Monologo femminile teatrale - Cassandra in \"Le Troiane\" di Euripide

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Cassandra ne Le Troiane di Euripide è una delle vette più affilate della tragedia antica. Qui, la follia profetica di Cassandra si fa lucidissima. E proprio in quel paradosso – del delirio che dice la verità – Euripide costruisce un pezzo che è al tempo stesso poesia funebre, accusa politica e canto di vendetta. Cassandra appare in scena già come un personaggio fuori dalla realtà ordinaria: è la figlia di Ecuba, promessa al dio Apollo, poi maledetta da lui a dire sempre la verità senza essere mai creduta. È sacerdotessa, profetessa, e ora anche bottino di guerra: sarà la concubina di Agamennone. Il suo destino è segnato.

Accusa

Madre, cingi tutt’intorno il capo, rallegrati per le mie nozze regali. E guidami, cingi il capo ben sciolto, sospingimi con forza. Se mai sposi si sono con nozze più amare di quelle di Elena condotte al letto, saranno degli Achei, Agamennone. Lo ucciderò: me ne starò una volta la sua casa, vendicando i fratelli, i padri. Ma qualcosa tralascerò. Non canterò i fratelli, il padre, e di altri verrà, e i matricidi agoni, che le scure che sul collo suona, e la distruzione della casa di Atreo. Dimostrerò invece che questa città è più felice degli Achei. Io certo sono posseduta dal dio, ma tuttavia il tempo verrà che mi terrò al di fuori del delirio estatico. Questi, per colpa di una sola donna e di una sola Cipride, volendo prendere Elena, fecero perire innumerevoli uomini. E il comandante, lui, il capo, per ciò che c’è di più odioso fece perire le cose più care,⁴⁴ sacrificando al fratello la prole, gioia della sua casa per una donna, per giunta consenziente e non a forza rapita. Quando giungevano presso le rive dello Scamandro morivano, non perché privati dei confini della terra, né della patria dalle alte torri. Quasi Ares prendeva, non videro i loro figli, né nelle mani della donna: si furono avvolti di pepli, ma in terra straniera esangue. Ciò che accadeva in patria era simile a questo: le spose morivano vedove e i padri senza figli nelle case, dopo aver allevato per altri i propri figli; né vi è chi sulle loro tombe farà dono del pegno alla terra. Davvero una spedizione degna di questo elogio. Tacere le cose turpi è meglio, né la musa diventi per me cantrice che celebri mali. I Troiani, invece, per prima cosa, morivano in difesa della loro patria, la gloria più bella. Coloro che la lancia prendeva, portati corpi senza vita dai loro cari nelle case, sul patrio suolo avevano l’abbraccio della terra ed erano composti dalle mani di chi doveva. Quanti poi dei Frigi non morivano in battaglia, sempre giorno dopo giorno con la moglie e i figli vivevano, gioie queste che mancavano agli Achei. La sorte di Ettore, degna per te di compianto, ascolta come si presenta: è scomparso, morto, dopo aver conseguito la fama del più valoroso, e questo glielo procura l’arrivo diegli Achei. Se gli Achei fossero rimasti nella loro patria, si sarebbe ignorato che egli era un prode. Paride poi ha sposato la figlia di Zeus; se non l’avesse sposata, la parentela che avrebbe avuto nella casa sarebbe passata sotto silenzio. Deve dunque evitare la guerra chi è assennato. Ma se uno giungesse a tanto, corona non turpe per la città è il morire degnamente e indegnamente morire è invece infamante. Per questo tu non devi, o madre, piangere questa terra, e nemmeno il mio letto; coloro che sono per me e per te i più odiosi con le mie nozze io li distruggerò. 

Le Troiane di Euripide

Siamo nel 415 a.C., e ad Atene è appena successa una cosa pesante: gli ateniesi hanno raso al suolo l'isola di Melo, massacrando uomini e riducendo donne e bambini in schiavitù. Quella stessa estate decidono anche di partire per la disastrosa spedizione siciliana. In mezzo a tutto questo, Euripide porta in scena Le Troiane alle Grandi Dionisie. È come se ci dicesse: "Guardate cosa siete diventati". Non c’è suspense nella trama. Non c’è un eroe che combatte, non c’è nemmeno un vero conflitto drammaturgico. C’è solo la resa dei conti dopo la guerra: Troia è caduta. Gli uomini sono morti. Le donne, che qui sono le vere protagoniste, sono in attesa di conoscere il loro destino da schiave. L’azione si svolge davanti alle rovine di Troia. È un mondo in cenere. Il primo personaggio che appare è Poseidone, seguito da Atena: due dei, ma ridotti a figure quasi burocratiche che si scambiano favori e punizioni. Poi arriva Ecuba, la regina di Troia, una delle figure più tragiche mai scritte da Euripide. C’è poi Cassandra, la figlia profetessa, che annuncia il futuro con toni deliranti. Andromaca, la moglie di Ettore, con un monologo che è un colpo allo stomaco. Elena, vista qui in una luce molto diversa da quella epica: non più causa mitica di una guerra, ma donna manipolatrice e consapevole. Infine c’è Taltibio, l’araldo greco: un personaggio apparentemente secondario, ma che rappresenta perfettamente il volto umano della burocrazia della guerra. È lui che comunica alle donne il loro destino.

