Monologo di Max in Stranger Things: la prigione di Henry

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~ LA REDAZIONE DI RC

Analisi del monologo di Max in "Stranger Things 5"

Il monologo di Max in Stranger Things è uno dei momenti più intensi per un attore che vuole esplorare trauma, memoria e sopravvivenza emotiva. In poche battute, Max racconta la sua morte, la prigionia nella mente di Henry e il tentativo disperato di sfuggire a un labirinto di ricordi. La sua voce oscilla tra lucidità e vulnerabilità, mentre la musica di Kate Bush e il legame con Lucas diventano gli unici appigli di luce. 

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Stranger Things 5(2025)
Personaggio: Max
Attrice: Sadie Sink

Minutaggio: 25:04-28:00/38:31-42:40

Durata: 5 minuti circa

Difficoltà: 8,5/10 (gestione del trauma + chiarezza narrativa + oscillazione tra dissociazione e lucidità)

Emozioni chiave: Shock post-traumatico, solitudine estrema, paura intima, non isterica, determinazione, tenerezza, riconoscenza, vulnerabilità pura nella parte finale

Contesto ideale per un'attrice: Scene di trauma / ritorno dall’oscurità, Confessione a un amico o partner, Lavoro su immaginazione e architettura mentale

Dove vederlo: Netflix

Contesto della serie "Stranger Things 5" - primi 2 episodi

La storia si apre con un flashback del 1983, in cui Will viene catturato dal Demogorgone e consegnato a Vecna, che sembra avviare un piano a lungo termine. Nel 1987, Hawkins è ormai una città in quarantena dopo l’invasione del Sottosopra. I ragazzi, Mike, Dustin, Lucas e Will cercano di mantenere viva la memoria di Eddie e continuano la loro battaglia contro Vecna, mentre la città è presidiata dall’esercito. Undi (Eleven) si allena duramente con Hopper e Joyce, mentre varie squadre dei protagonisti tentano di coordinarsi tramite radio per localizzare Vecna, ormai introvabile da tempo. Durante una ricognizione militare nel Sottosopra, Hopper rimane isolato e Will percepisce attraverso una visione, come se fosse dentro la mente del Demogorgone, che una minaccia sta raggiungendo la casa di Mike e Nancy.

In quel preciso momento, infatti, Holly, la sorellina, viene attaccata dal Demogorgone nella sua stanza Holly riesce a fuggire inizialmente, ma viene comunque rapita e trascinata nel Sottosopra. Nancy e Mike scoprono che la bambina parlava di un misterioso “Signor Cosè”. Indagando e interrogando la loro madre Karen ferita, scoprono che il vero nome dell’entità è Henry. I pezzi si incastrano: Cosè è Vecna, che ha manipolato Holly prima del rapimento. Undi e Hopper si inoltrano nel Sottosopra per cercare la bambina. Nel frattempo, Will capisce che Vecna sta usando un legame mentale con lui e riesce a percepire ciò che Holly vede e sente, come se Vecna stesse sfruttando la sua connessione per comunicare o spiare attraverso i bambini presi di mira. Infine una visione rivela che Holly è nella “casa” di Henry, una versione illusoria e idilliaca creata da Vecna: non è l’unica, perché lui vuole radunare tutti i bambini che ha scelto come vittime...

