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~ LA REDAZIONE DI RC
Nel film Il nido dello storno, Jack è il personaggio che più di tutti incarna la condizione di stallo emotivo che può seguire un lutto profondo. A differenza di Lilly, che combatte e si muove, lui si chiude, implode, si rifugia in una clinica psichiatrica. Questo monologo arriva in un momento di apparente quiete, ma è in realtà un terremoto sotto la superficie. Non è un discorso pensato per convincere o per ricevere conforto: è una confessione che ha il tono dimesso e disilluso di chi ha smesso da tempo di cercare soluzioni.
MINUTAGGIO: 1:19:46-1:22:21
RUOLO: Jack
ATTORE: Chris O'Dowd
DOVE: Netflix
INGLESE
I’m depressed. That’s why I’m here. Um, my little girl passed away. And then I tried to pass myself away. That’s not funny. But that is what I tried to do. And I thought it was because of Katie. Uh, that was my… That is my daughter’s name. Katie. But if I’m being honest with myself, I have been in and out of this state since I was in my 20s. And I don’t know how to get out of it. I, um… I’ve been to therapists. I’ve taken the medication. And sometimes, it works. It does feel a bit better. And then after a while, I quit. Because I don’t need that shit. Because… I can deal with my own life. Quit on myself so fast. And then I quit on the people who love me. I mean, my wife. “My wife.” My wife wouldn’t know how to quit. Wouldn’t know where to start. She just keeps at it. Just keeps hoping and believing and moving around in the world. And I hate her for it. [inspirational music playing] And I love her so much for it at the same time. So much that… I wanna not quit with her. Not for her. I wanna not quit with her. Yeah, so that’s my day. Um… a happy day.
ITALIANO
Sono depresso, per questo sono qui. La mia piccola se n’è andata. E poi ho tentato di farmi andare via da solo. Non fa ridere, ma è quello che ho provato a fare. E pensavo che fosse per via di Katie. Era il nome… è il nome di mia figlia, Katie.
Ma, ad essere sincero con me stesso, sono entrato e uscito da questa condizione sin dai miei 20 anni. E non so come uscirne. Sono... sono stato da psicologi, ho preso diversi farmaci. A volte funzionano, mi sento un pochino meglio. E poi, dopo un po’, smetto. Perché non mi serve quello schifo. Perché posso sistemarla io la mia vita. Io mi arrendo subito. In un secondo. E mi arrendo anche con le persone che mi amano. Mia moglie.... Mia moglie... Mia moglie non sa arrendersi. Non saprebbe come farlo. Lei va avanti, continua sempre a sperare e a credere e a muoversi come lei sa nel mondo, e io la odio per questo. E la amo da morire per questo, allo stesso tempo. Mi porta a non voler mollare, con lei. Non per lei. Non voglio mollare con lei. Sì, questa è la mia giornata. Una bella giornata.
“Il nido dello storno” è un film del 2021 diretto da Carlyle Eubank e interpretato da Melissa McCarthy, Chris O'Dowd e Kevin Kline. Il titolo originale è The Starling, e il film si muove su un registro drammatico con inserti di black comedy. A prima vista può sembrare una storia sull'elaborazione del lutto, ma quello che colpisce è il modo in cui mette in scena la frattura silenziosa che può insinuarsi in una coppia dopo una perdita devastante. E lo fa in modo molto terreno, a volte anche spiazzante, senza cercare scorciatoie sentimentali. La protagonista, Lilly Maynard (Melissa McCarthy), lavora in un supermercato e cerca di mantenere una parvenza di normalità mentre il marito, Jack (Chris O'Dowd), si trova in una clinica psichiatrica dopo il suicidio della loro figlia neonata. Il trauma li ha separati, non solo fisicamente: la sofferenza li ha chiusi in due gusci opposti. Lei affronta la quotidianità in solitudine, cercando di tenere insieme i pezzi, mentre lui ha scelto di ritirarsi nel silenzio. Il titolo del film prende senso quando Lilly, cercando di sistemare il giardino di casa ormai in abbandono, entra in conflitto con uno storno aggressivo che ha nidificato nel suo terreno. Questo uccello diventa una metafora fin troppo esplicita, ma funzionale: lo storno la attacca, la disturba, le impedisce di lavorare… proprio come quel dolore che lei continua a tenere sotto pelle, convinta di dover andare avanti ignorandolo. Il nido dello storno è, in fondo, la materializzazione della parte di lei che non riesce a espellere, che continua a graffiarle dentro.
