Monologo maschile - Geoff Bell in \"Mobland\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Richie arriva in un momento carico di tensione narrativa in “Mobland”: il figlio del boss è scomparso, presumibilmente per mano della famiglia Harrigan. E se Harry, risolutore di problemi, sembra temporeggiare, Richie decide che è ora di alzare il livello del gioco. Ma non lo fa con urla o pistole sul tavolo. Lo fa con una storia. Una storia minacciosa, sottile, costruita con la pazienza di un manipolatore esperto. Una storia che ha un solo scopo: mettere in ginocchio Harry senza neanche toccarlo. E lo fa nel modo più personale possibile: tirando in ballo sua figlia, Gina.

Una storia

MINUTAGGIO: 36:40-37:14

RUOLO: Richie Stevenson

ATTORE: Geoff Bell

DOVE: Paramount

INGLESE

Give him the book, Ali. You like a story, don't you, H? I mean, we all like a story. I got one for you. Once upon a time... there was this girl. Nice girl. Pretty girl. Glossy hair. Anyway, she went to this school. Nice school. Private school. Proper school. After school, she gets hungry. So her and her mates, off they trot down to Burger King. Now, what do you suppose she orders? Hmm? One orders the Chilli Cheese Bites, Halloumi fries. And then, the protagonist of this story, she orders a Whopper. Fully loaded. And just by coincidence, the protagonist is called Gina. Gina Da Souza. And the director of this narrative is called Harry. Harry Da Souza. Now, how this story ends is up to the director. Could be a happy ending, or it could be a very unhappy ending. It's down to you. You choose. But I'm telling you, you disappear again or muck me about... ...then it's your child. Unless you bring back my boy here tonight, then tonight, I'm gonna break your f*cking heart in two, Harry. And then I'm gonna descend on the Cotswolds like a plague of f*cking locusts. You all right there, Harry? You back with us?

ITALIANO

Dagli quelle foto. Ti piacciono le storie, vero Harry? A tutti piacciono le storie. Ne ho una per te. C’era una volta una ragazza… una brava ragazza, anche carina. Con i capelli lucidi. Comunque, lei frequentava una scuola, una buona scuola privata, una scuola seria. E il doposcuola era sempre affamata. Un giorno lei e i suoi compagni andarono. Da Burger King. Cosa pensi che abbiano ordinato, mhm? Uno di loro dei bocconcini piccanti, e delle patatine al formaggio. Mentre la protagonista di questa storia… ordinò un Whooper, con tutti gli ingredienti. E per una coincidenza… la protagonista si chiama Gina. Gina da Souza. E il regista della narrazione si chiama Harry. Harry da Souza. Come finisce questa storia lo decide il regista. Potrebbe avere un lieto fine, oppure un finale davvero triste. Dipende da te. Decidi tu. Ma ti avverto. Se sparirai un’altra volta, o ti prenderai gioco di me… Affronterai le conseguenze. Se non porterai qui mio figlio entro stasera io ti giuro che ti spezzerò il cuore in due parti, Henry, poi incomberò sulle Cotswold, come una piaga di maledette locuste. Va tutto bene. Harry? Sei ancora con noi?

Mobland

Londra, oggi. Ma potrebbe essere un qualsiasi giorno in cui l’impero della criminalità organizzata vacilla sotto il peso delle sue stesse regole. MobLand, la nuova serie Paramount+ firmata (e inizialmente diretta) da Guy Ritchie e scritta da Ronan Bennett, parte da una premessa che suona familiare, ma la esegue con una precisione quasi chirurgica: due famiglie che si spartiscono la città, un crimine di troppo che spezza una tregua, e un “fixer” che prova a tenere insieme i cocci. Tutto comincia con Eddie Harrigan (Anson Boon), il classico figlio di papà fuori controllo, che durante una serata al club accoltella un coetaneo. Da qui, l’escalation è inevitabile. In superficie c'è un classico revenge drama, ma MobLand non ha fretta di mettere i corpi sul tavolo. Preferisce raccontare la tensione che precede l’esplosione.

