Recensione \"Fiori d'acciaio\" e analisi del monologo finale di M'Lynn

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Articolo a cura di...

~ ANGELICA ATTANASI

Intro

Mi è già capitato, scrivendo una recensione, di dire che esistono dei film che hanno il potere di convogliare le emozioni verso l’epidermide, verso i dotti lacrimali, come percorsi segreti che solo alcuni film riescono a sbloccare e ti ritrovi a piangere o ridere fino alle lacrime, perché non c’è niente di più liberatorio di una risata o di un pianto.

Fiori d’acciaio è uno di quei film, ha tutte le caratteristiche giuste per strapazzare la nostra anima.

Un cast stellare di grandi attrici che hanno lasciato una impronta indelebile con questo film, attrici tra loro anche lontane come una Dolly Parton versus una Shirley MacLaine, giovani promesse come Daryl Hannah e Julia Roberts, per non parlare di Sally Field ed Olympia Dukakis.

Il monologo finale

MINUTAGGIO: 1:44:25

RUOLO: M'Lynn

ATTRICE: Sally Field

DOVE: Netflix

INGLESE

I'm fine. I'm fine! I can jog all the way to Texas and back, but my daughter can't. She never could. God! I'm so mad, I don't know what to do. I want to know why. I want to know why Shelby's life is over. I want to know how that baby will ever know how wonderful his mother was. Will he ever know what she went through for him? Oh, God, I want to know why! Why? Lord, I wish I could understand. No! No! No! It's not supposed to happen this way. I'm supposed to go first. I've always been ready to go first. I don't think I can take this. I don't think I can take this. I just want to hit somebody till they feel as bad as I do. I just want to hit something! I want to hit it hard!

ITALIANO

Sì, sì, meglio. Molto meglio. Potrei correre in Texas e ritorno, ma mia figlia no; non ha mai potuto farlo. Sono così infuriata che non so neanche cosa fare. Voglio sapere perché. Voglio che qualcuno mi dica perché Shelby non c’è più. Come farà quel piccolo sapere quanto meravigliosa era sua madre? Riuscirà mai a rendersi conto di quello che ha sopportato per lui? Non capisco. Signore, vorrei poter dire che non capisco. Non dovevano andare così le cose. Sarei dovuta andarmene io per prima; sono sempre stata pronta ad andarmene per prima. Non posso sopportarlo. Vorrei poter picchiare qualcuno fino a fargli provare il dolore che sto provando io. Io… ho solo voglia di colpire qualcuno… e colpirlo forte.

Trama e recensione

Nella cittadina immaginaria di Chinquapin, capoluogo dell'omonima Chinquapin Parish, in Louisiana, sei donne dall'età e dai caratteri completamente diversi si ritrovano nel salone di bellezza di Truvy Jones, tra pettegolezzi e i vari alti e bassi della vita. Oltre alla proprietaria Truvy, fra loro ci sono due anziane amiche, la vedova Louisa "Ouiser" Boudreaux e Clairee Belcher, l'ingenua e religiosa aiutante Annelle, la signora Mary Lynn Eatenton e la sua giovane figlia Shelby.

Shelby sta per sposarsi e dopo il matrimonio, nonostante una grave forma di diabete e il parere contrario dei medici, decide di diventare madre, il sogno irrinunciabile della propria vita. Col passare del tempo la malattia si aggrava e Shelby entra in dialisi fino a quando la madre le dona un rene. Quando Shelby, che nonostante le cure non ha mai vinto la battaglia contro la malattia, è vittima di una ischemia fatale, le donne si stringono tutte intorno a Mary Lynn e tra lacrime e risate instaureranno un'unione al femminile, come dei fiori ma fatti d'acciaio, che non si spezzano davanti alle dure avversità della vita.

E fin qui leggendo la trama si potrebbe pensare ad uno dei soliti Drama, ma l’intensità portata sullo schermo dalle protagoniste, le sfumature delle loro storie la capacità di far interrogare chiunque sulle scelte che sembrano così scontate a volte, è la potenza di questo film.

Io l’ho visto e rivisto in diverse fasi della mia vita, quando ero abbastanza giovane da poter essere la figlia che prende la decisione di avere un figlio nonostante il parere contrario dei medici, e capire profondamente la sua scelta e condividerla. 

