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~ LA REDAZIONE DI RC
Interpretare il monologo di Judy in “L’ultima notte a Tremor ”è un compito delicato, che richiede un’approfondita comprensione emotiva e una capacità di dosare ogni sfumatura di dolore e forza che il personaggio porta con sé. Judy è una sopravvissuta a una violenza devastante, e il suo racconto è una rivendicazione della propria identità e della propria dignità.
MINUTAGGIO: 5:00-35:00
RUOLO: Judie
ATTRICE: Ana Polvorosa
DOVE: Netflix
ITALIANO
La visione riguarda una cosa successa. Io ero morta. Esattamente come mi hai descritto. Non so da che parte cominciare. E' successo molto tempo fa, e se mi avesssi detto quello che hai visto, di sicuro non te l'avrei mai raccontato. I miei incubi sono iniziati dopo un incubo reale. Otto anni fa avevo solo voglia di conquistare il mondo. Di godermi la vita e di conoscere gente. E decisi di iniziare da Tolosa. Non mi spaventava ripartire da zero. Lo avevo fatto prima per mia madre, io avevo lei e lei aveva me. Mi ha cresciuta da sola. E' morta di cancro prima che rientrassi a Tolosa. Ha passato mezza vita così, ecco perché ho fatto l'infermiera. E ho imparato che la vita e la morte vanno di pari passo. Essere consapevoli di quanto siamo effimeri mi ha fatto apprezzare i piccoli dettagli... Si chiamava Miray, ed era la mia migliore amica a Tolosa. Lei mi faceva sentire a casa, era sempre presente. Andare via di casa per vivere serenamente. E provare nuove sensazioni. Piano piano, riuscii a trovare il mio Nido. Era un posto molto diverso, da quello in cui ero cresciuta. Miray era un tipo di persona che... che vorresti avere sempre vicino. Provavamo a goderci la vita, capisci? E' il minimo a cui dovremmo aspirare tutti. A Tolosa ero molto felice. Finché una notte non cambiò tutto. Conosciamo dei ragazzi. Ancora ricordo i loro nomi. Pierre. Uno si chiamava Pierre. E mi piaceva. Mi piaceva molto. Stavano facendo un viaggio con il camper. Era una specie di tradizione. Pierre mi guardò e poi mi disse: "Venite a ballare"? Avevo passato molto tempo chiusa in me stessa, ma quella notte mi aprii, quella notte ballai. Abbiamo cominciato a baciarci. MIray si mise a flirtare con un ragazzo che aveva conosciuto. Lui la voleva invitare a casa sua. Prima di andare mi chiese se la volevo portare a casa. Io le risposi una cosa che non... che non dimenticherò mai: "Domani me ne pentirò." E se ne andò. Poi Pierre si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio: "Che ne dici se andiamo da qualche altra parte"? Esplorammo ogni angolo di quella casa, finché non arrivammo nel seminterrato. Sapeva benissimo cosa... che cosa fare... e mi piaceva tutto. Io mi sentivo così libera, e quello che volevo era divertirmi con lui. E poi lo vidi... volevo solo uscire, ma non sapevo come fare. Non potevo, era... era impossibile. Uno di loro si abbassò i pantaloni. In quel momento Pierre disse... una cosa che mi fece venire la pelle d'oca: "C'ero prima io, mettetevi in fila". Poi sentii delle ragazze passare vicino alla porta. Io pensai che forse... mi violentarono, Alex. Mi violentarono. Mi violentarono tutti. Una volta finito mi lasciarono a terra. Guardavano i video che avevano fatto con i cellulari. Provai a prendere il mio cellulare per chiedere aiuto, ma... Pierre mi vide. Ero talmente spaventata che non riuscivo a difendermi. Ricordo di aver pensato... "E' impossibile che sia vero." La testa iniziò a non sopportarlo, e mi lasciai andare. Dormii per non so quando tempo. Quando mi risvegliai pensai che era finita. Ma invece... uno di loro decise che non era ancora