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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Cesare Botero tratto da “Il portaborse” una piccola bomba a orologeria: sembra leggero, conviviale, quasi una battuta da brindisi… ma se lo ascolti con attenzione (e lo riguardi con il contesto giusto), ti rendi conto che qui c'è tutto il cinismo del potere politico italiano fotografato in un momento storico ben preciso. Siamo in una scena di apparente celebrazione. Botero sta brindando con il suo entourage, un momento che nella superficie potrebbe sembrare uno scambio di riconoscimenti e pacche sulle spalle. Ma è una scena che puzza di clientelismo, di cinica redistribuzione del potere, come in una partita a scacchi in cui ogni pedina viene piazzata per mantenere lo status quo. Botero si presenta per quello che è: un manipolatore elegante, uno che parla con tono pacato ma dice cose che svelano una gerarchia interna fatta di fedeltà, premi, e ironia velenosa. E questo monologo è un perfetto esempio di come il potere non urli, ma sussurri, con il sorriso sulle labbra.
MINUTAGGIO: 39:00-40:00
RUOLO: Cesare Botero
ATTORE: Nanni Moretti
DOVE: Amazon Prime Video
ITALIANO
Le sezioni! Ma che m'importa delle sezioni? Che siamo, agli anni '50? Un brindisi a Valerio Polline, numero due nella lista del partito, insieme a me, a Mantova, dove andremo a sfidare Castri, a casa sua. E un altro brindisi a Sebastiano Tramonti, a parziale risarcimento di questi ultimi anni, per lui noiosissimi, passati accanto a me, lontano dalla sua amata provincia e dai suoi libri. A colui che mi ha insegnato ad amare la politica e a lottare per il cambiamento. Sebastiano, volevo farti Direttore Generale dell'Ente Gestione Cinema. Poi mi hanno detto che il cinema è morto, e allora... salutiamo il nuovo Commissario Straordinario delle Aziende Chimiche del Gruppo pubblico.
“Il portaborse” è un film del 1991 diretto da Daniele Luchetti, scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli, e interpretato da Silvio Orlando e Nanni Moretti. È un film che si muove tra satira politica e dramma personale, ambientato nell’Italia pre-Tangentopoli.
E fotografa un momento storico preciso, in cui il sistema politico italiano stava implodendo, ma ancora non ce ne eravamo accorti del tutto. Il protagonista è Luciano Sandulli (Silvio Orlando), un professore di liceo timido, idealista, uno che crede ancora nella forza della parola e della cultura. Viene notato da Cesare Botero (Nanni Moretti), un potente e carismatico sottosegretario all’istruzione. Botero lo chiama a Roma per fargli da "portaborse", ovvero ghostwriter dei suoi discorsi e dei suoi interventi pubblici. All’inizio, Luciano è affascinato: crede davvero di poter cambiare le cose da dentro. Ma man mano si accorge della rete di corruzione, cinismo e manipolazione di cui Botero è parte attiva e consapevole. È una discesa: da un ruolo in apparenza nobile (scrivere discorsi, partecipare alla politica culturale del paese), Luciano si ritrova a essere complice, o meglio ingranaggio, di un sistema che calpesta ogni forma di etica.
"Le sezioni! Ma che m'importa delle sezioni? Che siamo, agli anni '50?" Si parte con un disprezzo netto per la base del partito, per la militanza. Le "sezioni", che sono il cuore del partito politico tradizionale, non contano più nulla per lui. Qui c’è un disincanto lucido, quasi arrogante, verso la politica partecipata, quella fatta di ideali e discussioni. La battuta sugli anni ‘50 serve a liquidare l’idea di un partito legato alla collettività. La politica, per Botero, è una cosa che si fa tra pochi, nei corridoi giusti, non certo tra i manifesti e le sedie di plastica. "Un brindisi a Valerio Polline... insieme a me, a Mantova, dove andremo a sfidare Castri, a casa sua." Qui il potere viene diviso come si spartiscono i territori di una guerra. L’uso del verbo "sfidare" accentua l’idea della politica come competizione territoriale, non come dibattito d’idee. Castri non è un avversario politico, è un nemico da battere nel suo fortino. E Polline è l’uomo scelto per questo compito, non per merito, ma perché fa parte del gioco. La logica è da risiko, non da democrazia. "E un altro brindisi a Sebastiano Tramonti... per lui noiosissimi, passati accanto a me..." Qui Botero si diverte. Fa una battuta velenosa mascherata da riconoscimento: stare accanto a lui è stato noioso, dice. In realtà lo dice per ricordare a tutti che Tramonti ha dovuto sacrificarsi, zittirsi, stare al suo posto. È un modo per umiliarlo con classe. E allo stesso tempo sottolinea che il potere è anche questo: sapere aspettare in silenzio, restare fedeli, fare da ombra.
"Volevo farti Direttore Generale dell'Ente Gestione Cinema. Poi mi hanno detto che il cinema è morto..." La frase più densa di tutto il discorso. C’è l’ironia, il cinismo, e un sottotesto devastante: la cultura non conta più nulla. Il “cinema” è morto, dice Botero, e quindi l’Ente che lo gestisce è diventato uno scarto, un premio di consolazione. Il sapere, l’arte, le idee: tutto viene ridotto a una funzione amministrativa, un titolo da girare a chi è stato fedele. Il fatto che questa frase arrivi come una battuta fa ancora più male, perché svela la totale indifferenza per ciò che dovrebbe dare senso alla politica. "... salutiamo il nuovo Commissario Straordinario delle Aziende Chimiche del Gruppo pubblico." E qui si chiude il cerchio. Dopo aver sbeffeggiato cultura e ideali, Botero assegna a Tramonti un incarico di potere reale, in un settore strategico, completamente scollegato dalla sua esperienza o vocazione. Il messaggio è chiaro: la fedeltà personale vale più della competenza. Il potere si redistribuisce secondo logiche interne, non pubbliche.
Questo monologo è un manifesto dell'ipocrisia istituzionale. Botero parla come un politico consumato, uno che ha capito che le parole servono a mascherare, non a rivelare. Ogni frase è misurata, elegante, eppure sotto c'è una violenza simbolica forte: la negazione della politica come spazio pubblico. In poche righe, Luchetti e gli sceneggiatori ci raccontano come funziona davvero il potere quando non ha più bisogno di giustificarsi, quando può permettersi di essere ironico, autocelebrativo, spietato con il sorriso. È uno dei momenti più potenti del film perché rivela il vero volto del potere: quello che si muove nel sottobosco, tra amici di lunga data, nomine strategiche, e battute che fanno ridere solo chi è già dentro al gioco.
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