Testo del monologo + note

Dovrei essere morta. E lo sono stata, per un momento. Non so quanto è durato. Ma poi ho sentito qualcosa che mi chiamava. In qualche modo ero in un’altra epoca, a Hawkins. Trent’anni fa. Solo che non ero veramente lì. Non realmente. Ero solo… un’osservatrice. E a quel punto ho capito. Ero intrappolata nella mente di Henry, nella sua memoria. Diciamo che era tipo una prigione da incubo governata da uno psicopatico pezzo di merda. Secondo me, quando sei bloccato in un mondo prigione incasinato, sono poche le porte che puoi aprire. Porta uno: ti togli la vita. Porta due: accetti il tuo destino. O… porta tre: scappi. Io ho scelto la tre. Così ho iniziato a muovermi. Passando da un ricordo all’altro. Solo che questo posto è… un labirinto. Mi sono persa. Ho cambiato percorso. L’ho fatto così tante volte che sono tornata al punto di partenza. Ed è lì che l’ho sentita. Era Kate Bush… La musica riesce sempre a raggiungerti, anche nei momenti più bui. Lucas l’aveva già usata per raggiungermi, uscire dalla mente di Vecna, tornare alla luce. Anche dopo tutto questo tempo, non aveva rinunciato a me. La musica mi ha condotta a un nuovo ricordo, solo che questo aveva qualcosa di diverso. C’ero anche io. Era il giorno in cui henry mi aveva maledetta. Era il suo primo ricordo di me. Lo so, quel posto era già abbastanza opprimente, no? Ma avevo ancora la musica a guidarmi. E così… l’ho seguita. E… mi ha portata dentro altri ricordi. Particolarmente orribili. E sembrava che non sarebbero mai finiti. Ma poi per fortuna… è successo. L’ultimo era di quando Vecna mi ha uccisa. Quando mi ha fatta prigioniera. L’avevo trovata. La via d’uscita. Ed ero così vicina, così tanto da sentire la sua mano sulla mia. E mi sembrava di essere lì. Di essere con lui. In quell’ospedale. 

"Dovrei essere morta.": detta dritta, senza enfasi; tono basso, quasi un referto; micro-pausa dopo la frase, come se ancora facesse i conti con l’idea.

"E lo sono stata, per un momento.": leggero cambio di ritmo, quasi una correzione; alza appena lo sguardo verso l’interlocutore; la voce si incrina di pochissimo su “per un momento”.

"Non so quanto è durato.": sposta lo sguardo nel vuoto, come a cercare quel tempo; ritmo più lento, accetta il buco di memoria; espira sul finale della frase.

"Ma poi ho sentito qualcosa che mi chiamava.": aggiungi una piccola speranza nella voce; “qualcosa” resta vaga, non spiegata; accenna un movimento fisico minimo, come se avesse percepito davvero un richiamo.

"In qualche modo ero in un’altra epoca, a Hawkins.": tono più descrittivo, stai “dipingendo” un ricordo; appoggia leggermente la voce su “altra epoca”; pausa dopo “Hawkins”, per far immaginare il luogo.

"Trent’anni fa.": stacco netto, breve; detta quasi come una nota tecnica, secca; lo sguardo torna all’interlocutore per controllare se sta seguendo.

"Solo che non ero veramente lì.": tono più basso, quasi di frustrazione; enfatizza appena “veramente”; piccola pausa prima di “lì”.

"Non realmente.": spezzata, quasi sussurrata; abbassa lo sguardo; lasciala sospesa, con un micro-silenzio dopo.

"Ero solo… un’osservatrice.": il “solo…” va esitato, come se cercasse la parola; su “osservatrice” c’è una punta di amarezza; sguardo che guarda “la scena” nella sua testa, non la persona davanti.

"E a quel punto ho capito.": micro-crescendo; questa è una frase-chiave di consapevolezza; pausa dopo, come se aprisse un nuovo capitolo del racconto.

"Ero intrappolata nella mente di Henry, nella sua memoria.": la prima parte più controllata; sottolinea leggermente “intrappolata”; su “nella sua memoria” lo sguardo si fa più inquieto, come se fosse ancora lì.

"Diciamo che era tipo una prigione da incubo governata da uno psicopatico pezzo di merda.": cambio di registro, più cinico; “pezzo di merda” va detto secco, con rabbia contenuta; puoi accennare un mezzo sorriso amaro, difensivo.

"Secondo me, quando sei bloccato in un mondo prigione incasinato, sono poche le porte che puoi aprire.": tono quasi filosofico, ma stanco; non correre sulla frase, va masticata; micro-pausa su “poche le porte”.

"Porta uno: ti togli la vita.": detta in modo diretto, senza retorica; lo sguardo non deve essere provocatorio, ma lucido; breve pausa dopo, lascia pesare l’ipotesi.

"Porta due: accetti il tuo destino.": tono un filo più freddo; su “accetti” c’è una nota di disprezzo; guarda un punto fisso, come se rifiutasse quell’opzione.