soddisfatto. Nessuno... nessuno provò a impedirgli di violentarmi di nuovo. E io non ne potevo più. Non ne potevo più. Afferrai una bottiglia d'acqua e colpi... colpii quel figlio di puttana. Tutti cominciarono a ridere, poi videro che non si muoveva. Non volevo una cosa del genere. Però se lo meritava. Io... mi sentirò in colpa per sempre. Cominciarono a innervosirsi molto, non sapevano che fare. Il ragazzo che era salito tornò con un coltello e delle corde. Pierre era molto nervoso. Provai a difendermi ma Pierre mi colpì e mi disse di non muovermi, o sarebbe stato peggio. E' questa l'immagine della tua visione Alex. Dopodiché uscirono tutti. Io rimasi sola in quel seminterrato, davanti a quel cadavere. Erano saliti a mangiare, quando tornarono Miray cominciò a telefonarmi. Volevano uccidere me, e sotterrare il loro amico. Tirarono a sorte per farlo. La priorità del cervello è sopravvivere. E quando manca l'aria entra in sopravvivenza per l'ossigeno. Per questo si sviene. Il mio cervello fece spegnere il mio corpo, mi diedero per morta. Ma si sbagliarono. Quei figli di puttana si sbagliarono. Io pensavo che una volta arrestati il peggio sarebbe passato. Ma invece mi obbligarono a rivivere tutto. E non sai quante volte. E raccontare in ogni minimo dettaglio come mi avevano violentato, fino al giorno del processo. Il giorno che testimoniarono, mi violentarono di nuovo, in un'aula piena di gente. Dovevano processare quattro stupratori che avevano tentato di uccidermi e che volevano seppellire il loro amico morto. Ma la loro difesa si spostò su altro, e smisero di parlare di violenza. Parlarono più del fatto che avevo usato la bottiglia con intenti omicidi, che della violenza di gruppo. La difesa di quei quattro bastardi riuscì a cambiare l'opinone che quelle persone avevano di me. Mi fecero sentire in colpa, per essermi difesa. Per non essere la vittima perfetta, quella che ognuna dovrebbe essere. Per meritare giustizia. Vennero dichiarati colpevoli, ma mi avevano distrutto la vita.
"L'ultima notte a Tremor" è una serie che immerge lo spettatore in una tensione psicologica e sensoriale unica, mescolando dramma umano e atmosfere da thriller soprannaturale. Al centro della storia c’è Álex (Javier Rey), un compositore in crisi creativa e personale, che si rifugia nel villaggio remoto di Tremor per tentare di riscoprire la sua vena artistica, ormai soffocata da un divorzio che lo ha allontanato dai figli. È una scelta che rappresenta più una fuga che una ricerca, ma Tremor, con le sue sfumature quasi oniriche, sembra essere il luogo perfetto per lui.
La sua nuova dimora, una casa isolata che un tempo era abitata da un ornitologo, è un posto singolare e simbolico: ogni angolo suggerisce un legame profondo con la natura, come se la stessa casa custodisse i segreti della vita che Álex cerca disperatamente. La coppia vicina, Leo e María, si rivela presto come un sostegno ambiguo, quasi a metà strada tra la realtà e la metafora: sono personaggi che, con i loro silenzi e le loro piccole stranezze, sembrano interpretare quel bisogno di serenità che Álex sta inseguendo, ma che gli sfugge costantemente.
In questa apparente tranquillità, Álex incontra Judy, una donna enigmatica con un passato carico di sofferenza. Tra loro si instaura subito una connessione speciale, una sorta di complicità che accende speranza e calore nella vita di Álex. Proprio nel momento in cui sembra ritrovare un po’ di stabilità, una svolta surreale travolge la sua vita: durante una tempesta, viene colpito da un fulmine, evento che segna l'inizio di un viaggio verso un abisso di allucinazioni e sogni lucidi.
