Monologo femminile - Benedetta Porcaroli in \"Sette donne e un mistero\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Agostina, nel film Sette donne e un mistero, è un momento chiave. Non solo smonta e ribalta tutto quello che abbiamo visto fino a quel punto, ma rappresenta anche uno snodo narrativo in cui la farsa teatrale si fa rivelazione e, in un certo senso, giudizio. Nel momento in cui Agostina prende la parola e racconta — con un tono a metà tra la favola e l’atto d’accusa — la verità dietro la messa in scena della morte di Marcello, il film cambia marcia. Non è più un semplice gioco tra sospetti e bugie: diventa una riflessione su quanto ogni personaggio abbia contribuito al crollo di un uomo, e su quanto le dinamiche familiari siano fatte di ruoli imposti, egoismi e silenzi. Questo monologo arriva come un colpo di teatro, ma sotto c’è un’idea ben precisa: per conoscere davvero chi ti circonda, devi sparire — o fingere di farlo.

Racconto di Natale

MINUTAGGIO:  1:07:04-1:12:50

RUOLO: Agostina

ATTRICE: Benedetta Porcaroli

DOVE: Netflix

ITALIANO

Racconto di Natale. C’era una volta un uomo circondato da sette donne. Ieri sera, quel pover’uomo si è coricato. E il girotondo delle sue donne è cominciato. Come ogni notte, forse. Solo che stavolta, sua figlia Caterina, nascosta dietro una tenda, ha visto e sentito tutto. Ecco cosa è successo. Alle 10:00 primo quadro. Sua suocera, che lui ospita da più di dieci anni, si rifiuta di dargli i suoi titoli. Secondo quadro: alle 10:30, sua cognata Agostina entra a pregarlo di dimenticare quello che gli aveva scritto, come se lui se lo ricordasse. Lui ha un altro problema: vuole solo liberarsi di lei. E alle 11, comincia l’offensiva. Sua moglie gli comunica che lo lascerà. Aspetta la fine delle feste, giusto per le figlie. Bel regalo di Natale, mamma. A mezzanotte entra la tisana. E con lei, Maria. All’una, dopo l’ennesima andata in bagno, Agostina ci riprova. Ma stavolta papà non la fa neanche entrare. All’una e mezza ecco Veronica, che tanto arriva quando vuole perché ha le chiavi. Ha bisogno di soldi, vuole tornare a Parigi. Parlano del testamento. Infine, alle tre, ciliegina sulla torta. Susanna a dargli la buona novella: “aspetto un bambino, papà, e non è stato lo Spirito Santo…” E a quel punto manco solo io, che esco dalla tenda e gli dico che ho sentito tutto. E che gliela farò pagare. A lui, a voi… Siete delle streghe. Papà era esausto. Non ce la faceva più. Lo sapete cosa mi ha detto? “Come si deve stare bene, da morti.” Ha detto così. E l’ha ripetuto, e ripetuto, allora ho detto: “Ok, “papà, se è questo che vuoi, ti aiuto io”. Ci siamo solo divertiti a inscenare la usa morte, così che potesse sentire dietro a quella porta, quello che pensavate veramente di lui. Voleva sapere chi di voi avrebbe pianto di più; chi avrebbe parlato più di soldi; chi più d’amore… perché oggi doveva andare dal notaio, e voleva avere le idee chiare sul testamento. E l’unico modo era morire. Ho usato il mercurio cromo per fare il sangue e un coltello con la lama rotta, poi ho telefonato a Veronica, ho tagliato i fili del telefono, quelli della macchina, e ho messo un catenaccio al cancello. E ho anche nascosto le medicine di zia Agostina sotto il letto della mamma. Ho rubato i titoli di nonna, e ho messo una pistola finta nella borsetta di Veronica. Ah, ho anche scambiato la chiave della camera, così che papà non dovesse stare tutto il giorno a faccia in giù.

Sette donne e un mistero

"Sette donne e un mistero" è un film italiano del 2021 diretto da Alessandro Genovesi, remake dichiarato e adattamento di "8 donne e un mistero", film francese del 2002 diretto da François Ozon, che a sua volta si ispirava a una pièce teatrale di Robert Thomas. Siamo in Italia, negli anni '30. Una villa isolata dalla neve, una famiglia riunita per le feste natalizie, e un delitto al centro di tutto: l’assassinio del capofamiglia, Marcello. Otto personaggi in scena: sette donne — ognuna legata in modo diverso alla vittima — e il cadavere di lui, che resta invisibile ma la cui presenza (o assenza) muove tutta l’azione. Il tono è da commedia gialla, con dinamiche che giocano col teatro, il melodramma familiare e il poliziesco da camera.

L’inizio è da commedia natalizia: c'è aria di festa, arrivano parenti, regali, chiacchiere da salotto e tensioni più o meno nascoste. In poco tempo però, la situazione si capovolge: Marcello viene trovato morto nel suo letto, pugnalato alla schiena. Niente polizia, niente cellulari (siamo negli anni ‘30), e la villa è isolata dalla neve. Le uniche persone presenti sono le donne della famiglia e della servitù. Nessuna può uscire. E il colpevole è certamente tra loro.

