Monologo teatrale femminile - \"Casa di Bambola\", di Henrik Ibsen

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo nel terzo atto di Casa di bambola. La verità è esplosa, le maschere sono cadute. Nora ha visto chi è veramente suo marito Torvald — non l’uomo che aveva idealizzato, ma un individuo troppo piccolo per accogliere il suo sacrificio. In questa scena, Nora prende la parola e per la prima volta parla davvero. Non più in cerca di approvazione, non per farsi amare, non per rassicurare. È una confessione che è anche un congedo.

Sono una donna libera

Sono otto anni che aspettavo, pazientemente. Dio mio, capivo bene da sola che le cose meravigliose non avvengono ogni giorno. Ma quando poi la rovina è precipitata su di me, fui assolutamente certa che la cosa meravigliosa sarebbe accaduta.

Mentre la lettera di Krogstad aspettava lì fuori, non mi passò per la mente che tu ti saresti piegato alle condizioni di quell’uomo. Ero così assolutamente certa che gli avresti detto: faccia pure conoscere la cosa a tutto il mondo. E quando lo avesse fatto, tu ti saresti fatto avanti, non ne dubitavo, e ti saresti assunto ogni responsabilità dichiarando: il colpevole sono io!

Era questa la cosa meravigliosa che speravo, anche se avevo tanta paura. Ed era per impedire una cosa simile che volevo togliermi la vita.

Ma tu non pensi nè parli come l’uomo a cui potrei rimanere vicina. Passato il tuo spavento… non per quello che minacciava me, ma per quello a cui eri esposto tu stesso, una volta passato il pericolo, per te è stato come se non fosse successo niente. Ero la tua lodoletta, tale e quale come prima, la tua bambola che avresti dovuto custodire con ancora più cura per il futuro, dato che era così sventata e così fragile.

Torvald… in quel momento vidi con chiarezza che per otto anni avevo vissuto insieme ad un estraneo, e che avevo avuto dei bambini…Oh, non posso pensarci! Potrei stritolarmi, farmi a pezzi da sola!

Così come sono adesso non posso essere una moglie adatta per te.

Casa di Bambole

"Casa di bambola" (titolo originale: Et Dukkehjem) è un testo teatrale scritto da Henrik Ibsen nel 1879. È considerato uno dei punti di svolta del teatro moderno proprio per come mette in discussione, senza proclami o ideologie urlate, l’istituzione familiare borghese e il ruolo della donna nella società del tempo. La scena si apre nella casa dei coniugi Helmer. Nora è intenta a preparare il Natale e si mostra inizialmente come una donna spensierata, quasi infantile. Torvald, suo marito, la chiama con nomignoli affettuosi e paternalistici (“allodola”, “scoiattolina”), segno evidente di un rapporto fortemente gerarchico mascherato da tenerezza.

Torvald è da poco stato promosso direttore di banca e la famiglia si prepara a un futuro più agiato. Ma la tranquillità domestica nasconde una tensione: Nora anni prima ha contratto un prestito per salvare la vita del marito, malato. Il prestito, che ha tenuto segreto, è stato ottenuto falsificando la firma del padre. Il creditore è Krogstad, un impiegato della banca in odore di licenziamento.

Nora è sempre più angosciata. Krogstad la minaccia di rivelare la verità a Torvald se non riuscirà a fargli mantenere il posto in banca. Lei, nel frattempo, cerca disperatamente una soluzione, coinvolgendo anche l’amica Christine Linde, appena tornata in città e assunta da Torvald nella stessa banca.

Mentre si prepara a una festa in maschera, Nora cerca di distrarre il marito e guadagnare tempo. Ma la tensione cresce, il segreto incombe e la maschera inizia a scricchiolare. Christine Linde rincontra Krogstad: tra i due c’era una relazione passata mai del tutto chiusa. Christine, che ora è sola e senza scopi, gli propone di ricominciare, anche per dare un senso alla propria vita. Decide però di non impedire la consegna della lettera: “Devono affrontarsi. È giunto il momento.”

