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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Yennefer sulla spiaggia in The Witcher è uno dei momenti più intensi per capire la sua identità e il suo rapporto con la perdita. In questa scena, Yennefer parla a un feto non salvato e, senza volerlo, apre una finestra sul proprio dolore e sulla sua idea di valore personale. Il tono è asciutto, quasi controllato, e lascia emergere una disillusione costruita nel tempo. È un monologo che unisce introspezione, corpo e storia personale, perfetto per chi studia recitazione e analisi dei personaggi.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Durata: 2 minuti
Emozioni chiave Amarezza che non graffia, ma pesa, vergogna muta, cinismo difensivo, tenerezza spezzata
Perfetto per Scene di trauma non elaborato Esercizi su emozioni contrastanti, Momenti di introspezione in solitudine
Dove vederlo: Netflix
Dopo una terza stagione in cui le relazioni tra Geralt, Ciri e Yennefer venivano messe a dura prova da tradimenti, separazioni e battaglie sempre più epiche, The Witcher 4 rappresenta un punto di svolta. È la stagione dove le illusioni si rompono, le alleanze si frantumano e ogni personaggio viene costretto a fare i conti con il proprio destino. Il mondo è cambiato. Nilfgaard avanza, i regni del Nord sono divisi, e la magia è stata compromessa da un nemico che lavora nell’ombra: Vilgefortz, un mago che mira a utilizzare Ciri per scopi ben più grandi della conquista politica. Ma la ragazza non è dove dovrebbe essere. Dopo essere scappata alla fine della stagione precedente, Ciri si nasconde tra un gruppo di criminali, sotto un nuovo nome, mentre tutti – Geralt, Yennefer, Emhyr, Vilgefortz – la cercano per motivi diversi.
A cambiare è anche il tono. La stagione abbandona la struttura classica da “viaggio fantasy” per diventare un road drama crudo, disperato e profondo, dove ogni personaggio affronta qualcosa che non può combattere con la spada o con la magia: la perdita, il rimpianto, l’identità, il peso del sangue. Geralt non è più l’eroe invincibile. Yennefer non è più solo una maga potente. Ciri non è più solo la ragazza da proteggere.