Queste visioni lo trascinano in un vortice in cui il confine tra realtà e immaginazione si dissolve, facendogli rivivere traumi e ricordi sepolti. Le allucinazioni non sono semplici fenomeni isolati; in queste, Álex si confronta con il ricordo della madre, una figura quasi mistica che sosteneva di avere un potere intuitivo. Questo confronto lo costringe a esplorare i suoi rapporti familiari, lasciandosi attraversare da una furia e da una vulnerabilità che diventano via via più difficili da contenere. Il fulmine, più che un evento accidentale, sembra un richiamo a un destino ineluttabile, un tema che la serie approfondisce nella contrapposizione tra destino e libero arbitrio.
Il conflitto tra controllo e abbandono al destino è il filo conduttore della storia, che trasforma la serie in una riflessione sulle seconde occasioni e sulle scelte che segnano le nostre vite. In un crescendo di tensione, ogni decisione presa da Álex sembra portarci più vicini al nocciolo della sua crisi interiore, in una battaglia tra l’uomo e le sue paure più profonde.
Il monologo di Judy è un racconto di una violenza disumana che va oltre la brutalità dell’evento in sé, travolgendo chi lo ascolta con la sua intensità emotiva e psicologica. È un momento in cui la serie offre uno spaccato della sofferenza e del trauma.
Judy comincia parlando della visione che Alex ha avuto, una premonizione di lei in quello stato di annientamento fisico e psicologico. Il suo racconto è la risposta a questo “vedere” che va oltre la superficie: Alex ha visto una parte di lei che lei stessa tenta di occultare, ed è proprio questo che dà il coraggio a Judy di svelare finalmente l’orrore. La descrizione è dettagliata, quasi come se il parlare fosse un modo per esorcizzare l’evento, rivivendolo affinché possa trasformarsi da una storia di silenzio in una denuncia, in una rivelazione.
Il racconto inizia con una giovane Judy piena di speranze e desideri, pronta a “conquistare il mondo” e a vivere intensamente. La città di Tolosa e l’amicizia con Miray rappresentano per lei un nuovo inizio, un’oasi di libertà. Questa tranquillità, però, viene distrutta da una notte che sfocia nella violenza. Qui emerge il contrasto tra la delicatezza dei ricordi felici e l’improvvisa discesa nell’incubo: il cambiamento è netto e destabilizzante, un salto che fa precipitare Judy da una dimensione di innocenza a un abisso di abuso.
Le frasi chiave del monologo portano l’ascoltatore dentro la spirale della violenza. Il "mettetevi in fila" pronunciato da Pierre è agghiacciante. La volontà di Judy di difendersi, di trovare una via d’uscita, viene brutalmente repressa. Quando lei finalmente reagisce, colpendo uno degli aggressori con una bottiglia, la situazione degenera ulteriormente, e le ripercussioni della sua azione ricadranno su di lei in modo paradossale e ingiusto.
Il monologo esplora la doppia violenza subita da Judy: non solo quella fisica, ma anche quella psicologica, inflitta dal sistema giudiziario. La sua narrazione della fase processuale svela la cruda realtà della giustizia per le vittime di violenza sessuale, che spesso devono affrontare il pregiudizio e lo stigma. In aula, Judy si trova nuovamente vittima, non più degli aggressori, ma di un sistema che la colpevolizza per aver reagito, per aver lottato. La società la trasforma da vittima a colpevole, incapace di accettare il fatto che il suo istinto di sopravvivenza possa essere giustificato. Judy descrive come, durante il processo, il focus si sposti sulla sua "imperfezione" come vittima, insinuando che meritare giustizia richieda una passività, una docilità che lei non ha mostrato.
Non c’è redenzione o consolazione nella giustizia, ma una lotta che prosegue anche fuori dal seminterrato. Judy è rimasta prigioniera del passato, non tanto per il dolore in sé, ma per la necessità di rivivere quell’orrore in ogni istante in cui cerca giustizia, di fronte a un sistema che la costringe a rivivere quella notte per “convalidare” la sua sofferenza.
Interpretare un monologo come quello di Judy richiede un profondo impegno emotivo e una sensibilità particolare per restituire l’intensità e la complessità del trauma senza eccedere in artifici.
