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~ LA REDAZIONE DI RC
Nel cinema di Ferzan Özpetek le parole scritte hanno spesso più peso di quelle dette. Perché scrivere, per lui, è un modo per fermare il tempo. Questa lettera di Pietro a Enea in “Nuovo Olimpo” è un tentativo disperato – ma dolcissimo – di ricollegare i fili di una storia mai vissuta fino in fondo. È un monologo che arriva in ritardo, come tutte le lettere d’amore che non hanno trovato il coraggio o l’occasione per essere spedite. Ma quando lo spettatore lo ascolta, è come se quel tempo si annullasse.
MINUTAGGIO: 1:08:00-1:11:12
RUOLO: Pietro
ATTORE: Andrea Di Luigi
DOVE: Netflix
ITALIANO
Ciao Enea. Com’è che mi avevi scritto? “Così il tempo e lo spazio non ci separano” E invece tutto mi ha separato. Se fossimo usciti insieme quel giorno, se fossimo andati a quella trattoria che avevo prenotato, se avessimo chiacchierato e riso tutta la sera davanti a un bicchiere di vino rosso, come una coppia qualsiasi, forse saremmo ancora insieme. Quando sono tornato dalla clinica c’era già un casino, ma sono lo stesso riuscito ad arrivare davanti al bar. Ho provato a correre verso il cinema ma mi sono ritrovato in mezzo a uno scontro tra ragazzi e polizia, i fumi dei gas. Sono stato travolto e ferito, mi sono rotto un braccio, in malo modo. Ci è voluto tempo, ma appena ho potuto sono tornato a cercarti. E ancora qui sto, in attesa. La tua assenza mi lega ancora di più a te. Io già la conosco questa assenza. Perchè tu c’eri già nella mia vita prima di conoscerti, io già pensavo a te prima ancora di sapere che faccia avessi. Ti lascio il mio numero di telefono, ti prego cercami. Anche soltanto per dirmi di no.
“Nuovo Olimpo” è un film del 2023 diretto da Ferzan Özpetek, distribuito su Netflix. È uno di quei film in cui il regista turco naturalizzato italiano torna a parlare apertamente d’amore, di desiderio, di memoria. Ma qui lo fa con un tono più sospeso, a tratti malinconico, quasi come se stesse raccontando un sogno che ogni tanto si spezza e poi si rimette insieme, a fatica. Con “Nuovo Olimpo”, Özpetek guarda indietro. Siamo nella Roma degli anni ’70, poi negli anni ’80, poi ancora nei ’90 e infine oggi. È un film che attraversa il tempo, ma non nel senso epico: attraversa la memoria. E proprio come succede nei suoi film più intimi, la storia si costruisce su frammenti emotivi. Piccoli gesti, sguardi, coincidenze, silenzi.
Il protagonista è Enea (interpretato nella versione giovane da Damiano Gavino), uno studente di cinema che negli anni Settanta incontra Pietro (Andrea Di Luigi), assistente medico. Si conoscono in un cinema d’essai, quello che dà il titolo al film: il Nuovo Olimpo. Tra loro nasce un legame intenso, un amore che però viene spezzato da un evento improvviso. Da lì parte un lungo viaggio fatto di attese, di ritorni mancati, di immagini che restano nella testa anche quando la realtà è cambiata.
Il film ruota attorno a tre temi principali:
L’amore che non si consuma: non è una storia d’amore tradizionale. È un amore congelato, fermato nel tempo da una mancanza. È il classico amore "rimasto in potenza", che forse proprio per questo si fissa nella memoria come qualcosa di eterno.
La memoria come trappola: Enea resta prigioniero di quel primo incontro. Lo rivediamo nei decenni successivi, incapace di lasciarsi davvero andare ad altri legami. Non perché non ami più, ma perché quel primo amore è diventato una lente attraverso cui guarda tutto il resto.
Il cinema come spazio dell’anima: Il Nuovo Olimpo è un luogo simbolico, quasi onirico. È lì che i due si incontrano, è lì che Enea torna nei ricordi, è lì che l’amore prende forma. Come se Özpetek volesse dirci che alcune storie esistono davvero solo quando vengono raccontate, proiettate, rivissute attraverso l’arte.
La forza di questo monologo è tutta nella sua semplicità. Pietro non cerca effetti, non si perde in metafore, non esagera. Racconta i fatti, uno dietro l’altro, come si fa quando si cerca di spiegare l’inspiegabile. Il testo è costruito come un flusso di coscienza malinconico, ma molto lucido: parte con un riferimento diretto ("Ciao Enea") e poi scivola lentamente nel racconto di ciò che non è successo. "Se fossimo usciti insieme quel giorno…"
In questa frase si concentra tutta la logica del rimpianto. Pietro rielabora all’infinito il momento mancato, l’incontro che sarebbe potuto essere ma non è stato. Si affida alla forma ipotetica – il "se" – che in letteratura e nel cinema è sempre la grammatica della nostalgia. Non c’è rancore, però. Solo una constatazione dolente: un’altra vita era possibile. "Sono stato travolto e ferito, mi sono rotto un braccio, in malo modo." Il racconto dell’incidente è importante perché riporta la storia alla Roma degli anni Settanta, una città attraversata da tensioni politiche, manifestazioni, scontri. In quel dettaglio – i lacrimogeni, la polizia, i ragazzi – c’è il mondo esterno che irrompe nella storia privata. Özpetek ci ricorda che il destino personale può essere spezzato anche da eventi del tutto casuali, da una folla in cui si resta intrappolati.
"La tua assenza mi lega ancora di più a te." Qui c’è il cuore emotivo del monologo. Pietro non ha mai dimenticato Enea. Anzi, è proprio l’assenza a tenerlo legato a lui. È un concetto che ricorda molto la poetica pasoliniana: l’amore è memoria, è mancanza, è ciò che ci definisce attraverso ciò che non abbiamo. Pietro dice che Enea “c’era già” nella sua vita prima di conoscerlo, e questo trasforma il sentimento da fatto contingente a qualcosa di quasi predestinato, fuori dal tempo. "Ti prego cercami. Anche soltanto per dirmi di no." E poi c’è la chiusura. Una frase di una vulnerabilità quasi spiazzante. Pietro non chiede una seconda possibilità, non pretende nulla. Chiede solo una risposta. Anche un rifiuto. Perché ciò che davvero non sopporta è il vuoto, il silenzio, l’attesa che non finisce.
Pietro non ha mai potuto dire queste parole a Enea, ma il fatto che noi le ascoltiamo – anche solo come spettatori – fa sì che abbiano un peso, che escano dal limbo dei pensieri mai detti. Özpetek costruisce con questa lettera uno dei momenti più toccanti del film, non perché ci sia pathos, ma perché ci mostra cosa resta quando l’amore si ferma prima ancora di cominciare davvero.
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