Mi spiace che non hai avuto una vita, anche se non ti sei persa molto. So che è facile per me dirlo visto che ho l’aria nei polmoni a differenza tua. In ogni caso, cosa avresti avuto? Due genitori. Sono loro che hanno decretato la tua fine. Non ti sei persa granché… Gli amici. Magari qualche bella giornata. Gli amanti… Sono divertenti per un pò, ma finiscono col deluderti. Guardiamo in faccia la realtà. Sei una donna. Tua madre su una cosa aveva ragione. Siamo contenitori. Anche se ci dicono che siamo speciali, come mi hanno detto. come ti avrebbero detto. Siamo solo contenitori, da cui l’uomo tinge e attinge, finché non restiamo vuote, e sole. Considerati fortunata. Hai barato e hai vinto senza nemmeno saperlo. Dormi bene.
“Mi spiace che non hai avuto una vita, anche se non ti sei persa molto.”: voce tenue; pausa su “vita”; sguardo sul corpo tra le mani; tono che si spezza su “molto”.
“So che è facile per me dirlo visto che ho l’aria nei polmoni a differenza tua.”: leggera ironia amarissima; espira prima di “a differenza tua”; occhi verso l’orizzonte, non verso il feto.
“In ogni caso, cosa avresti avuto?”: domanda senza interrogativo; tono stanco; micro-pausa prima di “avresti”.
“Due genitori.”: detta quasi piatta; lascia cadere la frase come constatazione inevitabile.
“Sono loro che hanno decretato la tua fine.”: sguardo duro, ma non accusatorio; pausa dopo “loro”; voce che si fa più bassa.
“Non ti sei persa granché…”: respiro più lungo; quasi un sussurro; sospensione nel finale, come se valutasse le parole.
“Gli amici.”: accento lieve su "Gli”; voce vuota, come un elenco.
“Magari qualche bella giornata.:” tono che tenta una carezza, ma non arriva fino in fondo; sguardo verso il mare.
“Gli amanti…”: pausa più ampia; occhi che si abbassano; un ricordo che punge.
“Sono divertenti per un pò, ma finiscono col deluderti.”: tono più asciutto;
“deluderti” va detto senza enfasi, come fosse una regola della vita.
“Guardiamo in faccia la realtà.:” respira; tono più diretto, ma non aggressivo; sguardo fisso davanti a sé.
“Sei una donna.”: voce che scende di mezzo tono; pausa breve dopo averlo detto, come una constatazione pesante.
“Tua madre su una cosa aveva ragione.” voce meno rigida; a metà tra ammissione e rammarico.
“Siamo contenitori.”: detta lenta, lasciando spazio alle sillabe; lo sguardo resta fisso sul feto.
“Anche se ci dicono che siamo speciali,” tono quasi didattico; pausa su “speciali”; lieve amarezza in fondo alla frase.
“come mi hanno detto.”: voce più stretta; micro-pausa dopo “detto”.
“come ti avrebbero detto.”: tono più basso; qui si apre una ferita, quindi lo dice guardando verso il basso.
“Siamo solo contenitori,”: calma apparente; lascia passare un respiro prima della frase successiva.
“da cui l’uomo tinge e attinge,”: ritmo lento; mani ferme; voce che scorre senza variazioni.
“finché non restiamo vuote, e sole.”: “vuote” va detto con un filo di voce; pausa netta prima di “sole”.
“Considerati fortunata.”: tono quasi paradossale; sguardo obliquo, non diretto.
“Hai barato e hai vinto senza nemmeno saperlo.”: voce più stabile; “senza
nemmeno saperlo” va sospesa, come un pensiero che scivola via.
“Dormi bene.”: chiusura dolce; un respiro prima; abbassa lo sguardo nel dirlo.
Il monologo di Yennefer in The Witcher, quello sulla spiaggia mentre parla al feto che non è riuscita a salvare, è uno dei momenti più intensi della sua prima stagione. Funziona come una confessione travestita da riflessione sul mondo, e rivela ciò che lei non ammette mai davanti a nessuno: il dolore legato alla maternità negata, alla trasformazione subita e al valore personale messo costantemente in dubbio. Yennefer parla a qualcuno che non può replicare. Questo la libera, perché non rischia giudizio né contraddizione. È una confessione indiretta: ciò che dice al feto è in gran parte ciò che pensa di sé, del suo corpo e della sua condizione. La frase “siamo contenitori” è il nucleo emotivo del monologo. Per Yennefer è una lama che torna sempre: ha perso la possibilità di avere un figlio, ha ottenuto potere tramite una trasformazione irreversibile, vive in un mondo che definisce il valore delle donne tramite funzioni e utilità. Parlare al feto significa confrontarsi con la parte di sé che lei stessa percepisce come “mancante”. È la forma più sincera del suo dolore.
Il monologo è costruito con frasi brevi, tagliate, prive di ornamenti. Questa scelta di scrittura è perfetta per rendere la durezza di chi ha smesso di cercare compensazioni emotive. Quando Yennefer elenca: gli amici, qualche giornata, gli amanti, non c’è nostalgia. C’è un catalogo di esperienze che secondo lei non valgono quanto il dolore che portano. Questa secchezza diventa la chiave per l’attore: evitare melodrammi, lavorare sul peso non detto. Il monologo tocca un punto delicatissimo: come il mondo definisce il corpo femminile. Yennefer ripete parole che ha interiorizzato, parole che non accetta davvero ma che non riesce a togliersi di dosso. La maternità irraggiungibile diventa il simbolo di tutto ciò che le è stato tolto. Da qui arrivano le frasi più taglienti: “ci dicono che siamo speciali”, “da cui l’uomo tinge e attinge”
La frase finale “Dormi bene” è il vero gesto d’amore dell’intera scena. Dopo minuti di cinismo, amaro e distacco, Yennefer si concede qualcosa che non vorrebbe mostrare a nessuno: un frammento di gentilezza autentica.

Dopo otto episodi, The Witcher 4 ci lascia con una serie di eventi che cambiano radicalmente il futuro dei protagonisti. I fili della trama si stringono attorno a tre grandi momenti che segnano il finale. L’episodio 8 si chiude con una delle sequenze più violente e dolorose dell’intera saga: Leo Bonhart, il cacciatore di witcher, massacra brutalmente tutti i Ratti, il gruppo di ladri e reietti con cui Ciri aveva stretto un legame. Lei arriva troppo tardi e viene catturata. Qui non si parla più di “discesa nell’oscurità”. Ciri è dentro. Costretta a guardare i corpi dei suoi amici, legata e impotente, urla il nome di Geralt, come se fosse un richiamo ancestrale. Ma non è solo un grido d’aiuto: è la rottura definitiva dell’illusione di poter avere una vita normale.
Nel frattempo, Geralt combatte una battaglia al fianco della Regina Meve e riceve il titolo di Cavaliere di Rivia. Una scena solenne, piena di onore e riconoscenza. Ma nel volto di Geralt c’è solo silenzio. Il suo sguardo è vuoto. È un’onorificenza che non cercava, e che non colma il senso di fallimento che lo accompagna. Ha capito che non ha protetto Ciri, che qualcosa di irreparabile è accaduto, e che il suo viaggio è appena diventato una guerra. L’ultima scena mostra Emhyr che, dopo aver scoperto la verità sulla falsa Ciri, attiva una caccia al Witcher con una creatura misteriosa capace di fiutare l’odore del Lupo Bianco. Siamo ben oltre la rivalità politica o militare: Geralt ora è il bersaglio diretto dell’Imperatore. Emhyr vuole sua figlia. Vilgefortz la vuole per dominarla. E Ciri… è sola.
Registi: Sergio Mimica-Gezzan
Sceneggiatura: Lauren Schmidt Hissrich
Produttore: Mike Ostrowski
Cast: Liam Hemsworth (Geralt), Freya Allan (Ciri), Anya Chalotra (Yennefer), Mahesh Jadu (Vilgefortz), Laurence Fishburne (Regis)
Dove vederlo: Netflix

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