Monologo-lettera di June – Goodbye June | Analisi interpretativa per attrici

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi della lettera di June in "Goodbye June"

Il monologo di June in Goodbye June è un esempio di scrittura emotiva basata sulla sottrazione. In forma di lettera alla nipote non ancora nata, June non parla della morte, ma della continuità dell’amore, dei ricordi e della famiglia. È un testo che chiede all’attore controllo, verità e una profonda capacità di restare nel presente, evitando ogni enfasi drammatica. 

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Goodbye June
Personaggio: June
Attrice: Helen Mirren

Minutaggio: 1:45:30-1:49:39

Durata: 4 minuti

Difficoltà 7/10 controllo emotivo, continuità interna, rischio di retorica

Emozioni chiave Tenerezza, accettazione, orgoglio silenzioso, ironia dolce, nostalgia anticipata, amore incondizionato 

Contesto ideale per un attore nell’interpretarlo Scene su perdita, memoria, genitorialità, lavori su fine ciclo

Dove vederlo: Netflix

Contesto di "Goodbye June"

Il film si apre in una mattina d’inverno. Una coppia di anziani si prepara per andare a dormire. L’uomo si allontana un attimo, mentre la donna crolla improvvisamente sul pavimento della cucina. Il bollitore continua a fischiare, unico suono in una casa ormai sospesa. Il figlio, svegliato dal rumore, accorre e capisce subito che qualcosa non va. La donna viene portata d’urgenza in ospedale. Parallelamente, il racconto introduce gli altri membri della famiglia, ognuno immerso nella propria quotidianità: Jules, madre di tre figli, impegnata a gestire la routine tra scuola, spettacoli natalizi e un figlio più piccolo con un ritardo cognitivo; Molly, ossessivamente attenta all’alimentazione biologica del figlio Tibalt; e Connor, il figlio maschio, che cerca di tenere insieme i pezzi di una famiglia già fragile. Un’altra sorella, Helen, è inizialmente irraggiungibile, impegnata in pratiche olistiche lontane dal contesto familiare.

Quando la notizia arriva, capiamo subito che non è la prima volta: June combatte contro il cancro da tre anni. Le reazioni dei figli non sono di panico, ma di stanchezza emotiva. In sala d’attesa emergono vecchie tensioni, soprattutto tra le sorelle, che si salutano con la distanza di due estranee. L’aria è tesa, carica di non detti. La diagnosi è definitiva: June si è ripresa dall’episodio acuto, ma il tumore è ormai fuori controllo. Non esistono più cure efficaci. Le restano poche settimane di vita, che trascorrerà in ospedale. Molly esplode in un attacco nervoso contro un medico per un gesto insignificante, segno di un dolore che non trova sfogo. Rimasti soli, i figli iniziano a rinfacciarsi colpe e assenze, rivelando ferite familiari mai rimarginate.

Quando finalmente si riuniscono attorno al letto di June, la donna è vigile, lucida a tratti, e sorprendentemente ironica. Racconta la sensazione di mancanza d’aria provata quella mattina e propone, con una leggerezza spiazzante, di “fare l’oca” per Natale. Nessuno ha il coraggio di dirle la verità sulla diagnosi. Entrano in scena le cure palliative e due giovani inservienti, Julia e Patrick, che rivelano come June avesse già pianificato tutto con loro. Molly però tenta di controllare ogni decisione, convinta di sapere cosa sia giusto per la madre. Il conflitto tra le figlie diventa sempre più evidente, soprattutto con Jules, accusata persino di indossare l’anello della madre, affidatole proprio da June.

Helen arriva infine, incinta. La sua gravidanza apre un nuovo livello emotivo: la consapevolezza che il figlio nascerà senza nonna. In un momento di fragilità, Helen confessa di essersi separata dal compagno e di aver concepito il bambino tramite una procedura legale con un donatore, scelta che la fa sentire giudicata e inadeguata. Intanto Connor, sopraffatto dall’ansia, si rifugia nella chiesa dell’ospedale, dove incontra Angeli Ikande, l’infermiere che segue June. Angeli racconta di aver perso sua madre da bambino e di aver dedicato la vita a dare dignità alle persone nel momento della morte. Il suo sguardo esterno diventa una guida silenziosa per la famiglia.