"O… porta tre: scappi.": il “O…” ha una micro-sospensione, prepara la svolta; su “scappi” entra una goccia di energia in più; piccolo cambio di postura, avanti col corpo.

"Io ho scelto la tre.": frase-identità, detta con calma ma determinazione; contatto visivo diretto; pausa dopo, come se fosse un punto fermo della sua storia.

"Così ho iniziato a muovermi.": ritmo più fluido; accompagna con un gesto minimo, accennato, delle mani; la voce scivola, meno spezzata.

"Passando da un ricordo all’altro.": tono da “voice over”, quasi descrittivo; sguardo che si sposta, come se seguisse davvero i ricordi; respira leggermente tra “ricordo” e “all’altro”.

"Solo che questo posto è… un labirinto.": il “Solo che” introduce uno scoglio; usa l’ellissi (“…”) come micro-pausa reale; su “labirinto” appoggia la voce, rendendo la parola fisica.

"Mi sono persa.": detta semplice, senza piagnisteo; sguardo basso; la frase deve sembrare più una constatazione che una richiesta di pietà.

"Ho cambiato percorso.": ritmo leggermente più veloce, quasi giustificandosi; piccolo gesto con la testa o le mani, come a indicare deviazioni.

"L’ho fatto così tante volte che sono tornata al punto di partenza.": fai sentire la stanchezza nella lunghezza della frase; micro-crescendo fino a “punto di partenza”; espira alla fine, come esausta.

"Ed è lì che l’ho sentita.": abbassa un filo la voce, crea aspettativa; guarda in avanti, come se rivivesse quel momento; pausa breve dopo la frase.

"Era Kate Bush…": la nomini quasi con affetto; mezzo sorriso minimo, nostalgico; lascia l’ellissi in sospensione, non chiudere subito il respiro.

"La musica riesce sempre a raggiungerti, anche nei momenti più bui.": tono più caldo; su “sempre” aggiungi un filo di intensità; guarda brevemente l’interlocutore, come a includerlo in questa verità.

"Lucas l’aveva già usata per raggiungermi, uscire dalla mente di Vecna, tornare alla luce.": il nome “Lucas” va colorato di tenerezza; non correre la frase, c’è molto dentro; micro-pausa su “raggiungermi”, poi riparti.

"Anche dopo tutto questo tempo, non aveva rinunciato a me.": lascia affiorare commozione, ma senza crollare; sguardo su un punto preciso, come se vedesse Lucas; pausa breve dopo la frase, lascia sedimentare.

"La musica mi ha condotta a un nuovo ricordo, solo che questo aveva qualcosa di diverso.": tono narrativo, stai aprendo una nuova stanza; su “qualcosa di diverso” inserisci curiosità mista a timore; sguardo che torna nel “film mentale”.

"C’ero anche io.": detta piano, quasi incredula; micro-pausa prima di dirla; lo sguardo si stringe, come se si vedesse da fuori.

"Era il giorno in cui henry mi aveva maledetta.": il nome “henry” va detto con un filo di veleno; la frase va unita, niente fretta; lascia un secondo di silenzio dopo, è un ricordo pesante.

"Era il suo primo ricordo di me.": tono amaro, quasi ferito; appoggia la voce su “primo”; breve pausa dopo la frase, come a sentire il peso di essere ricordata solo per la maledizione.

"Lo so, quel posto era già abbastanza opprimente, no?": qui entra un filo di sarcasmo difensivo; il “no?” finale chiede un’alleanza all’interlocutore; piccolo sorriso tirato, che non arriva agli occhi.

"Ma avevo ancora la musica a guidarmi.": riporti un po’ di luce nella voce; su “ancora” fai sentire che è una risorsa ripescata; sguardo che si rialza appena.

"E così… l’ho seguita.": l’ellissi va usata come esitazione reale; tono più intimo; accenna un micro-gesto avanti col busto, come se facesse un passo.

"E… mi ha portata dentro altri ricordi.": il “E…” spezzato segnala prudenza; la frase va detta più bassa; lo sguardo torna nel labirinto mentale.

"Particolarmente orribili.": stacco breve, secco; detta quasi a denti stretti; puoi distogliere lo sguardo, come a rifiutarti di rivederli.

