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~ LA REDAZIONE DI RC
Il cinema è una macchina del tempo. Ogni film è una finestra su un’epoca, un riflesso delle idee, delle tecnologie e delle sensibilità artistiche che lo hanno generato. Guardando i film che hanno segnato la storia del cinema, possiamo osservare non solo l’evoluzione del linguaggio cinematografico, ma anche i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici che hanno trasformato il modo in cui raccontiamo e viviamo le storie.
Ci sono film che hanno introdotto innovazioni tecniche rivoluzionarie, altri che hanno ridefinito il concetto stesso di narrazione. Alcuni hanno lasciato un’impronta indelebile nella cultura popolare, altri hanno cambiato per sempre il modo in cui pensiamo al cinema. Ogni grande film è il risultato di un momento storico preciso, di scelte artistiche coraggiose e di attori, registi e sceneggiatori che hanno saputo trasformare il loro tempo in immagini indimenticabili.
Questa rubrica esplora quei film che, per un motivo o per un altro, hanno lasciato un segno nella storia del cinema. Opere che hanno cambiato il modo in cui il pubblico guarda il grande schermo, influenzato generazioni di cineasti e ridefinito i confini di ciò che il cinema può essere.
Il film di oggi è...
Quando nel 1945 esce Roma città aperta, l’Italia è appena uscita dalla guerra. Le città sono ancora sventrate dai bombardamenti, il tessuto sociale è lacerato, la fame è realtà quotidiana. In questo contesto, Roberto Rossellini gira un film, senza rendersi forse conto che sta creando una nuova idea di cinema, dando vita a quello che diventerà il Neorealismo italiano.
Girato in gran parte per le strade di Roma, tra palazzi sventrati e interni reali, con una troupe ridotta, pellicole recuperate di fortuna e attori in parte non professionisti, Roma città aperta è l’opera che inaugura un modo radicalmente nuovo di raccontare la realtà. Non più costumi e studi, ma la verità, cruda, diretta, senza filtro.
Eppure, non è un documentario. È un film drammatico, attraversato da tensioni morali, da personaggi che diventano simboli e da una narrazione potentissima. Il risultato è un’opera che, ancora oggi, scuote e commuove. E’ uno di quei rari film che cambiano per sempre il modo di fare cinema.
Roma, 1944. La città è occupata dai nazisti, formalmente “città aperta” (cioè neutrale), ma in realtà sottoposta a rastrellamenti, torture, delazioni. È una città dove la Resistenza si muove nell’ombra e ogni gesto può costare la vita.
Il protagonista è Giorgio Manfredi (Marcello Pagliero), nome di battaglia di un dirigente comunista della Resistenza. Ricercato dalla Gestapo, cerca rifugio con l’aiuto di Don Pietro Pellegrini (Aldo Fabrizi), un prete di quartiere che diventa complice attivo dei partigiani.
Attorno a loro si muovono altri personaggi:
Pina (Anna Magnani), promessa sposa di Francesco, un altro resistente, donna passionale, simbolo di una maternità dolente ma combattiva.
Laura, attrice che tradisce Manfredi per denaro.
Il Maggiore Bergmann, ufficiale nazista freddo e colto, che rappresenta la razionalità del Male.
La trama si dipana tra nascondigli, arresti, interrogatori e tradimenti. Don Pietro viene catturato e fucilato. Manfredi viene torturato a morte. La scena più iconica è però quella di Pina che corre dietro al camion dei tedeschi che porta via Francesco, e viene abbattuta da una raffica di mitra davanti al figlio.
È una scena girata con una semplicità devastante: un campo lungo, un grido, un colpo, un corpo che cade sull’asfalto. È la prima morte iconica del cinema neorealista, ed è anche la rappresentazione di un’Italia che cade e si rialza, proprio come lei.
Rossellini girò recuperando pellicola di vario formato, senza possibilità di doppiaggio completo, sfruttando le strade reali della città e coinvolgendo attori presi dal teatro, dalla strada, o professionisti in cerca di ripartire.
Aldo Fabrizi era noto come comico, ma Rossellini gli affida il ruolo drammatico e commovente del prete partigiano. Anna Magnani era attrice teatrale e di rivista, e qui trova il ruolo della consacrazione definitiva, un’interpretazione che brucia di verità. Il modo in cui cade, colpita dai proiettili, non è recitazione: è carne, è urlo, è Storia che diventa immagine.