1. Connettersi con il Dolore Interno del Personaggio
Preparazione emotiva: Prima di recitare, prendi il tempo per entrare nella mentalità di Judy. Immagina il percorso che ha portato il personaggio fino a questo punto della sua vita. Rievoca sensazioni che possano aiutarti a capire cosa significhi essere così vulnerabile eppure “costretta” a raccontare.
Sofferenza contenuta: La tua interpretazione dovrebbe trasmettere la profondità della sofferenza di Judy senza cadere nell’eccesso. Judy parla quasi in modo distaccato, come se raccontare sia diventata una modalità di sopravvivenza, un modo per razionalizzare un trauma troppo grande.
2. Il Ruolo della Vulnerabilità e della Forza
Transizioni emotive: L’alternanza tra fragilità e resistenza è cruciale. Judy non vuole mostrarsi come una “vittima perfetta”; è stata spezzata, ma è anche sopravvissuta. L’attrice dovrebbe bilanciare questi aspetti, mostrando come Judy si senta colpevole per non aver risposto come la società si aspetta da una vittima, mentre rivendica il diritto di sentirsi libera.
Tonalità e ritmo: Lascia che il monologo prenda un ritmo naturale, con pause ben ponderate nei momenti più duri, come quando racconta la violenza subita. Usa una voce leggermente spezzata in alcuni punti, senza forzare il pathos, lasciando che la vulnerabilità emerga in modo sottile.
3. Giocare con lo Sguardo e il Corpo
Sguardo sospeso: Judy racconta cose che le costano molto, ma lo fa per far comprendere ad Alex qualcosa di profondamente intimo. Cerca di evitare uno sguardo fisso su Alex; guardare nel vuoto o abbassare lo sguardo in certi momenti può suggerire il peso del ricordo e della vergogna. In altri momenti, lascia emergere una luce di determinazione nello sguardo, specialmente quando parla della sua reazione durante la violenza.
Gestualità contenuta: Il corpo di Judy è segnato dalla memoria fisica di quello che ha passato, quindi mantieni una postura tesa ma controllata. Le mani, per esempio, potrebbero essere raccolte o trattenute una nell’altra, come se contenessero il desiderio di rompere l’aplomb che Judy impone a se stessa.
4. Gestire la Narrazione del Trauma
Crescita dell’intensità: La rivelazione non deve arrivare come un’esplosione, ma come una sequenza di piccoli scatti. Ogni parola apre un nuovo strato di vulnerabilità, che Judy sembra scoprire nuovamente ogni volta. Man mano che si addentra nel racconto, fai emergere il contrasto tra il tentativo di Judy di mantenere la calma e l’orrore che riaffiora.
Evitare la rabbia eccessiva: Non cadere nella tentazione di trasformare tutto in rabbia, perché Judy si trova in una fase in cui cerca di razionalizzare quello che ha vissuto, anche se talvolta fatica a trattenere l’indignazione. Fai trasparire una lieve rabbia quasi soffocata, specialmente quando parla del processo, ma mantienila come un fuoco sotterraneo, non esplosivo.
5. La Catarsi Finale e il Silenzio
Silenzio conclusivo: Alla fine del monologo, il silenzio è altrettanto significativo delle parole. Judy ha raccontato una storia che le pesa, e quel silenzio dovrebbe trasmettere tutto il carico che si porta ancora addosso. Lascia che lo sguardo o la postura riflettano il bisogno di chiudersi, di rientrare in se stessa per proteggersi dopo aver “dato” troppo. Questo silenzio è la sua chiusura emotiva e va valorizzato.
Interpretare Judy significa dar voce anche al percorso di sopravvivenza e resistenza che il personaggio rappresenta. Attraverso un controllo misurato delle emozioni e una gestualità contenuta, l’attrice può restituire l'intensità del trauma e il conflitto interiore che Judy vive ogni giorno. La sfida finale sta nel silenzio che segue il racconto: è lì che Judy, nonostante tutto, ritrova se stessa, trasformando il monologo in una dichiarazione di forza che risuona oltre le parole.
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