"E sembrava che non sarebbero mai finiti.": allunga leggermente il ritmo; lascia un po’ di disperazione nel tono; micro-pausa dopo “mai finiti”, come se rimanessi lì per un attimo.

"Ma poi per fortuna… è successo.": “Ma poi” segna una svolta, alleggerisci appena; l’ellissi mantiene il mistero; non dire ancora cosa, fallo sentire come un preannuncio.

"L’ultimo era di quando Vecna mi ha uccisa.": tono più fermo, quasi chirurgico; appoggia la voce su “uccisa” senza esagerare; lo sguardo può andare leggermente in alto, come se rivedesse la scena dall’esterno.

"Quando mi ha fatta prigioniera.": più morbida, ma con peso; detta come chiarificazione, non come nuova frase drammatica; breve pausa dopo, come punto fermo.

"L’avevo trovata.": detta piano ma con forza interna; su “trovata” entra una piccola scintilla di orgoglio; sguardo centrato, in avanti.

"La via d’uscita.": separata, quasi sussurrata; fai una pausa prima di dirla; lascia un micro-silenzio subito dopo, è la parola chiave.

"Ed ero così vicina, così tanto da sentire la sua mano sulla mia.": qui il ricordo torna fisico; la voce si ammorbidisce; puoi guardare la tua mano per un attimo, come se sentissi ancora quel contatto.

"E mi sembrava di essere lì.": tono più soffice, sospeso; su “lì” allunga leggermente; sguardo perso nel punto in cui “lì” esiste nella sua mente.

"Di essere con lui.": detta come un’aggiunta più intima; la voce si abbassa; piccola pausa dopo, come se trattenessi un’emozione.

"In quell’ospedale.": chiusura visiva; rendi la parola “ospedale” concreta, pesante; lo sguardo può calare di nuovo verso il basso, riportandola al presente.

Analisi del monologo di Nancy a Mike in "Stranger Things 5"

Il monologo di Max funziona come un viaggio interiore che prende forma mentre lei lo racconta, e tutta la sua forza sta nell’alternanza tra lucidità e vulnerabilità. Max descrive il momento in cui avrebbe dovuto morire e, con sorprendente controllo, confessa di esserlo stata davvero “per un momento”. Da qui si apre una narrazione che si muove su due binari: il ricordo traumatico e la consapevolezza maturata dopo essere tornata. La sua voce non cerca pietà, cerca precisione: tutto il racconto è filtrato da una memoria che ancora la brucia. Quando parla dell’altra epoca, dell’Hawkins di trent’anni prima, il tono non è meravigliato ma distaccato, come se rivedesse un film in cui non ha più un corpo. Il punto chiave emotivo è l’immagine di sé come “osservatrice”: un termine che rivela non solo isolamento, ma anche impotenza. La rivelazione di essere intrappolata nella mente di Henry introduce finalmente il vero antagonista psicologico del monologo. Non è solo un villain: è il proprietario della prigione mentale in cui Max è finita. Da qui il linguaggio si fa più duro, più crudo: la definizione di “prigione da incubo governata da uno psicopatico pezzo di merda” rompe ogni residuo filtro.

Quando introduce le tre “porte”, Max non sta semplicemente spiegando una situazione: sta restituendo allo spettatore il modo in cui un sopravvissuto analizza il proprio trauma. Porta uno: la resa definitiva. Porta due: l’accettazione passiva. Porta tre: la fuga. Il fatto che lei scelga la terza non viene raccontato con eroismo, ma con un atto di volontà quasi sfinito. Inizia così un movimento continuo tra ricordi, un labirinto mentale che la disorienta e la porta a ripetere percorsi fino a ricadere al punto di partenza. Il punto di svolta emotivo del monologo arriva con la musica di Kate Bush, elemento che nella serie è un vero dispositivo salvifico. Max lo racconta con una nuova delicatezza, come se la musica fosse una mano tesa nel buio. È anche il momento in cui parla di Lucas: la sua presenza nella narrazione diventa il primo segnale di vita, l’unico frammento affettivo che filtra luce nella memoria della prigionia. Il fatto che lui “non avesse rinunciato a lei” è la frase più intima di tutto il monologo, detta con pudore, quasi vergogna per il bisogno che rivela. La parte finale è la più cupa e insieme la più rivelatrice. Max ricorda di essere finita in una sequenza di memorie orribili, una dietro l’altra, fino a rivivere la propria morte. È lì che trova la via d’uscita: un paradosso narrativo potentissimo, perché la salvezza coincide con la sua tragedia. Quando racconta la sensazione della mano sulla sua, l’immagine diventa fisica, quasi tattile. La conclusione — “mi sembrava di essere lì, di essere con lui, in quell’ospedale” — sigilla il monologo riportando Max nel punto in cui vita e morte si sono sfiorate. Non è una chiusura trionfante: è una confessione fragile, sospesa, che lascia al pubblico il peso del ritorno.

