Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Nel momento più e doloroso di Mio fratello, mia sorella, il personaggio di Sebastiano prende la parola per la prima e ultima volta in modo davvero libero. Non ci sono più allucinazioni, crisi o barriere emotive. C’è solo lui — il suo corpo da una parte della porta a vetri dell’ospedale, e dall’altra la sua famiglia. In mezzo, questa voce. Una voce che non appartiene più del tutto al mondo terreno, ma che ancora riesce a toccare i cuori di chi ascolta. Il monologo di Sebastiano, interpretato da Francesco Cavallo, è l’uscita di scena di un personaggio che, per tutto il film, ha vissuto incastrato tra il peso della malattia e il bisogno di essere visto al di là di essa. È un discorso sospeso tra la vita e la morte, tra realtà e visione, ma pienamente ancorato al desiderio umano più semplice: essere amato e lasciare che gli altri possano finalmente vivere senza colpa.
MINUTAGGIO: 1:43:31-1:46:56
RUOLO: Sebastiano
ATTORE: Francesco Cavallo
DOVE: Netflix
Sto bene, non so come sia successo, però sto bene. Mbe, che sono quelle facce? Dovreste essere felici di vedermi così. Soprattutto tu, che hai sacrificato tutta la tua vita, per me. E adesso basta, però. Basta. Basta. Ricomincia a vivere, mamma. Non sei più sola, mamma. Fallo per me. Anzi, no, fallo per te. Con te non c’è bisogno di parlare. E non perché io non capisca, ma perché siamo fratelli. E quello che sente uno sente anche l’altro. Lascia andare tutto. Scegli la tua strada, vai, e non voltarti più indietro. A noi basta saperti felice. Tu sei un’anima bella. Sei speciale. Per questo ho pensato che tu potessi amarmi. Anche se era tutto solo nella mia testa. Come la missione. Non ci andrò mai, su Marte. E Kelvin? Lo sai che non esiste, vero? Ma tu davvero volevi scappare? E per andare dove? Questa è la tua famiglia, questa è casa tua. Che è strana, è imperfetta, ed è fragile, però è la tua. Fermati. Respira. E perdona. Da qui è facile trovare le parole giuste. Non so nemmeno se siano mie o vostre, queste parole. In realtà non so nemmeno se o dove mi risveglierò. Però non mi importa. Adesso sono felice. E va bene così’.