La situazione domestica precipita quando la casa dei genitori viene allagata a causa di una distrazione del padre, Bernard, sempre più disorientato e incline a bere. Anche lui sta vivendo il lutto prima della perdita, senza sapere come gestirlo. Nei giorni successivi, tra visite, piccoli regali e tentativi maldestri di normalità, June affronta il dolore fisico con lucidità. In uno dei momenti più delicati, chiede a Jules di dirle la verità: morirà? Jules non mente. June si commuove, poi chiede semplicemente di stare insieme. Le chiede anche se la odierà dopo la sua morte. È una domanda che pesa più di qualunque diagnosi.

Testo del monologo + note

Ciao, cara piccola creatura. Spero che un giorno tu legga questa lettera, e che sia come avermi conosciuta. io non avrei desiderato altro che vederti. Sei bellissimo. So che lo sei. Scommetto che somigli a tua madre. E’ una persona molto speciale, sai? Non le è mai importato di cosa pensassero gli altri, ed è una cosa che ho sempre ammirato di lei. Ma ti prego, dille che la nonna le ha detto che non deve più vestirsi di giallo. Ti ascolterà. Vorrei poterci essere quando nascerai. Ma avrai una magnifica famiglia ad accoglierti. Le tue zie, Molly e Julia e tuo zio Connor non ti lasceranno mai solo, e ti ameranno, sempre e comunque, come me. Tantissimo. Non vedo l’ora che tu possa conoscere questo magnifico mondo. Ci sono tante cose belle ad aspettarsi. Crea tanti ricordi, ti aiuteranno a vivere per sempre. Proprio come me. Oh, certo, ricordati di essere sciocco. Non prendere le cose troppo sul serio, è importante saper ridere, tuo nonno ti insegnerà come fare. Per favore, di a mamma che mi manca. E che sono orgogliosa di lei. E… e per favore, non smettere mai e poi mai di dirle che le vuoi bene. La riempirà di gioia. Ho avuto una vita magnifica. Far parte di questa famiglia è stata la mia più grande vittoria. E la mia più bella avventura. Se avrai bisogno di me sarò qui. Si, ecco a curiosare tra i miei vecchi ricordi, saltando da uno all’altro. Io sarò qui per sempre, mio angelo. Col cuore e con l’anima, finché ci incontreremo un giorno. Ti voglio bene. Vi amo tutti. Arrivederci, June

“Ciao, cara piccola creatura.”: attacco morbido, quasi sorridente; immagina di “vederla” davvero davanti a te; micro-pausa dopo “ciao” per far entrare l’intimità.

“Spero che un giorno tu legga questa lettera, e che sia come avermi conosciuta.”: tono semplice, non solenne; tieni la voce quotidiana; pausa dopo “lettera” come se stessi scegliendo con cura la promessa.

“io non avrei desiderato altro che vederti.”: abbassa leggermente lo sguardo; lascia un respiro prima di “vederti”; evita il nodo melodrammatico, è un desiderio pulito.

“Sei bellissimo.”: frase corta, diretta; un sorriso minimo, quasi istintivo; non caricare, dev’essere una carezza.

“So che lo sei.”: conferma tenera; piccola risata interna trattenuta (come una nonna che “sa”); micro-pausa su “so”.

“Scommetto che somigli a tua madre.”: tono giocoso; alza appena lo sguardo come se vedessi la figlia; sottolinea “scommetto” con leggerezza, non con enfasi.

“E’ una persona molto speciale, sai?””: qui c’è orgoglio; fai diventare “sai?” una complicità, non una lezione; pausa breve prima di “sai?” come se aspettassi un cenno.

“Non le è mai importato di cosa pensassero gli altri, ed è una cosa che ho sempre ammirato di lei.”: tono ammirato ma contenuto; su “ammirato” lascia un respiro pieno; sguardo dolce, non nostalgico in modo pesante.

“Ma ti prego, dille che la nonna le ha detto che non deve più vestirsi di giallo.”: cambio colore: ironia affettuosa; “ti prego” non deve diventare supplica drammatica, è una battuta familiare; sorriso accennato su “giallo”.

“Ti ascolterà.”: certezza buffa e tenera; chiudi la frase con un piccolo cenno della testa; pausa dopo, per far arrivare la complicità.

“Vorrei poterci essere quando nascerai.”: qui entra il vuoto; togli aria alla voce senza piangere; sguardo si abbassa, ma non crolla; pausa dopo “essere”.

“Ma avrai una magnifica famiglia ad accoglierti.”: ripartenza consapevole; “ma” è un

ponte, non una negazione; la voce torna calda, come una coperta.