Episodi 3-4 di "Stranger Things 5" (Spoiler)

Vecna prende di mira un altro bambino: Derek. Il piano dei ragazzi è attirare il Demogorgone a casa sua e inserirgli una ricetrasmittente, così da seguire il mostro fino al nascondiglio di Vecna. Intanto Holly, nella falsa realtà costruita da Henry, scopre messaggi misteriosi e si addentra nel bosco, spiata da una creatura. Undi e Hopper combattono contro una squadra dell’esercito nel Sottosopra e distruggono un’arma sonica che stava bloccando i poteri della ragazza, riuscendo poi a riprendere la ricerca della bambina. Will conferma che Vecna sta “raccogliendo” bambini e che il suo legame mentale con la mente alveare non si è mai del tutto spezzato . L’episodio si apre con Derek, ancora sotto shock, che si sveglia nel fienile dove Joyce e gli altri stanno cercando di proteggerlo. La donna tenta di farlo ragionare, ma Derek vuole scappare: Vecna gli ha detto tutt’altro. Proprio allora il Demogorgone irrompe nel fienile. Will, che continua ad avere visioni dal punto di vista della creatura, “vede” tutta la scena attraverso i suoi occhi. Joyce prova a difendere il bambino con un’accetta, ma la svolta arriva quando Steve piomba dentro guidando un’auto e investe il Demogorgone.

L’idea folle è seguirlo nel portale, sfruttando la scia della creatura. La macchina entra nel Sottosopra per un soffio, con a bordo Steve, Dustin, Jonathan e Nancy. Nel Sottosopra, la nebbia è così fitta che a un certo punto perdono di vista il Demogorgone e si schiantano contro un muro viscido, tipico delle superfici organiche create da Vecna. Intanto Will continua a “sentire” il Sottosopra: ha nuove visioni di bambini sedati, collegati a tentacoli come se fossero respiratori viventi. Capisce che Vecna sta seguendo uno schema: vede quattro spirali, un numero che si ripeterà fino ad arrivare a dodici bambini rapiti.

Nel frattempo, Max e Holly danno un nuovo tassello al mistero. Holly, attirata da una lettera scritta da Henry/Vecna, attraversa un passaggio nel muro e viene raggiunta da Max, viva e cosciente dopo la lunga degenza. Max la conduce in un luogo surreale: una casa immersa in una savana luminosa. Spiega alla bambina che ciò che vede non è reale, ma un ricordo composito, la prigione mentale in cui Henry intrappola le sue vittime.

Per recuperare i bambini sequestrati dai militari, Robin propone un piano in stile La Grande Fuga: entrare da un tunnel sotterraneo e liberare i piccoli prigionieri. Ma serve una talpa, qualcuno dall’interno… Derek è l’uomo giusto, ma le cose precipitano e, proprio quella notte… Arriva Vecna.

Credits e dove vederlo

Regista: Matt e Ross Duffer

Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer

Produttore: Stephanie Slack Margret H. Huddleston

Cast: Winona Ryder (Joyce Byers) David Harbour (Jim Hopper), Finn Wolfhard( Mike Wheeler), Gaten Matarazzo (Dustin Henderson) Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair) Noah Schnapp (Will Byers) Millie Bobby Brown (Undici / Jane Ives)

Dove vederlo: Netflix

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