Il film Mio fratello, mia sorella, diretto da Roberto Capucci e scritto insieme a Paola Mammini, parte da una premessa: due fratelli separati da vent’anni costretti a convivere sotto lo stesso tetto per volontà postuma del padre. Ma, in realtà, è proprio in quella forzatura che si apre la possibilità per i personaggi di muoversi, rivelarsi, disgregarsi e forse, in parte, ricomporsi.
La morte del padre Giulio — figura di scienziato, simbolo di razionalità estrema, ma anche assenza emotiva — fa da detonatore. Al funerale si rivedono Tesla e Nìkola, due nomi che messi insieme richiamano Nikola Tesla, scienziato geniale e isolato, ma che separati definiscono due personalità agli antipodi. Tesla è rimasta ancorata alla casa paterna, al ruolo di madre iper-presente e nevrotica, completamente consumata dall’accudimento del figlio Sebastiano, affetto da schizofrenia. Nìkola, invece, ha scelto la fuga, l’adolescenza permanente, una vita libera e disimpegnata.
Il testamento pone i due fratelli davanti a una sfida precisa: coabitare per un anno nella casa di famiglia prima di poterla vendere. Non si tratta solo di una decisione logistica o economica. È un confronto frontale con ciò che hanno lasciato irrisolto per decenni. È il punto zero da cui far partire un racconto che non è tanto sulla riconciliazione, quanto sul riconoscimento reciproco.
Il microcosmo domestico in cui si trovano a vivere è tutto fuorché sereno. Tesla è una madre schiacciata dalla responsabilità, ossessionata dal controllo, incapace di vedere i propri figli come individui separati. Il rapporto con Sebastiano è totalizzante, quasi simbiotico, mentre quello con la figlia Carolina è praticamente nullo. Carolina non la chiama nemmeno “mamma”: non per rabbia, ma per mancanza di identificazione in quel ruolo. È come se la madre non esistesse davvero per lei, se non nella sua forma più stanca e consumata.
Sebastiano è al centro di tutto, e non solo per la sua condizione. La schizofrenia del ragazzo non è usata dal film come elemento melodrammatico, ma come lente attraverso cui guardare il non detto della famiglia. È lui, il "più bravo violoncellista del conservatorio", a dare un ordine emotivo a ciò che è andato in frantumi. La musica diventa per lui e per Emma, la pianista di cui si innamora, una via di fuga e un linguaggio alternativo per affrontare la realtà.
La relazione tra Sebastiano ed Emma funziona perché è l’unica priva di filtri familiari: non ci sono rancori passati, ruoli imposti, silenzi storici. Lì c’è solo ascolto — e non è un caso che sia la musica lo spazio dove questa connessione prende forma. La figura di Giulio aleggia sul film come un pianeta morto che continua però a generare gravità. Professore di fisica, distante, quasi mitologico nella sua razionalità, Giulio ha lasciato una casa ma non un'eredità affettiva. Più che padre, è stato un architetto rigido di ruoli: Tesla come la figlia affidabile, Nikola come quello inaffidabile, Sebastiano come oggetto di cura, Carolina come scarto.
“Sto bene, non so come sia successo, però sto bene.” La prima frase è già una rottura netta. Sebastiano non è più sofferente. E questo “sto bene” non ha bisogno di spiegazioni razionali: non importa il come, conta il sentire. È la voce di un’anima che si è alleggerita. Ma la sorpresa lascia presto spazio a un tono più diretto, quasi ironico: “Mbe, che sono quelle facce? Dovreste essere felici di vedermi così.” Qui c’è ancora il ragazzo che abbiamo conosciuto: sensibile, ma capace di una leggerezza disarmante anche nei momenti più tragici. Non è solo una battuta: è un invito a cambiare prospettiva. La morte, qui, non è un epilogo, ma un momento di verità. “Soprattutto tu, che hai sacrificato tutta la tua vita, per me. E adesso basta, però. Basta. Basta. Ricomincia a vivere, mamma.” Il monologo si rivolge subito a Tesla, la madre. Il tono cambia. Diventa urgente, ripetitivo, come chi finalmente riesce a dire ciò che ha sempre pensato ma non ha mai avuto il coraggio o la possibilità di esprimere. Il triplice “basta” non è rabbia, è liberazione: è l’invito a smettere di vivere per qualcun altro, e iniziare a vivere per sé.
“Non sei più sola, mamma. Fallo per me. Anzi, no, fallo per te.” Sebastiano capisce che l’amore vero non è dipendenza né sacrificio. È permettere all’altro di essere libero. L’inversione – da “per me” a “per te” – è il gesto più generoso che un figlio possa fare verso una madre che si è dimenticata di se stessa. “Con te non c’è bisogno di parlare... siamo fratelli. E quello che sente uno sente anche l’altro.” Ora si rivolge a Carolina, la sorella. Tra fratelli non servono parole. E in effetti Carolina è forse l’unica che, pur nella distanza, ha saputo vedere Sebastiano per quello che era, senza etichette. È un riconoscimento reciproco, asciutto ma pieno di affetto. “Lascia andare tutto. Scegli la tua strada, vai, e non voltarti più indietro.” A Carolina chiede una cosa diversa da quella chiesta alla madre. A lei chiede di andarsene, di fare ciò che lui non ha potuto. È un invito a non restare prigioniera della storia familiare, a non cedere alla nostalgia. Qui Sebastiano si fa quasi guida spirituale. “Tu sei un’anima bella. Sei speciale. Per questo ho pensato che tu potessi amarmi. Anche se era tutto solo nella mia testa.” Arriva poi la confessione. Emma — la ragazza che amava — forse non lo ha mai ricambiato. Ma non c’è rancore, solo tenerezza. La sua dichiarazione non è centrata sul dolore del rifiuto, ma sulla bellezza del desiderio. Anche amare “solo nella propria testa” è stato qualcosa.
“Come la missione. Non ci andrò mai, su Marte. E Kelvin? Lo sai che non esiste, vero?” Qui Sebastiano decostruisce le sue fantasie. Kelvin, l’amico immaginario. Marte, il sogno di fuga. In questa ammissione c’è una maturità raggiunta solo ora, nel momento della separazione. È il punto di svolta: accetta di lasciar andare tutto ciò che aveva usato per proteggersi.
“Ma tu davvero volevi scappare? E per andare dove? Questa è la tua famiglia, questa è casa tua. Che è strana, è imperfetta, ed è fragile, però è la tua.” Parla ancora a Carolina, ma anche un po’ a tutti. La famiglia non è ideale. Non è solida. Ma è reale. Ed è tutto ciò che si ha. In questa frase Sebastiano rovescia il senso della sua stessa storia: chi era sempre stato percepito come “fuori dal mondo”, è ora quello che indica la via per restarci. “Fermati. Respira. E perdona.” Un’esortazione che vale per tutti: per Tesla, per Carolina, per Nìkola. Perdonare è l’ultima possibilità di liberarsi. Ed è l’unica forma di amore che resta. “Da qui è facile trovare le parole giuste. Non so nemmeno se siano mie o vostre, queste parole.” Una riflessione metacinematografica, quasi. Come se la voce di Sebastiano fosse anche la voce collettiva della famiglia, come se tutto ciò che non era mai stato detto ora trovasse finalmente forma. “In realtà non so nemmeno se o dove mi risveglierò. Però non mi importa. Adesso sono felice. E va bene così.” Non c’è certezza, né promessa. C’è solo la pace. Il conflitto, la sofferenza, la frustrazione, il bisogno di scappare — tutto si scioglie in un momento di felicità. Effimera, forse. Ma sufficiente.

Il monologo di Sebastiano è l’unico punto del film in cui il dolore viene attraversato senza essere evitato. Non è una lettera dall’aldilà. È un atto di amore diffuso, lucido, necessario. Nel film, Sebastiano è il corpo fragile attorno al quale ruotano le vite degli altri. Ma in questo monologo, smette di essere centro passivo: diventa coscienza. E in quel momento, proprio nel suo addio, riesce a guarire chi resta. Anche se solo un po’.

Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica

Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.