Monologo - Sigourney Weaver in \"Copycat - Omicidi in serie\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questa scena arriva in un momento topico del film, quando Helen, in “Copycat” – ancora rinchiusa nel suo appartamento, ancora logorata dall’agorafobia – è costretta ad affrontare il killer sul suo stesso terreno: la mente. Non è un confronto fisico, ma una sfida intellettuale. Il killer le scrive, lei lo analizza. Lui l’intimorisce, lei lo smonta.

Segue l'esempio di altri killer

MINUTAGGIO: 00:20-3:58

RUOLO: Helen Hudson

ATTRICE: Sigourney Weaver

DOVE: Netflix

INGLESE

"Helen, don't lose your head. " So we're on a first-name basis. Is it a threat? Does he want to cut off my head? Dahmer cut off heads. Kemper. I think Rifkin did. I'm sorry. It's difficult. "First you make a stone of your heart. " That's the first step: dissociation. He's saying he's suffered. Now it's our turn. What made a stone of his heart? Usually it's rejection or humiliation by a parent. Gacy's father beat him for fun. Kemper's mother locked him up in a cellar when he reached puberty. Something happened to this one. Are these his first killings? I think they are. But he's thought about them. This guy's copycatting. He wants what those K*llers got. Fame, the power to terrify us... To take whoever, whatever he wants without saying "please. " "And if you find that your hands are still willing, you can turn m*rder... ...into art. " He wants us to think what he's doing is art. We're looking for someone desperate for acceptance. Probably has a fair academic record. And I think has a technical job. Something that demands a certain precision. HELEN: "Flushed with your very first success... ...you must try a twosome or a threesome... ...and you'll find your conscience bothers you much less. " A gruesome twosome. Kemper did two in one day. Bundy at Chi Omega did three.

ITALIANO

“Helen non perdere la testa”. Ci chiamiamo anche per nome. E’ una minaccia? Vuole forse tagliarmi la testa? Dahmer tagliava teste, Kemper, anche Rifkin credo… Scusi, è difficile. Prima indurisci il tuo cuore come una pietra”. E’ il primo passo: dissociazione. Ci dice che lui ha sofferto, e ora tocca a noi. Ma perché mai ha il cuore indurito? Di solito è il rifiuto o l’umiliazione da parte di un genitore. Gacy veniva picchiato brutalmente dal padre; la madre di Kemper lo chiuse in un sotterraneo quando raggiunse la pubertà. Qualcosa è successo anche a lui. Saranno i suoi primi delitti? Secondo me si, ma ci ha pensato per molto tempo. Sta copiando. Vuole quello che hanno avuto gli altri serial killer. La fama, il potere di terrorizzarci, di prendere chiunque, qualsiasi cosa desideri senza chiedere per favore. “E se scopri che le tue mani ne sono ancora capaci fai dell’omicidio una forma d’arte”. Vuole che riteniamo le sue azioni una forma d’arte. Credo che voglia disperatamente essere accettato. Probabilmente ha un buon curriculum accademico. Fa un lavoro accademico forse qualcosa che richieda una certa precisione. “Se sei entusiasta del tuo primo successo, devi cercarlo di duplicarlo o triplicarlo, e scoprirai che la coscienza ti rimorde meno, così”. Duplicare un omicidio. Kemper ne uccise due in un giorno. Bundy ne uccise addirittura tre.

Copycat - Omicidi in serie

Copycat è un thriller psicologico uscito nel 1995, diretto da Jon Amiel e scritto da Ann Biderman e David Madsen. È uno di quei film che, pur appartenendo a una stagione cinematografica molto affollata di thriller con serial killer (siamo nel post-Seven e nel pieno effetto-Il silenzio degli innocenti), riesce a ritagliarsi una sua identità precisa. Il cuore del film sta nel suo gioco di specchi: un assassino seriale che replica i delitti di altri killer famosi e una protagonista che vive imprigionata nelle proprie fobie. La protagonista è Helen Hudson, interpretata da Sigourney Weaver. Lei è una psicologa forense specializzata in profili di serial killer. All'inizio del film la vediamo tenere una conferenza universitaria sull'argomento, dove emerge subito quanto sia brillante ma anche quanto stia camminando sul filo del panico. Poco dopo, Helen viene aggredita in un bagno dell’università da un suo ex paziente, un serial killer che ha contribuito a far incarcerare: Daryll Lee Cullum (Harry Connick Jr., in una delle sue interpretazioni più disturbanti).