L’ho rivisto più grande ritrovandomi nella posizione di Sally Field a domandarmi cosa avrei fatto al suo posto, cosa avrei provato nel vedere le decisioni di mia figlia portarla verso l’inevitabile fine.

Ogni donna ci si ritrova, ma anche ogni uomo perché le figure maschili non sono marginali in questa pellicola, sono contrappunto al mondo femminile, voce di una sensibilità altra ma mai veramente diversa e lontana.

In chiusura vorrei menzionare un altro film di eguale potenza emotiva, Voglia di tenerezza, forse un po’ dimenticato, in cui due splendide Shirley MacLaine e Debra Winger, danno vita ad un rapporto madre figlia strepitoso, in cui le apparenti differenze sembrano confluire in una lotta comune contro il male peggiore di ogni secolo, il cancro.

Ed anche in questa pellicola, il maschile, rappresentato da Jack Nicholson, fa da contrappunto ad un dolore che non è solo femminile, la perdita di un figlio

Sono due film che consiglio di vedere, sebbene film fine anni ’80 inizio anni ’90, dai toni patinati e pettinature discutibili, hanno ancora oggi molto da dire e da far riflettere, e per giovani attori molto da insegnare.

Due parole sul monologo

Siamo al funerale di Shelby. L’atmosfera è ovattata, trattenuta, carica di dolore. Gli altri personaggi cercano di mantenere la calma, di essere d’aiuto. E poi c’è M’Lynn, che inizia a parlare. All’inizio sembra quasi tranquilla, racconta di come si senta “molto meglio”, in quella frase che suona ironica, quasi fuori posto. E poi, frase dopo frase, rompe il muro. Il dolore irrompe nella scena come una slavina.

"Sì, sì, meglio. Molto meglio." Una bugia detta a sé stessa. M’Lynn prova a rassicurare gli altri, ma più ancora, cerca di autoconvincersi. La ripetizione (“sì, sì... molto meglio”) è il classico meccanismo di autodifesa verbale, usato per prendere tempo, per non affondare subito. "Potrei correre in Texas e ritorno, ma mia figlia no; non ha mai potuto farlo." Qui avviene il passaggio cruciale. Il confronto tra il corpo vivo e il corpo che non c’è più. Lei, madre, sente un’energia nervosa, quasi rabbiosa, mentre sua figlia — giovane, nel pieno della vita — è morta. L’assurdità biologica della cosa la lacera.

"Sono così infuriata che non so neanche cosa fare. Voglio sapere perché. Voglio che qualcuno mi dica perché Shelby non c’è più." Questa è la richiesta impossibile: una spiegazione. Non quella religiosa, né quella scientifica. Vuole una ragione emotiva, umana. Vuole che qualcuno dia un senso alla tragedia, sapendo già che nessuno può farlo. È un grido di disorientamento, non una vera domanda. "Come farà quel piccolo sapere quanto meravigliosa era sua madre? Riuscirà mai a rendersi conto di quello che ha sopportato per lui?" Il dolore della madre si estende al futuro del nipote. Un futuro privo di memoria diretta. Questo passaggio aggiunge una dimensione ancora più profonda: il dolore non è solo per ciò che è stato perso, ma per ciò che non potrà mai essere.

"Non capisco. Signore, vorrei poter dire che non capisco." Una frase potentissima. Qui M’Lynn sta dicendo, in sostanza: “Capisco fin troppo bene. So come funziona la vita, e proprio per questo non riesco ad accettarla.” È la consapevolezza a renderle impossibile il perdono o la consolazione. "Sarei dovuta andarmene io per prima; sono sempre stata pronta ad andarmene per prima." Il senso del dovere materno qui diventa sacrificio. Lei era pronta, lei avrebbe accettato, ma la vita non ha rispettato quella logica. E questo squilibrio le toglie il terreno sotto i piedi.

"Non posso sopportarlo. Vorrei poter picchiare qualcuno fino a fargli provare il dolore che sto provando io. Io… ho solo voglia di colpire qualcuno… e colpirlo forte." La rabbia arriva al culmine. Non è rabbia diretta a qualcuno in particolare: è la furia pura del dolore che non trova uno sfogo. La voglia di colpire è simbolica: M’Lynn vorrebbe trasferire fisicamente la sua sofferenza a qualcun altro, perché è troppo per lei sola.

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