La fotografia è sgranata, imperfetta. Le inquadrature spesso statiche, costrette dalle condizioni tecniche. Ma proprio questa imperfezione formale diventa autenticità visiva. È il primo film italiano che non cerca l’estetica, ma la realtà. E la realtà, in quel momento, non è bella: è cruda, dolorosa, piena di macerie e dignità.
Temi: resistenza, fede, tradimento
Il cuore del film è la lotta tra oppressione e libertà. Ma Rossellini non la racconta in termini astratti. La mette nel corpo dei personaggi, nella quotidianità del vivere sotto occupazione. Ogni scelta – nascondere qualcuno, dire una parola in più o in meno, fidarsi o no – diventa questione di vita o di morte.
Pietro: Figura centrale del film e del suo messaggio. Don Pietro è il punto di contatto tra religione e Resistenza, tra fede e giustizia. Non è un santo, è un uomo comune, con la sua ironia, il suo realismo. Ma nel momento in cui viene fucilato dai nazisti e rifiuta di benedire chi lo uccide, diventa simbolo di una spiritualità che si mette al servizio degli oppressi, non del potere.
Pina: Donna del popolo, madre, incinta, piena di rabbia e amore. La sua morte è il momento emotivo più alto del film, il punto in cui il cinema smette di raccontare e inizia a testimoniare. È l’Italia che non vuole più essere spettatrice della propria storia, ma vuole reagire, a costo della vita.
Rossellini non idealizza la Resistenza. Mostra anche le ombre: Laura, l’attrice corrotta, tradisce per vanità e denaro. La paura è tangibile. È un film pieno di zone grigie, dove nessuno è eroe per professione, ma solo per scelta. E dove si può anche scegliere di non essere nulla.
Con Roma città aperta, nasce ufficialmente il Neorealismo, quel movimento che cambierà la storia del cinema mondiale. Il Neorealismo non è solo uno stile, è una scelta morale: guardare la realtà, senza mitizzarla, senza edulcorarla, senza separarla dalla vita vera.
Caratteristiche che qui compaiono e diventeranno tratti distintivi:
Attori non professionisti, accanto a interpreti teatrali.
Riprese in esterni, nelle strade, tra le rovine.
Trame minime, ma capaci di riflettere un’intera epoca.
Assenza di eroismo spettacolare, ma presenza costante dell’umano.
Rossellini, De Sica, Visconti, Zavattini e altri porteranno avanti questa eredità nei film successivi. Ma tutto nasce da qui. Roma città aperta è l’atto di nascita di un cinema nuovo, più povero nei mezzi, ma infinitamente più ricco nel significato.
Un impatto internazionale enorme
Il film fu accolto con enorme entusiasmo all’estero, soprattutto in Francia, dove venne visto come una rinascita morale del cinema europeo. Vinse il Grand Prix al Festival di Cannes nel 1946, e fu tra i film che spinsero la critica e i registi francesi a riflettere sul ruolo sociale del cinema.
Negli Stati Uniti fu apprezzato da una parte del mondo intellettuale, ma anche frainteso da chi vedeva nel film un’opera comunista o anti-americana (nonostante gli Alleati siano totalmente assenti nella storia). Il film parlava con una lingua nuova, e non tutti erano pronti ad ascoltarla.
Ma il suo impatto sulla storia del cinema fu immediato. Orson Welles lo definì “il film che ha resuscitato il cinema”. Godard dirà più avanti: “Rossellini è stato tutto. Senza di lui, non ci saremmo stati noi.”
Roma città aperta non è solo un film sulla guerra. È un film sulla dignità, sulla possibilità di resistere, anche quando tutto intorno crolla. È la rappresentazione di un’Italia che, uscita dal fascismo e dalla devastazione, cerca se stessa nella verità, e non più nella finzione.
Con Rossellini, il cinema italiano smette di sognare palazzi dorati e principesse in cartapesta. Comincia a camminare tra le strade, a parlare con la gente vera, a usare la macchina da presa come strumento per capire, ricordare, scegliere.
Un film che continua a interrogare lo spettatore: cosa faresti tu, al posto di Don Pietro? Al posto di Pina? Al posto di Manfredi?
Il cinema, da quel momento in poi, non sarà più intrattenimento e basta. Laddove possibile, sarà anche coscienza.
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