A questo punto il film si trasforma: ogni donna viene interrogata e ogni racconto fa emergere segreti personali, rancori, gelosie e bugie che pian piano sgretolano l'immagine di famiglia perbene. Ogni personaggio ha un movente potenziale, ognuna ha qualcosa da nascondere, e ognuna – man mano che la storia si sviluppa – si trasforma da possibile vittima a sospettata.

Le sette donne sono:

Margherita (Margherita Buy), la moglie: apparentemente affranta, ma con una rabbia repressa evidente.

Susanna (Diana Del Bufalo), la figlia maggiore: impulsiva, passionale, piena di risentimenti.

Caterina (Micaela Ramazzotti), la cognata: ambigua, con una relazione troppo ambigua con Marcello.

Veronica (Serena Autieri), la sorella della moglie: elegante, calcolatrice, con affari in ballo.

Agostina (Benedetta Porcaroli), la cameriera nuova: ingenua solo in apparenza.

Rachele (Luisa Ranieri), la governante: severa, silenziosa, ma onnipresente.

Maria (Ornella Vanoni), la madre della moglie: ironica, cinica, con l’esperienza per leggere tra le righe.

Il film gioca sulla teatralità delle relazioni, creando una danza continua di accuse reciproche, confessioni e colpi di scena. Ogni donna viene smascherata progressivamente, e tutte rivelano una versione diversa di Marcello — un uomo che si scopre essere molto meno amato di quanto sembrasse all’inizio.

Il film porta a una rivelazione piuttosto ironica: Marcello non è stato ucciso da nessuna di loro. Era ancora vivo. Ha inscenato il proprio omicidio per svelare ipocrisie e tradimenti, ma alla fine si è suicidato per davvero, lasciando le donne con il peso delle loro colpe e delle verità appena scoperte.

Analisi Monologo

"Racconto di Natale. C’era una volta un uomo circondato da sette donne."

L’incipit è volutamente fiabesco, ironico, ma anche inquietante. Agostina introduce la scena come se stesse leggendo una favola, creando un contrasto forte tra la forma infantile e i contenuti cupi. L’effetto è quello di uno straniamento teatrale: ti fa sorridere, ma in realtà stai per ascoltare qualcosa di profondamente disturbante.

"Il girotondo delle sue donne è cominciato."

Qui c’è un’immagine potente: le donne della casa come un coro circolare, quasi stregonesco, che ruota intorno a Marcello ogni notte. Il verbo “girotondo” ha una doppia valenza: richiama l’infanzia, ma anche un movimento ipnotico, ossessivo. Ogni personaggio diventa parte di un rito che consuma il protagonista maschile, lo svuota, lo affatica.

"Sua figlia Caterina, nascosta dietro una tenda, ha visto e sentito tutto."

Questo dettaglio è interessante. La verità non emerge in modo diretto, ma attraverso lo sguardo di un testimone invisibile. È un classico meccanismo da pièce teatrale: qualcuno guarda e rivela, rompendo la finzione. In questo caso, è Agostina a ricostruire tutto a posteriori, usando Caterina come tramite, ma è chiaro che ciò che sta dicendo è anche (e soprattutto) suo.

"Papà era esausto. Non ce la faceva più." Qui viene fuori il centro emotivo del monologo. Dietro l’architettura del delitto simulato c’è una vera condizione psicologica: la stanchezza di un uomo sommerso da relazioni logorate. E il punto più cupo arriva subito dopo: "Lo sapete cosa mi ha detto? 'Come si deve stare bene, da morti.'" Questa frase è lacerante. Non è solo il grido di disperazione di un personaggio, ma anche un’iperbole teatrale che riassume l’impossibilità di essere ascoltati in vita. Solo nella morte (o nella sua finzione) le persone cominciano a dire la verità. È un concetto crudele, ma perfettamente in linea con l’idea del film.

"Ci siamo solo divertiti a inscenare la sua morte..." Qui il tono si fa ancora più ambiguo. Il verbo “divertiti” crea un corto circuito: stiamo parlando di una messinscena crudele, manipolatoria, eppure raccontata con leggerezza. Agostina diventa quasi regista della situazione, costruendo passo passo lo spettacolo della morte: il sangue finto, il coltello truccato, i fili tagliati, la chiave scambiata. Ogni dettaglio è pensato come se si stesse organizzando una rappresentazione. Ma dietro c'è una lucidità quasi inquietante.

"...voleva sapere chi avrebbe pianto di più, chi avrebbe parlato più di soldi, chi più d’amore..." Qui si capisce la vera posta in gioco: non l’eredità, ma il bisogno disperato di affetto, di comprensione. Marcello mette in scena la sua fine come test di umanità. È un esperimento sociale estremo, ma anche un ultimo tentativo di controllo su un mondo che gli sta sfuggendo di mano. Ed è Agostina a prestarsi a tutto questo, diventando il braccio esecutivo della sua finzione.

Conclusione

Il monologo di Agostina è il momento in cui la commedia gialla si rompe e lascia affiorare qualcosa di più profondo: la frustrazione, la solitudine e la messa in scena perpetua della vita familiare. In un contesto dove tutti interpretano un ruolo, solo attraverso la simulazione della morte si arriva alla verità. Agostina non è solo la cameriera un po’ svampita: è l’unico personaggio che si espone completamente, che agisce, che orchestra.

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