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~ LA REDAZIONE DI RC
In Ginny & Georgia, il rapporto tra Ginny e Marcus è una delle dinamiche più oneste e travagliate dell’intera serie. Non è la classica storia d’amore da teen drama, fatta di gesti plateali e finali da sogno: è una relazione che si consuma piano, che si costruisce nell’intimità e crolla nei silenzi. E proprio in uno di quei silenzi, nel momento in cui i due si stanno separando, Ginny compone una poesia che è una dichiarazione d’amore, ma anche un addio. Una resa, e insieme un tentativo di trattenere.
STAGIONE 3 EPISODIO 10
MINUTAGGIO: 1:01:14-1:05:34
RUOLO: Ginny
ATTRICE: Antonia Gentry
DOVE: Netflix
INGLESE
But the question is, can you control how you change? Are you in control at all?You're here Like the time you touched my face And promised you always would be My biggest fear That hand will disappear And you'll be gone Like sunshine in the dark Swallowed in the night The dark falls and consumes It convinces, it grooms It takes you away And I'm left with the echoes Of words you used to say But I know the heart underneath the pain It has hope, and so do I That one day, the dark will leave the sky I see your sunshine through the dark It's stark It warms me still I know you're there, somewhere Today, tomorrow, forever.
ITALIANO
Ma la domanda è: puoi controllare il tuo cambiamento? Puoi controllare tutto? Sei qui… come quella volta che mi hai toccato il viso, e hai promesso che ci saresti sempre stato. La promessa da digerire è che quella mano possa sparire, e che tu te ne vada come un raggio di sole dentro la strada, inghiottito nella notte. Il buio cala e consuma, persuade, frantuma… ti porta lontano. E a me resta l’eco delle parole che dicevi tenendomi la mano. Ma io conosco il cuore sotto il dolore. Ha speranza, e ce l’ho anche io, che un giorno il buio al cielo dirà addio. Vedo quel raggio di sole nell’oscurità. E’ luminosità. Ancora mi riscalda. So che ci sei, sei dove vorrei. Oggi, domani, per sempre.
“Ginny & Georgia” è quel tipo di serie che sembra voler giocare con le aspettative del pubblico per poi ribaltarle nel momento esatto in cui pensi di aver capito il tono della storia. All’apparenza è un teen drama con tinte comedy, un po’ come Una mamma per amica – e l’associazione iniziale è anche voluta, diciamolo – ma in realtà è un ibrido narrativo che affonda le mani nel crime, nel melodramma familiare e in un certo realismo psicologico che non sempre funziona, ma quando lo fa, sa colpire nel segno. La chiave, alla fine, resta sempre lì: nel rapporto madre-figlia. Georgia e Ginny. Due donne – perché Ginny è a tutti gli effetti una ragazza che sta cercando di diventare donna – che si specchiano l’una nell’altra, a volte riconoscendosi, a volte odiandosi. Dopo il colpo di scena finale della stagione 2 – Georgia arrestata nel bel mezzo del suo matrimonio con Paul per l’omicidio di Tom – la stagione 3 cambia registro. E non del tutto per il meglio.
La serie si sposta verso un drama più giudiziario, trasformando il cuore narrativo della storia, che era l’ambiguità morale di Georgia e la crescita di Ginny, in un intreccio da legal thriller dove i tempi si dilatano, i dialoghi si appesantiscono e i personaggi sembrano risucchiati da una spirale di eventi che raramente riesce a farli respirare. Il passato torbido di Georgia, invece di aggiungere profondità, comincia a diventare quasi un pretesto narrativo, uno “scudo” per giustificare ogni sua azione presente. In pratica, il trauma come giustificazione permanente. Georgia ottiene la libertà vigilata, ma perde Paul – che le chiede il divorzio quando capisce che quel confine morale che lei varca regolarmente è qualcosa con cui non può più convivere.
E qui, uno degli archi narrativi più interessanti della stagione: il fallimento della "nuova vita perfetta". Georgia è convinta di potersi redimere indossando un abito da sposa, ma la verità (quella che Ginny conosce bene) è che nessuna messa in scena può cancellare le colpe. Ginny inizia la stagione nel caos emotivo: il trauma del tradimento della madre, la confusione sulla sua identità etnica e sociale, il disturbo da autolesionismo, la rottura con Marcus e una famiglia che si sbriciola. A tenere tutto insieme è Zion, il padre “giusto”, il punto fermo che la spinge verso la poesia. È lui che la invita ad iscriversi al corso che la mette in contatto con Wolfe (Ty Doran), personaggio secondario ma importante per mostrare un lato di Ginny che cerca di costruirsi da sé, fuori dalle definizioni imposte dagli altri.