La forza de Le Troiane sta nel fatto che Euripide rifiuta completamente l’ideologia della guerra eroica. Non c’è spazio per l’onore, per la gloria, per la vendetta giusta. Qui la guerra è solo dolore, perdita, sopraffazione. È una tragedia sulle conseguenze, non sulle azioni. E le conseguenze cadono tutte sulle donne. Il dolore qui è quotidiano, quasi meccanico: Ecuba perde tutto, ma non si dispera con toni altisonanti. È svuotata. Andromaca perde il figlio Astianatte, che viene ucciso dai greci per evitare che possa vendicare Troia da grande. Cassandra conosce già tutto, ma nessuno l’ascolta. Eppure canta, ride, parla con ironia. E poi c’è Elena, che si difende davanti a Ecuba e Menelao. Qui il testo diventa quasi un piccolo processo, con argomentazioni, accuse, controaccuse. Euripide lascia lo spettatore sospeso: chi ha davvero colpa? Elena o chi l’ha usata come pretesto per scatenare dieci anni di guerra? È una tragedia che alterna momenti di lirismo altissimo (nei cori, nei monologhi) a passaggi quasi da cronaca fredda. Euripide lavora sulle pause, sulle ripetizioni, sui silenzi. I personaggi non gridano la tragedia: la incarnano. Ogni battuta è una pietra su un edificio che non vuole essere bello, ma solido. Ti obbliga a stare dentro al dolore.

Monologo e Personaggio

Madre, cingi tutt’intorno il capo, rallegrati per le mie nozze regali…” Cassandra si rivolge alla madre con parole da cerimonia nuziale, ma il tono è tagliente. L’immagine delle “nozze regali” è una maschera macabra: quello che la aspetta è lo stupro ritualizzato della schiava destinata al letto del capo nemico. Eppure lei canta come se andasse incontro a un trionfo. Perché lo è, in un certo senso: sarà la causa della fine di Agamennone. “Dimostrerò invece che questa città è più felice degli Achei.” È qui che il monologo cambia registro. Cassandra non piange la distruzione di Troia: la analizza. Il suo è uno sguardo distaccato e feroce. Euripide le mette in bocca un giudizio etico-politico che è un pugno nello stomaco per il pubblico ateniese del 415 a.C.

Gli Achei – vincitori militari – sono in realtà moralmente distrutti: per una sola donna, Elena, “consenziente e non a forza rapita”, hanno sacrificato migliaia di vite. Agamennone ha sacrificato la figlia Ifigenia “per una donna”, mostrando un potere che divora la propria stessa discendenza. “Quando giungevano presso le rive dello Scamandro morivano… né vi è chi sulle loro tombe farà dono del pegno alla terra.” Cassandra descrive la sorte degli Achei in modo crudo: corpi senza sepoltura, figli cresciuti invano, donne rimaste vedove. Euripide prende il mito epico e lo svuota della retorica eroica. Parla dei morti come si parlerebbe in tempo di guerra oggi: numeri, mancanze, assenze. Dall’altro lato, i Troiani – pur sconfitti – hanno avuto una morte “nobile”: difendendo la patria, pianti e sepolti dai propri cari. Qui Euripide sembra voler ricordare che anche nella rovina può esserci dignità.

Paride poi ha sposato la figlia di Zeus…” Cassandra difende anche Paride, figura solitamente odiata per aver causato la guerra. Ma Euripide gioca con il relativismo del mito: se non ci fosse stata la guerra, nessuno avrebbe saputo del valore di Ettore, né della parentela divina di Paride. È un modo per dirci che la fama nasce sempre da eventi tragici, e che i giudizi sono scritti dai vincitori – ma anche da chi sa raccontare la sconfitta. “Per questo tu non devi, o madre, piangere questa terra, e nemmeno il mio letto…” Cassandra chiude il monologo con un’esplosione di senso: non si lamenta, non si arrende. Lei userà la sua schiavitù come strumento di vendetta. Le sue “nozze” non saranno celebrazione, ma rovina. Agamennone sarà ucciso, e con lui l'intera casa degli Atridi entrerà in una spirale di sangue. Cassandra sarà la miccia.

Conclusione

Il monologo di Cassandra è un esempio perfetto di come Euripide sappia sovvertire ogni aspettativa teatrale. Una schiava, una donna considerata folle, si rivela l’unica in grado di leggere con lucidità la verità dei fatti. E la sua voce diventa quella dell’autore stesso: accusatoria, ironica, dolente.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com