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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo, che viene recitato da una delle suore in The Nun II, è un discorso che ha un forte peso espositivo, ma che contiene anche alcuni elementi teatrali e simbolici che lo rendono interessante da analizzare con attenzione. È un momento di “passaggio”: l’orrore non è più solo avvertito, ma ora è anche raccontato, messo in parole. E questo cambia tutto, perché quando l’orrore viene verbalizzato, assume un’altra consistenza.
MINUTAGGIO: 9:00-11:30
RUOLO: Una Suora
ATTRICE: -
DOVE: Netflix
INGLESE
One by one, the sisters found themselves murdered. Hanging from windows. Throat slit open. Acts of suicide. Sometimes worse. They learned that beneath their remote abbey was a terrible secret. A gateway to hell. And from this gateway, a demon had escaped. Now, we know that a demon can take any form, but they choose their form to challenge your faith and to weaken your spirits. Now, for the nuns of Saint Carta, this demon chose the most ungodly, the most blasphemous form. It chose to look like one of them. Well, the Vatican sent in a pair of demon hunters. A priest and a nun. And how did they stop it? [elder sister] Great question. They used an ancient relic, a vial which contained the blood of Jesus Christ. So, they returned as heroes, kissed the Pope’s ring. Priest was made a bishop. And the Nun... Well, no one really knows. They say the experience was too much for her. Some say that she went mad. The Vatican had to lock her up in an asylum.
ITALIANO
E una dopo l’altra, le nostre sorelle finirono assassinate. Impiccate alle finestre, sgozzate senza pietà. Atti di suicidio, o talvolta peggio… Avevano scoperto che la loro sperduta abbazia nascondeva un terribile segreto: un ingresso per l’Inferno. E da quest’ingresso, un demone era scappato. Noi sappiamo che un demone può assumere qualsiasi forma, ma che sceglie la sua forma per sfidare la vostra fede. E indebolire il vostro spirito: ebbene, per le suore di Santa Carta, questo demone scelse la più sacrilega, la più blasfema delle forme. Scelse di apparire come una di loro. Il Vaticano inviò una coppia di cacciatori di demoni: un prete e una suora. Usarono un’antica reliquia. Una fiala che conteneva il sangue di Gesù Cristo. E così tornarono come eroi, e baciarono l’anello papale. Il Prete fu nominato Vescovo. E la Suora… beh, nessuno lo sa di preciso, dicono che quell’esperienza sia stata troppo per lei. Alcuni sostengono che sia impazzita. Il Vaticano ha dovuto rinchiuderla in un manicomio.
“The Nun II”, diretto da Michael Chaves e uscito nel 2023, è il sequel di The Nun del 2018 e si inserisce nel più ampio Conjuring Universe, quello costruito da James Wan a partire dal 2013. Ma rispetto al primo capitolo, qui la narrazione prende una direzione leggermente diversa: meno gotico-suggestiva, più dinamica, quasi da horror investigativo. Siamo nel 1956, quattro anni dopo gli eventi del primo film. La storia si sposta dalla Romania alla Francia, più precisamente in un collegio cattolico, dove si iniziano a verificare episodi inquietanti legati a una serie di morti misteriose, tutte con lo stesso tratto distintivo: i cadaveri presentano segni di combustione e un’espressione di puro terrore.
La Chiesa, preoccupata per la diffusione di questi episodi, richiama in azione Sorella Irene (Taissa Farmiga), che nel primo film aveva avuto il suo scontro diretto con Valak, la suora demoniaca. Non è più una novizia: ora è più consapevole, più provata, ma anche più sola, e soprattutto si sta interrogando sul senso di quello che ha vissuto. Sorella Irene viene inviata in Francia per indagare su questi eventi. Durante la sua indagine, scopre che Valak non è mai stato sconfitto del tutto, ma si è reincarnato in una nuova forma, e sta cercando un oggetto specifico: la Lacrima di Santa Lucia, una reliquia legata al potere della luce e della visione divina.
Nel frattempo, Maurice (Frenchie), il contadino che aveva aiutato Irene nel primo film, lavora come tuttofare nel collegio femminile dove gli eventi soprannaturali cominciano a moltiplicarsi. Quello che non tutti sanno (ma che noi spettatori intuivamo dalla scena finale del primo film) è che Maurice è posseduto da Valak. Il demone agisce attraverso di lui, ma in modo subdolo: è un'infiltrazione silenziosa, lenta, che cresce di intensità col passare del tempo.
Irene, con l’aiuto di una nuova alleata, Sorella Debra (Storm Reid), deve fermare Valak, e salvare Maurice, che è rimasto intrappolato in un limbo tra la sua coscienza e la possessione demoniaca.
Il testo si apre con la descrizione cruda e diretta di una serie di eventi violenti:
“E una dopo l’altra, le nostre sorelle finirono assassinate. Impiccate alle finestre, sgozzate senza pietà.” Qui il linguaggio è volutamente esplicito. Non ci sono metafore. Si parla di morte fisica, brutale, immediata. Non c’è ancora il “demonio”, non c’è la religione: c’è solo la violenza.
Poi arriva la svolta spirituale: “Avevano scoperto che la loro sperduta abbazia nascondeva un terribile segreto: un ingresso per l’Inferno.” Da qui il tono cambia. Il linguaggio si fa liturgico. Le parole “terribile segreto”, “Inferno”, “demone”, “fede” sono scelte con attenzione per evocare una dimensione di lotta tra Bene e Male che va oltre l’umano. La suora sta trasformando una sequenza di fatti in una narrazione sacra, quasi un’epopea religiosa.
C’è una riga centrale, che è il cuore filosofico del monologo: “Un demone può assumere qualsiasi forma, ma sceglie la sua forma per sfidare la vostra fede.”
Questa è la frase-chiave. Qui non si sta parlando di un “mostro” qualunque. Valak, il demone-simbolo di questa saga, non si limita a terrorizzare: colpisce ciò in cui credi, mina la tua identità spirituale. Ed è per questo che appare come una suora. È un attacco interno, intimo, quasi psicanalitico. È la profanazione del sacro attraverso l’imitazione. In altre parole, Valak si infiltra dove la fede è più pura, per farla marcire da dentro.
Nella parte finale del monologo, si introduce la storia di un prete e una suora inviati dal Vaticano (ossia Padre Burke e Irene nel primo film), e la narrazione diventa quasi leggendaria: “Usarono un’antica reliquia. Una fiala che conteneva il sangue di Gesù Cristo.”Siamo nel pieno simbolismo cattolico: il sangue come strumento di salvezza, la reliquia come unica arma contro il Male. Ma subito dopo, il tono si fa amaro: “Il Prete fu nominato Vescovo. E la Suora… beh, nessuno lo sa di preciso.” Qui c’è un retrogusto di denuncia. L’eroe maschile viene premiato, la figura femminile (che ha avuto un ruolo altrettanto centrale) scompare, viene dimenticata, forse annullata. Il suo destino è oscuro, come se la verità su quello che ha vissuto fosse troppo scomoda da raccontare.
È un finale che lascia aperti interrogativi, e che suggerisce che la Chiesa stessa preferisca seppellire certi eventi piuttosto che affrontarli.
Questo monologo è narrazione interna al film, utile a ricollegare passato e presente. Ci parla di fede come fragilità, di istituzioni religiose che premiano l’eroismo solo quando è comodo, e soprattutto di una forma di orrore che non è solo fisica ma anche spirituale.
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