“Le tue zie, Molly e Julia e tuo zio Connor non ti lasceranno mai solo, e ti ameranno,

sempre e comunque, come me.”: elenco come una benedizione; scandisci i nomi con cura (sono il vero regalo); piccole pause tra “Molly” e “Julia” e “Connor”; su “sempre e comunque” non accelerare, è un giuramento.

“Tantissimo.”: parola-bacio; più piano; non allungarla troppo, deve restare vera; lascia vibrare il silenzio subito dopo.

“Non vedo l’ora che tu possa conoscere questo magnifico mondo.”: sguardo in avanti, come se aprissi una finestra; tono luminoso ma non euforico; “magnifico” non va sottolineato, va creduto.

“Ci sono tante cose belle ad aspettarsi.”: ritmo calmo; sorriso interno; fai sentire l’idea del futuro senza nostalgia aggressiva.

“Crea tanti ricordi, ti aiuteranno a vivere per sempre.”: qui diventa quasi un consiglio di vita; tono caldo, fermo; pausa dopo “ricordi”; su “per sempre” non renderlo mistico, è pratico: i ricordi ti tengono vivo.

“Proprio come me.”: piccola puntura emotiva; accenna un sorriso triste, subito ricomposto; micro-pausa prima di dirlo, come se ti sorprendessi anche tu.

“Oh, certo, ricordati di essere sciocco.”: alleggerimento netto; un filo di ironia; “oh, certo” come se stessi correggendo te stessa per non diventare troppo seria.

“Non prendere le cose troppo sul serio, è importante saper ridere, tuo nonno ti insegnerà come fare.”: tono educativo ma affettuoso; sorriso quando nomini il nonno; su “ti insegnerà” metti fiducia, non malinconia.

“Per favore, di a mamma che mi manca.”: qui torna il bisogno; “per favore” è un filo di voce, non una scena; sguardo si ammorbidisce, come se parlassi alla figlia attraverso il bambino.

“E che sono orgogliosa di lei.”: frase piena, senza tremolio; guarda dritto (anche se

sei sola); è una consegna, non una confessione.

“E… e per favore, non smettere mai e poi mai di dirle che le vuoi bene.”: l’esitazione

“e… e” è reale: il pensiero inciampa; non riempirla con lacrime, riempila con respiro; su “mai e poi mai” rallenta e fai sentire l’urgenza amorosa.

“La riempirà di gioia.”: dolce, quasi pratico; piccolo sorriso; come se stessi dando un segreto semplice per salvare qualcuno.

“Ho avuto una vita magnifica.”: accettazione finale, senza retorica; tono basso e stabile; evita la grandeur, è gratitudine quieta.

“Far parte di questa famiglia è stata la mia più grande vittoria.”: sottolinea “questa famiglia” (non “vittoria”); lo sguardo abbraccia idealmente tutti; pausa dopo “famiglia”.

“E la mia più bella avventura.”: chiusura con luce; sorriso piccolo ma vero; lascia un silenzio subito dopo, come se sentissi il peso buono della parola “avventura”.

“Se avrai bisogno di me sarò qui.”: promessa intima; non fare “voce da fantasma”; tono presente, concreto; gesto minimo (come indicare il petto o il cuore, appena

accennato).

“Si, ecco a curiosare tra i miei vecchi ricordi, saltando da uno all’altro.”: immagine viva; fai vedere i ricordi come stanze; ritmo leggermente più mobile su “saltando”; un’ombra di sorriso, perché è un modo dolce di immaginarsi.

“Io sarò qui per sempre, mio angelo.””: qui è facile cadere nel melodramma: tieni il volume basso; “mio angelo” deve essere un sussurro caldo, non una dichiarazione.

“Col cuore e con l’anima, finché ci incontreremo un giorno.”: allunga il respiro su “cuore”; micro-pausa dopo “anima”; su “un giorno” lascia la speranza senza sottolinearla.

“Ti voglio bene.”: frase nuda; non interpretare, consegna; un secondo di silenzio dopo.

“Vi amo tutti.”: allarga l’abbraccio; lo sguardo esce dal destinatario singolo e diventa famiglia; tono pieno ma sempre contenuto.

“Arrivederci, June”: “arrivederci” non è “addio”: deve suonare come una scelta; firma con un filo di voce, come chi chiude una busta; ultima pausa lunga, lascia che il silenzio faccia il resto.