La miccia che brucia lentamente. Harry (Tom Hardy) è il perno morale (o amorale) della storia. È lui che prende in carico la gestione della crisi. È il personaggio che agisce, ma in silenzio. Mai teatrale, mai sopra le righe. Il suo mestiere non è quello di essere protagonista, ma quello di rimuovere gli ostacoli. E lo fa con una presenza rarefatta, con lo sguardo basso, la voce smorzata, i gesti calibrati. Un fixer che non alza mai la voce, ma che tutti ascoltano. In MobLand, il conflitto tra le due famiglie è solo il contenitore. Il contenuto vero è la frattura interna agli Harrigan. Conrad (Pierce Brosnan), patriarca in declino, è più simbolo che guida. Maeve (Helen Mirren), sua moglie, è la vera figura di potere, abilissima nel muovere fili che sembrano invisibili. I figli, invece, sono inadatti, disconnessi, manchevoli. Brendan è un debole, Kevin è troppo mite, ed Eddie è l’innesco del disastro.

Analisi Monologo

“Dagli quelle foto. Ti piacciono le storie, vero Harry?”

Apre come un narratore che si rivolge a un bambino distratto. La falsa dolcezza è parte del gioco: Richie prende subito il controllo della scena non con la forza, ma con il tono. È lui che detta le regole. Le foto di Gina non vengono spiegate — ma bastano per far capire che Harry è vulnerabile.

“C’era una volta una ragazza… una brava ragazza, anche carina. Con i capelli lucidi.”

Lo stile è volutamente fiabesco, ma il contenuto è inquietante. Richie descrive Gina senza nominarla, come un personaggio di un racconto. Così facendo, la disumanizza per un attimo: non è più la figlia di qualcuno, ma una figura dentro la sua narrazione. Il linguaggio è infantile, ma il sottotesto è glaciale.

“E per una coincidenza… la protagonista si chiama Gina. Gina da Souza. E il regista della narrazione si chiama Harry.”

Qui il sipario si alza, e la minaccia prende forma. Richie sta dicendo a Harry: io so dove sta tua figlia, la seguo, posso arrivarci quando voglio. Ma lo fa con una costruzione narrativa che non lascia spazio a scelte morali: è un ricatto travestito da favola. Chiamare Henry "il regista" è un modo per rinfacciargli la responsabilità: tu hai il controllo del copione, ma io posso riscrivere il finale. È una posizione di potere teatrale, perfettamente in linea con l’anima manipolatrice di Richie.

“Potrebbe avere un lieto fine, oppure un finale davvero triste. Dipende da te.”

Questa è la frase centrale del monologo. La classicissima costruzione da gangster vecchia scuola — non sono io che ti minaccio, sei tu che scegli il tuo destino. Ma qui è presentata con una freddezza ancora più perversa: Richie sta parlando di una ragazzina come se fosse un elemento narrativo da usare contro il padre.

“Se sparirai un’altra volta, o ti prenderai gioco di me… Affronterai le conseguenze.”

Dopo il teatro, arriva l’acciaio. Richie toglie la maschera e parla direttamente. È un passaggio obbligato: prima ti tiene appeso con il racconto, poi ti schiaccia con la realtà. L’alternanza tra minaccia implicita e dichiarazione esplicita è tipica dei personaggi che esercitano il potere senza alzare la voce, ma senza margine di trattativa. “Ti spezzerò il cuore in due parti, Henry, poi incomberò sulle Cotswold, come una piaga di maledette locuste.” Questa è la battuta più teatrale, e anche la più potente visivamente. Le “Cotswold” sono un riferimento geografico preciso — probabilmente dove si trova la famiglia di Henry — e le locuste evocano un immaginario biblico, apocalittico. Non è una minaccia di vendetta, è una profezia di devastazione.

“Va tutto bene. Harry? Sei ancora con noi?”

Richie chiude con un altro cambio di tono, tornando al finto tono rassicurante dell’inizio. È lo stile passivo-aggressivo portato al suo massimo: dopo aver fatto tremare l’uomo, gli restituisce una finta normalità. Ma a quel punto Henry ha già capito: non c’è via d’uscita se non trovare il figlio di Richie. Subito.

Conclusione

Il monologo di Richie Stevenson è un esercizio di potere in forma narrativa. Non grida, non punta una pistola, ma sposta l’asse emotivo della scena sulla paura più personale di Harry: la sua famiglia. Usa le parole come una lama e la costruzione del racconto come una trappola. La forza di questo monologo sta nel suo bilanciamento tra gioco e violenza, tra narrazione e realtà. E nella logica crudele con cui Richie riassume tutto: "il finale lo decidi tu". Una bugia perfetta, perché sappiamo che, in fondo, ha già deciso tutto lui.

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