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Articolo a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Appena cinque giorni fa, Paternal Leave debuttava su tutti gli schermi, grazie all'esordio alla regia di Alessia Jung.
Durante la proiezione del 19 maggio, al cinema Metropolitan di Napoli, accompagnata dal marito e protagonista Luca Marinelli, la regista ha introdotto il film in maniera gentile e misurata, così com'è la sua opera.
Perché un padre non vuole conoscere un figlio? E' questa la domanda da cui è partita la Jung, prima di scrivere la sceneggiatura. Cosa c'è dietro un'assenza del genere? E lo scrive da madre, calandosi in sentimenti ed emozioni impalpabili ma esistenti e senza giri di parole, senza scegliere grandi passati traumatizzanti o difficoltà insuperabili.
Paolo, il protagonista, è insicuro e irrisolto. Scappa, di continuo. Non si sente all'altezza e, in maniera goffa, cerca di tenere sotto controllo una situazione che sembra sfuggirgli di mano. Ma in realtà è solo lui che fugge da se stesso. Quando Leo, quindicenne tedesca, scopre che proprio quel surfista italiano è il padre che non ha mai conosciuto, prende un treno di nascosto e bussa alla sua porta. E Paolo, nel bel mezzo di una crisi esistenziale in cui sta perdendo la famiglia che si era costruito, reagisce in maniera goffa e spaventata.
La Jung sottolinea di aver fortemente voluto che padre e figlia parlassero due lingue diverse, in modo tale che la comunicazione fosse ancora più complessa e si esaurisse attraverso il linguaggio del corpo, che confermo essere il grande movimento trainante dell'incomunicabilità. L'effetto è bello, restituisce l'imbarazzo di due sconosciuti che alla fine temono entrambi di essere abbandonati: Paolo, di fallire nuovamente e di tradire dal primo istante l'impressione che fa a sua figlia; Leo, di ricevere la conferma di essere stata un errore da correggere.
A 21 anni, Paolo ha una storia con Anna e la ragazza - appena diciannovenne - resta incinta. Terrorizzato, vede sua figlia solo una volta, quando richiede il test del dna e ottiene la conferma di esserne il padre. A quarant'anni ha una figlia piccola e una moglie, con la quale sta attraversando un momento di crisi. Non ci è concesso sapere molto, eppure capiamo che Valeria lo ritiene più presente con i ragazzi di cui è istruttore, che con sua figlia Emilia. Del resto, Leo vedrà suo padre in questo approccio paternale nei confronti degli allievi, all'interno del video Youtube nel quale scoprirà per la prima volta il suo volto.
Molto, molto più facile essere bravi coi figli degli altri per chi si sente incapace.
Paolo vive in un camper, parcheggiato dinanzi ad un bar dismesso che "dirige" e cerca di fare del suo meglio quando la piccola Emilia trascorre le giornate con lui. Leo arriva in uno di quei giorni, sconvolgendo il suo equilibrio, concretizzando il fallimento che teme di ripetere nuovamente con Emilia: essere un cattivo padre, assente e incapace. Come un fantasma del timore, Leo smuove le acque, quelle che Paolo non può surfare, e diventa una minaccia che però non riesce ad essere rigettata nuovamente. E così, mentre Leo cerca di conoscere una parte di famiglia scoprendo di essere una sconosciuta per le persone che la circondano, Paolo tenta di nasconderla ancora e ancora: le cose con Valeria si stanno sistemando, non può scoprire che ha una figlia mai cercata.
Settantadue ore per conoscersi, nel limite delle possibilità, e sicuramente in modo migliore rispetto a come Leo intendeva fare appena partita per l'Italia: un quadernino con tante domande da porre al padre sconosciuto. Per conoscerlo e tentare di capire le sue ragioni.
Sicuramente, le poche risposte che Leo otterrà non saranno sufficienti a comprendere, ma ad entrare nel mondo dei grandi sì, nella complessità dell'animo umano e dei sentimenti; al contempo, la stessa formazione sarà parte dell'evoluzione di Paolo che, seppur timidamente, getta le basi sul finale, fermandosi dalla sua incessante fuga.
Un film intimo e vero, che non necessita di espedienti narrativi tragici per emozionare. Rabbia e sospensione, tristezza e poi di nuovo rabbia e attesa. Un Luca Marinelli sempre immenso e una giovanissima Juli Grabenhenrich che tutto sembra, tranne che un'esordiente. Tanti simboli che cullano il mosaico, fenicotteri, mare d'inverno, Lucio Dalla, silenzi, fughe e timidi ritorni. Ed è subito poesia.
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