A dare un po’ di respiro alla vicenda entra in scena Larry (Kevin Kline), ex psichiatra diventato veterinario, che accetta controvoglia di aiutare Lilly. Il loro rapporto è uno dei punti più interessanti del film: due persone alla deriva che si riconoscono nei propri limiti, e che riescono, lentamente, ad accettare che l'elaborazione del dolore passa per una fase di rottura, di inadeguatezza, perfino di rabbia.
“Sono depresso, per questo sono qui.” L’incipit è asciutto. Niente giri di parole. Jack non cerca eufemismi, parte da un’affermazione diretta che contiene già la sua condizione e la sua diagnosi. È una frase che rifiuta il dramma, ma proprio per questo pesa di più. “La mia piccola se n’è andata. E poi ho tentato di farmi andare via da solo.” Qui entra il lutto. Ma Jack non dice “è morta”, né descrive il dolore. Usa un tono quasi passivo, come se gli eventi gli fossero accaduti senza che lui potesse reagire. E subito dopo si autoaccusa: ha tentato di togliersi la vita. La frase non ha carica emotiva, non ha pathos. È detta così com’è, e questo la rende ancora più spiazzante. Il dolore di Jack non è esplosivo, è sotterraneo, logorante.
“Pensavo che fosse per via di Katie... Ma, ad essere sincero con me stesso, sono entrato e uscito da questa condizione da quando avevo 20 anni.” Questo è il punto di svolta. Jack smette di attribuire la depressione esclusivamente al trauma della perdita. Qui emerge qualcosa di più profondo: una fragilità che ha radici lontane, e che lui ha sempre cercato di ignorare o curare con soluzioni temporanee (psicologi, farmaci, fasi di miglioramento).
È una malattia che ha imparato a convivere con lui, più che a combatterlo. “Io mi arrendo subito. In un secondo. E mi arrendo anche con le persone che mi amano.” Qui la confessione diventa giudizio. Jack parla di sé come di un uomo che rinuncia, che fugge, che non riesce a stare nel dolore degli altri. E lo fa senza cercare attenuanti. Il confronto implicito con Lilly è inevitabile. “Mia moglie non sa arrendersi... e io la odio per questo. E la amo da morire per questo, allo stesso tempo.” Questo passaggio è un colpo al cuore. L’ossimoro emotivo è potente: Jack si sente schiacciato dalla forza di Lilly, ma ne è anche attratto. La sua incapacità di affrontare la vita è accentuata dalla vicinanza con una persona che invece affronta tutto. Qui il sentimento è puro, non idealizzato: non c’è venerazione, c’è un misto di frustrazione e amore autentico.
“Mi porta a non voler mollare, con lei. Non per lei. Non voglio mollare con lei.” È la frase più importante del monologo. “Con lei” e non “per lei” significa che Jack non vuole essere salvato, non vuole delegare il senso della propria rinascita a qualcun altro. Vuole esserci insieme. È il primo segnale concreto di volontà, di partecipazione attiva alla vita. “Sì, questa è la mia giornata. Una bella giornata.” La chiusa è quasi paradossale. Ma non è ironica. È sincera. In questa giornata, Jack ha parlato. Ha detto la verità. Ha fatto i conti con la sua condizione senza cercare di nasconderla. E questo basta, per un momento, a chiamarla “bella”.
Il monologo di Jack è costruito come un lento disvelamento. Parte da una constatazione clinica e arriva, quasi in sordina, a una dichiarazione d'amore consapevole. Non c’è retorica, non ci sono picchi emotivi studiati. Tutto scorre in tono sommesso, ma ogni frase è un mattone rimosso da quel muro che Jack si è costruito attorno. E quel respiro, per un personaggio come Jack, vale quanto un’intera redenzione.
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