La crescita di Ginny è più interessante di quella di Georgia, perché avviene sotto sforzo. Mente, manipola, ma anche impara. La decisione di ricattare Cynthia per salvare la madre è uno di quei momenti in cui lo spettatore si rende conto che Ginny sta assomigliando un po’ troppo a Georgia. Ed è qui che si apre uno dei veri temi della stagione: quanto puoi odiare i tuoi genitori senza diventare come loro? Il finale della stagione 3 prova a chiudere il cerchio: Georgia libera, Ginny più consapevole, Marcus in terapia, Paul fuori dai giochi e Joe di nuovo in primo piano. Ma la vera domanda non è cosa succederà nella stagione 4, ma se i personaggi abbiano ancora qualcosa da dire.
“Ma la domanda è: puoi controllare il tuo cambiamento? Puoi controllare tutto?”
La poesia si apre con un dubbio esistenziale. La parola chiave è controllo. Ginny si domanda se sia possibile governare il proprio cambiamento, trattenere le cose, tenere le persone accanto. È un’apertura che riassume uno dei grandi temi della serie: l’illusione di poter gestire tutto, anche l’amore. “Sei qui… come quella volta che mi hai toccato il viso, e hai promesso che ci saresti sempre stato.” Ginny rievoca un ricordo semplice ma intimo. Quel gesto – la mano sul viso – è diventato simbolo di presenza, di sicurezza. Eppure, la frase non è nostalgica: è piena di sospensione. Perché subito dopo arriva il timore che quella presenza svanisca. “La promessa da digerire è che quella mano possa sparire, e che tu te ne vada come un raggio di sole dentro la strada, inghiottito nella notte.” Questo è uno dei versi più visuali e struggenti. L’immagine del raggio di sole che si perde nella notte è potente: Marcus è stato per Ginny una luce fugace, che ha scaldato ma non è riuscita a restare. La poesia non accusa, non rimprovera. È un’osservazione dolceamara: anche le cose più belle, se non restano, fanno male.
“Il buio cala e consuma, persuade, frantuma… ti porta lontano.” Il buio qui non è solo assenza di luce, ma qualcosa che convince, che si insinua. Un male silenzioso, che logora e allontana. Forse è la depressione di Marcus, forse è la solitudine di Ginny. Forse entrambe. In ogni caso, il buio diventa un terzo personaggio della relazione. Invisibile, ma sempre presente. “E a me resta l’eco delle parole che dicevi tenendomi la mano.” Il passato resta sotto forma di eco: qualcosa che non c’è più, ma che continua a risuonare. Questo è il cuore emotivo della poesia. Ginny non può più stringere quella mano, ma quelle parole le sono rimaste cucite addosso. Non basta per colmare l’assenza, ma è tutto ciò che le rimane. “Ma io conosco il cuore sotto il dolore. Ha speranza, e ce l’ho anche io, che un giorno il buio al cielo dirà addio.” Qui la poesia cambia tono. Non è più solo constatazione della perdita, ma desiderio di riscatto. “Il cuore sotto il dolore” è una frase che riassume perfettamente il modo in cui Ginny vede Marcus: non come un ragazzo malato o fragile, ma come qualcuno che sta lottando. E in quella lotta, lei vede ancora una possibilità. “Vedo quel raggio di sole nell’oscurità. È luminosità. Ancora mi riscalda.” Il raggio di sole, che prima si era perso, ora ritorna. Non in forma fisica, ma come presenza emotiva. Anche se Marcus non è più lì, l’amore che lei prova per lui continua a scaldarla. È un amore che non chiede nulla, non pretende, non trattiene: semplicemente esiste. “So che ci sei, sei dove vorrei. Oggi, domani, per sempre.” Il finale è puro sentimento. Ginny accetta la distanza, ma non rinuncia al legame. Non è una dichiarazione da soap, è una frase sussurrata con consapevolezza: “sei dove vorrei”, anche se non sei con me. È la definizione più delicata e matura che Ginny abbia mai dato dell’amore. Non più un bisogno, ma una presenza che resta anche nell’assenza.
Questa poesia non chiude una storia d’amore. La accetta, nella sua imperfezione, nella sua fine possibile, nel suo dolore. Ginny non scrive per convincere Marcus a restare, né per illudersi che tutto torni come prima. Scrive perché ne ha bisogno. Perché a volte, il solo modo di amare qualcuno è lasciarlo andare, ma senza smettere di sentirlo dentro.
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