, e sono lì per una riunione segreta. A capo del gruppo c’è lei: la Strega Suprema, figura glaciale, elegante e letale, interpretata da Anne Hathaway. Il suo piano è già in atto: vuole trasformare tutti i bambini del mondo in topi, grazie a una pozione che verrà mescolata ai dolciumi delle pasticcerie che stanno per aprire in tutto il paese.
Il giorno successivo, il protagonista fa amicizia con Bruno Jenkins, un bambino goloso e poco sveglio. Nascostosi nella sala conferenze dell’hotel per far esercitare la sua topolina, il protagonista assiste alla riunione segreta delle streghe. Le donne si tolgono parrucche, scarpe e guanti, rivelando il loro aspetto mostruoso. La Strega Suprema fluttua sopra il palco e, dopo aver fulminato una sua sottoposta colpevole di averle parlato senza permesso, svela il suo piano. In quel momento entra Bruno, attirato da una cioccolata offerta poco prima da una delle streghe: è già stata contaminata con la pozione, e il bambino si trasforma in topo davanti ai loro occhi. Il ragazzo viene scoperto poco dopo e subisce la stessa sorte. Ma scopre una verità importante: la sua topolina Gigia è in realtà una bambina di nome Mary, anch’ella trasformata tempo prima. I tre roditori riescono a scappare e raggiungono la camera della nonna, che capisce subito che non si tratta di topi comuni. Insieme, elaborano un piano per rubare la pozione dalla camera della Strega Suprema, che si trova proprio sotto la loro.
Calando il ragazzo-topo nella stanza con una calza, riescono a prendere la pozione, ma vengono quasi scoperti dal gatto della Strega Suprema. La donna entra in camera all'improvviso, nota qualcosa di strano ma viene distratta dal personale dell’hotel. Intanto, la nonna tenta invano di invertire l’incantesimo. A quel punto l’obiettivo cambia: non si può tornare indietro, ma si può impedire che altri bambini subiscano la stessa sorte.
Approfittando della cena in hotel delle streghe, i topi rubano la chiave della camera della Strega Suprema e avvelenano la sua zuppa con la pozione. Poco dopo, una dopo l’altra, tutte le streghe iniziano a trasformarsi in topi, gettando la sala da pranzo nel caos. Il colpo di grazia arriva quando i protagonisti si introducono di nuovo nella stanza della Strega Suprema, dove trovano una scorta di pozioni e un registro con nomi e indirizzi di tutte le streghe del mondo. Ma la Strega Suprema li sorprende. Nello scontro finale, la nonna e i topi riescono a farle ingerire la pozione. Si trasforma in un topo orrendo e viene intrappolata in un barattolo, offerta in pasto al suo stesso gatto.
L’incantesimo, però, è irreversibile. Bruno, il protagonista e Mary restano topi. I genitori di Bruno rifiutano di accettare la realtà e lo abbandonano. I tre piccoli roditori decidono di restare con la nonna, con cui creano una nuova famiglia. La loro vita sarà breve, ma piena. Negli anni a venire, viaggeranno insieme in roulotte per dare la caccia alle streghe rimaste nel mondo, e insegnare ai bambini come difendersi. Perché le streghe non sono scomparse. E loro, adesso, sanno come trovarle.
"Indossava dei guanti, lunghi, fino ai gomiti? Portava un cappello…? E quando parlava, la sua voce era brutta e graffiante come una porta che ruota su un cardine arrugginito?" L'apertura è tutta giocata sulla precisione visiva e sonora. La nonna non parla in astratto: costruisce un identikit vivido, quasi una scheda segnaletica. Il modo in cui descrive la voce della strega ("come una porta che ruota su un cardine arrugginito") è puro lavoro d’immaginazione sensoriale. Non si limita a raccontare, fa sentire la presenza della strega. "La persona che hai visto stamattina non era una donna. Quella signora era una strega. Un’ignobile, disgustosa doppiogiochista buona a nulla di una strega." Qui si abbandona la descrizione e si entra nella condanna. Il linguaggio diventa diretto, crudo. "Doppiogiochista" è la parola chiave: le streghe si nascondono, si mascherano. È un elemento che ritorna spesso nel film, e che ha radici anche nella fiaba classica — la strega è la figura che si traveste, che inganna i sensi, che si finge ciò che non è.
"Con le streghe non si scherza." Sembra una battuta semplice, ma ha un tono definitivo. È la linea di confine tra l’infanzia ingenua e la consapevolezza adulta. Non si tratta di creature magiche da libro illustrato. Sono mostri. E fanno male. "Alice Blue e io eravamo migliori amiche..." Da questo punto in poi, il monologo prende la forma del racconto di formazione. Il legame con Alice è costruito con delicatezza: "come sorelle, inseparabili", "facevamo tutto insieme, persino le faccende". È la normalità, quella che le streghe distruggono. Il tradimento della normalità è forse l’elemento più inquietante: l’orrore si infiltra nel quotidiano. "Alice fece una cosa che nessun bambino dovrebbe mai fare: accettò un dolcetto da una sconosciuta." Ecco l’archetipo della fiaba classica: la mela avvelenata, il biscotto incantato. Ma non c’è niente di infantile qui — l’immagine è cupa, e il senso di colpa della nonna diventa immediatamente centrale: "Non avrei mai dovuto lasciarla da sola." La colpa sopravvive all’orrore. Anzi, lo accompagna.
"E alla fine smisi di parlarne, anche se mi assicuravo di far visita ad Alice nel suo pollaio ogni giorno." Il finale del monologo è stranamente malinconico. C’è l’accettazione, ma anche la tenerezza. La nonna si è rassegnata all’incredulità degli altri, ma non ha mai abbandonato l’amica. "Depose uova, grandi uova, le più grandi che avessi mai visto." — qui il tono è quasi surreale, e chiude il racconto su una nota dolceamara. Il mostruoso si è fatto quotidiano. E lei ha imparato a conviverci.
Il monologo della nonna è un passaggio fondamentale per il film: non solo fornisce backstory e informazioni sulle streghe, ma segna un cambio di passo nella narrazione. È il momento in cui il film si allontana dall’atmosfera leggera per affacciarsi su un territorio più cupo, dove i ricordi fanno male e le ferite non si rimarginano del tutto.
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