Torvald riceve la lettera di Krogstad e reagisce in modo violento e freddo. Non si preoccupa per Nora, non la ringrazia per il sacrificio: pensa solo a se stesso, alla reputazione, al danno sociale. È il punto di rottura. Quando subito dopo arriva una seconda lettera — in cui Krogstad ritira le accuse e restituisce il documento incriminante — Torvald tira un sospiro di sollievo, pronto a “perdonare” Nora. Ma ormai è troppo tardi.

Nora comprende che il matrimonio in cui ha vissuto è stato una messa in scena. Lei è stata una “bambola” prima nella casa del padre e poi in quella del marito. Non è mai stata vista per ciò che è. Non è mai stata ascoltata.

E prende una decisione che al pubblico dell’epoca fece crollare il mondo: lascia marito e figli per cercare se stessa, per imparare chi è. Il suo gesto non è né impulsivo né retorico: è dolorosamente razionale. Sente il bisogno di vivere come individuo, di “educarsi da sola”. La porta che si chiude con l’ultima battuta è diventata uno dei gesti più iconici del teatro moderno.

Analisi Monologo

"Sono otto anni che aspettavo, pazientemente."

Nora non è ingenua. Non è la bambola sventata che Torvald ha sempre creduto di avere accanto. Ha aspettato, ha osservato, ha sperato. La sua attesa non è passiva, è il sintomo di un’intelligenza che si finge addormentata perché così le è stato richiesto. "La cosa meravigliosa" La "cosa meravigliosa" (det vidunderlige) è una delle immagini più ambigue e potenti del teatro ibseniano. Per tutto il tempo, Nora ha fantasticato su un momento di redenzione e verità: la possibilità che Torvald si assumesse la colpa, dimostrando finalmente di amarla non come una creatura da proteggere, ma come un’uguale. È una fantasia quasi romantica, tragicamente idealizzata.

Ma quello che accade è l’opposto: Torvald pensa solo alla sua reputazione. È disposto a perdonare, ma non a capire. È pronto a coprire, non a condividere.

"Tu ti saresti fatto avanti... e ti saresti assunto ogni responsabilità"

In questa frase c’è tutta la speranza di Nora, ma anche la consapevolezza che il vero amore è corresponsabilità, non possesso. E qui emerge un tema centrale di Ibsen: la differenza tra vivere in un ruolo sociale e vivere come individuo. Torvald ha interiorizzato il suo ruolo di marito e di uomo rispettabile, non riesce a scardinarlo nemmeno davanti alla crisi. "Passato il tuo spavento..." Il monologo prende una svolta netta: Nora smette di parlare in termini ipotetici. Racconta ciò che è successo, e il modo in cui Torvald ha gestito la crisi: con egoismo. Il punto non è il tradimento affettivo, ma l’assenza di dignità etica. Nora si rende conto che per lui è tutto tornato come prima. Ma per lei no. Anzi: per lei, è come se non fosse mai stato vero nulla. "Ero la tua lodoletta [...] la tua bambola" Questa è forse la riga più famosa dell’intero testo. Qui Nora nomina ciò che è sempre stato sottinteso: è stata una decorazione, un oggetto affettuoso da tenere sotto vetro, da coccolare e da guidare. La "casa di bambole" non è solo la loro abitazione, è l’intero rapporto. Lei era un giocattolo, un accessorio per la narrazione identitaria di Torvald.

"Otto anni vissuti con un estraneo"

Questa frase è un terremoto. In un solo colpo, Nora smonta tutto: la relazione, la maternità, la sua stessa identità. Non si tratta solo di delusione sentimentale: è una ristrutturazione radicale della sua visione del mondo. "Così come sono adesso non posso essere una moglie adatta per te." La frase conclusiva non è una fuga, è una presa di responsabilità. Nora non è arrabbiata, è determinata. Sta riconoscendo che non può continuare a vivere una vita che non ha scelto consapevolmente. Vuole prima imparare chi è, cosa pensa, come funziona il mondo. Solo allora — forse — potrà tornare.

Conclusione

Questo monologo segna il vero punto di svolta di Casa di bambole. Nora smette di interpretare un ruolo e diventa persona. In un momento in cui la società borghese ottocentesca si reggeva su convenzioni, reputazione e apparenza, Ibsen affida a una donna il gesto più radicale: scegliere di essere libera.

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