Questa aggressione la traumatizza profondamente. Da quel momento Helen sviluppa una forma grave di agorafobia. Vive chiusa nel suo appartamento high-tech, protetta da sistemi di sicurezza, telecamere e ansia costante. Un ambiente asettico, ma anche prigione. Parallelamente, in città inizia una serie di omicidi. Due detective, l’esperta e schiva M.J. Monahan (Holly Hunter) e il più giovane e impulsivo Reuben Goetz, indagano. I delitti sembrano non avere un vero filo conduttore… fino a quando non si scopre che ogni omicidio è una replica meticolosa di un omicidio commesso da un serial killer del passato. Da qui il titolo del film: Copycat, l’imitatore.

M.J. contatta Helen per chiedere aiuto nella lettura del caso. Da questo punto in poi, la struttura del film si trasforma in una sorta di partita a scacchi tra l’imitatore, la profiler agorafobica e la detective. Helen, costretta a confrontarsi nuovamente con i propri demoni, deve usare il suo intelletto per ricostruire i pattern dell’assassino, che sembra anche sapere molto di lei. Il killer si muove come un regista ossessionato dai classici dell’orrore americano: Richard Ramirez, Jeffrey Dahmer, Son of Sam, Ted Bundy… Ogni omicidio è un tributo macabro. Il suo obiettivo? Lasciare il segno, superare i "maestri", e sfidare chi è in grado di capirlo.

Analisi Monologo

Helen, non perdere la testa. L’ironia crudele del killer dà subito un tono personale al messaggio. Usa il suo nome, stabilisce un contatto diretto. Ma dietro la battuta macabra c’è una forma di controllo: il linguaggio del potere. Helen risponde in modo clinico: cita Dahmer, Kemper, Rifkin. Chiama in causa l’atto del decapitare come una pratica con una propria “tradizione” nei serial killer. Non si lascia trascinare nell’emotività, anzi, sembra quasi usare la razionalità come barriera. Ma la sua voce tradisce una tensione sotterranea: “Scusi, è difficile”. Il momento di esitazione umanizza tutto: Helen non è invulnerabile, sta tenendo insieme lucidità e panico con il filo sottile della professionalità.

Poi entra nel vivo dell’analisi: Prima indurisci il tuo cuore come una pietra. È il primo passo: dissociazione. La frase contenuta nella lettera è letta come un indizio di struttura mentale. Helen riconosce nel linguaggio del killer un pattern noto: la dissociazione come meccanismo di difesa, usato per giustificare la violenza. Subito dopo, risale alla possibile causa: traumi infantili. Ed ecco che cita Gacy e Kemper, legando il vissuto del killer all’origine dei suoi comportamenti. Non è giustificazione. È mappatura.

Ma c’è un passaggio ancora più interessante: “Vuole quello che hanno avuto gli altri serial killer. La fama, il potere di terrorizzarci… Qui Helen individua il cuore del comportamento del copycat: l’invidia. Il desiderio di “partecipare al club”. Non uccide per sé, uccide per assomigliare a qualcun altro. Come un artista che copia un maestro sperando di ottenere la stessa gloria. L’omicidio, per lui, diventa un gesto estetico: “una forma d’arte”. Helen lo smaschera: è un imitatore che cerca legittimazione.

Il monologo si conclude su un’osservazione tecnica: Duplicare un omicidio… Kemper ne uccise due in un giorno. Bundy ne uccise addirittura tre.” Questa è la conferma del modello performativo del killer. Non vuole solo uccidere. Vuole eguagliare, superare, ripetere. La serialità come compulsione, ma anche come imitazione culturale.

Conclusione

Questo monologo è centrale perché mostra come Helen riesca, ancora una volta, a mantenere il controllo attraverso la mente. Non è un controllo assoluto – la sua voce trema, il corpo è rigido – ma è una lotta interiore visibile. Il killer la sfida sul piano della psiche, e lei risponde con freddezza analitica, ma anche con un dolore che si intuisce dietro le sue osservazioni.

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