Analisi del monologo di June in "Goodbye June"

Il monologo–lettera di June è uno dei momenti più potenti di Goodbye June proprio perché rifiuta ogni forma di drammatizzazione esplicita. Non è un addio urlato, non è una dichiarazione di dolore, non è una scena “da premio”. È un testo che vive di accettazione, di presenza e di amore già risolto. Questo lo rende estremamente difficile da interpretare, ma anche profondamente umano. June non scrive per sé, né per liberarsi di un peso: scrive per mettere ordine. Ogni frase ha una funzione concreta, quasi pratica. Sta costruendo un futuro senza di lei, assicurandosi che il bambino che nascerà non venga mai schiacciato dall’assenza. Per questo il tono non è malinconico, ma sorprendentemente luminoso. Anche quando esprime il desiderio di “esserci”, non resta lì: subito dopo offre una soluzione emotiva, una rete familiare, una continuità affettiva.

Dal punto di vista interpretativo, il cuore del monologo sta nel non chiedere nulla. June non implora, non lascia sensi di colpa. Persino quando parla della figlia, dell’orgoglio che prova o del fatto che le manca, lo fa senza caricare il momento di peso emotivo. È un amore che si dichiara senza pretendere risposta. Questo impone all’attore un lavoro di grande controllo: ogni tentazione di “spingere” l’emozione rischia di rompere l’equilibrio del personaggio.

Un altro elemento fondamentale è l’uso dell’ironia e della leggerezza. Le battute sul vestire di giallo, sull’essere sciocchi, sul ridere, non sono alleggerimenti casuali: sono scelte narrative precise. June non vuole essere ricordata come una madre morente, ma come una presenza viva, capace di sorridere fino all’ultimo. L’attore deve quindi permettere a questi momenti di respirare davvero, senza usarli come anticamera del pianto.Il monologo funziona perché non parla della morte, ma della memoria. Quando June dice che i ricordi aiutano a vivere per sempre, sta dichiarando il suo modo di restare. Non come fantasma, non come trauma, ma come parte integrante della storia familiare. È qui che il testo si chiude emotivamente: nella consapevolezza che l’amore non finisce con la presenza fisica.

Finale "Goodbye June"

June osserva la tabella degli orari di visita ideata da Molly e capisce che le figlie non stanno mai insieme. Con l’aiuto di Angeli, orchestra un ultimo tentativo di riconciliazione. Riunisce Molly e Jules e affida loro un compito: scrivere una lettera per il nipotino che deve nascere. In realtà, la lettera parla di loro, del loro legame spezzato. Le due sorelle, costrette a condividere lo spazio, finalmente si aprono, ammettendo rancori e fragilità. È una riconciliazione imperfetta, ma reale. Anche Connor affronta il padre, accusandolo di non essere presente e di rifugiarsi nell’alcol. Bernard reagisce fuggendo in un pub, dove però sorprende tutti salendo su un piccolo palco e dedicando una canzone a June e ai suoi figli. È il suo modo goffo, ma sincero, di dire “io ci sono”.

Con le forze ormai al limite, June viene sorpresa dal marito con un Natale anticipato. In una sala dell’ospedale, la famiglia ricrea la notte della nascita di Gesù. È un gesto ingenuo, forse ridicolo, ma profondamente umano. Bernard mantiene la promessa: le canta una canzone mentre June, esausta, si spegne circondata dall’amore dei suoi cari. Il film si chiude un anno dopo. È di nuovo Natale. La famiglia è riunita. June non c’è più, ma qualcosa è cambiato. I rapporti, seppur segnati, sono più veri. Il suo ultimo miracolo non è stato guarire, ma lasciare dietro di sé una famiglia finalmente capace di stare insieme.

June diventa consapevolmente il perno emotivo che costringe i figli a guardarsi, a parlarsi, a smettere di fuggire. La sua eredità non è morale né materiale, ma relazionale: insegna che l’amore non è ordine, controllo o perfezione, ma presenza.

Il salto temporale finale conferma questa idea. La famiglia sopravvive alla perdita non perché sia guarita, ma perché ha imparato a condividere il dolore. June “torna come neve a Natale”, come aveva detto: non come fantasma, ma come memoria che unisce.

Credits e dove vederlo

Regia: Kate Winslet

Sceneggiatura: Joe Anders

Cast: Kate Winslet: Julia Helen Mirren: June Timothy Spall: Bernard "Bernie" Andrea Riseborough: Molly Johnny Flynn: Connor Toni Collette: Helen
Dove vederlo: Netflix

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