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~ LA REDAZIONE DI RC
Con Sandokan (2025) – Episodio 6, “Nel buio” la serie entra nella sua zona più dolorosa: non solo la giungla come territorio ostile, ma la memoria come campo di battaglia. È una puntata che lavora sul tema della cecità in senso fisico e interiore, sull’idea di profezia come strumento di potere, e su una rivelazione che ribalta tutto: il massacro del popolo di Sandokan è legato agli inglesi, al Sultano… e al padre di Marianna. Qui trovi la trama completa e, soprattutto, la spiegazione del finale e delle sue implicazioni.

Murray e Brooke seguono le tracce di Sandokan lungo la riva del fiume, segni freschi di passaggi e colluttazioni che li riportano alla radura dove, giorni prima, Sandokan era stato catturato dai Dayak. Nel villaggio, intanto, Sandokan vive la sua condizione più fragile: non vede. Marianna cerca di curarlo come può, con una cura concreta e affettuosa, mentre il capotribù comunica la decisione del giorno: oggi andranno a caccia. E la guida di Sandokan non sarà un guerriero Dayak, ma proprio Marianna. Yanez è inquieto, sente l’aria tesa e non si fida del capo dei guerrieri, che odia Sandokan e considera la profezia una favola utile solo a chi vuole comandare. Nel frattempo la gente del villaggio si stringe attorno a Sani: vogliono sapere com’è la vita alle miniere, vogliono la verità. Messa alle strette, Sani racconta tutto senza addolcirlo: il popolo è trattato come schiavo, come bestiame, come animali da lavoro. La rabbia monta e il capo guerriero vorrebbe reagire subito, attaccare gli schiavisti, ma Sani continua a credere nella profezia che Lamai ripeteva: Sandokan è il salvatore. Il capotribù li spegne entrambi: niente guerra oggi, si caccia. È una scelta che sembra prudenza, ma sa anche di controllo.
Mentre gli uomini del Sultano si avvicinano sempre di più al villaggio, Brooke e Murray trovano tracce sempre più precise della presenza di Sandokan e della sua gente. Yanez, dal canto suo, osserva ogni gesto del capo guerriero e non nasconde la sua diffidenza: teme che l’odio del guerriero prima o poi esploderà in un tradimento. Nella giungla Sandokan, guidato da Marianna, impugna una cerbottana. È un’immagine potente: la Tigre della Malesia costretta a cacciare senza occhi, affidandosi alla voce di lei. E proprio mentre Marianna lo guida, Sandokan ha una visione: suo padre gli insegna a usare quell’arma, come se il corpo ricordasse prima della mente. Sotto gli occhi increduli del capo guerriero, Sandokan riesce a colpire e uccidere un uccello: un gesto piccolo, ma simbolico, perché dimostra che “qualcosa” in lui sa già come muoversi in quel mondo, come se l’appartenenza fosse scritta nei muscoli e non nei racconti. Nel frattempo, a poca distanza, gli uomini del Sultano catturano una famiglia Dayak. È una scena che rende concreta la minaccia: non stanno cercando “dei pirati”, stanno distruggendo un popolo. Nottetempo al villaggio i Dayak condividono il cibo e la serata assume un tono quasi domestico. Il capotribù prende in giro Marianna perché ripete “grazie” in continuazione: per loro, abituati a condividere e sopravvivere insieme, il ringraziamento è quasi superfluo, un concetto “straniero”. Poi Marianna va da Sandokan e lo sfama, e mentre gli sfiora la mano Sandokan ha un’altra visione: la notte dell’assalto, suo padre che si prepara ad andare in guerra, la sensazione che quella sia stata l’ultima vera alba di un mondo ormai perduto. In paese si diffonde la notizia che una famiglia è sparita. Marianna e Sani percepiscono subito il pericolo, ma il capotribù è categorico: nessuno si muoverà a cercarli. È una decisione che pesa come una condanna. Intanto gli uomini del Sultano torturano la famiglia catturata finché questa confessa la posizione del villaggio. Brooke e Murray assistono da lontano e li seguono, osservando l’orrore senza poterlo ignorare. Murray è disgustato dai soldati: non è solo violenza, è disumanizzazione sistematica.
Nel villaggio, però, la puntata concede un momento luminoso, quasi sospeso. I bambini capiscono che tra Marianna e Sandokan c’è attrazione e li guidano, ridendo, fino a una radura con una cascata meravigliosa. Ripetono una parola Dayak che Marianna capisce a metà, ma il senso è evidente: “innamorati”. Dopo un po’ Marianna smette di trattenersi e bacia Sandokan con passione. Lui ricambia. È un bacio che non nasce da un ballo o da un corteggiamento: nasce dal buio, dalla paura, dal bisogno di ancorarsi a qualcosa di vero. Al villaggio, però, il capo dei guerrieri torna a mordere. Vuole andare a cercare la famiglia scomparsa e sputa veleno sulla profezia: l’“uomo della profezia”, invece di liberare il suo popolo, si “spassa” con una straniera. In parallelo, Sandokan viene travolto da un ricordo più grande: vede suo padre come vincitore di una guerra e, alla cerimonia di vittoria, riconosce una presenza che lo lacera. C’è il capotribù. Questo significa una cosa sola: quell’uomo sa più di quanto dica. Deve delle risposte a Sandokan, e non sono risposte leggere. Gli uomini del Sultano si avvicinano al villaggio, guidati da una donna Dayak costretta a farlo. Ma proprio quando arrivano in una zona di sabbie mobili, la donna sceglie la morte alla schiavitù: avanza e si lascia inghiottire dalle sabbie pur di non tornare a vivere in catene. I soldati reagiscono minacciando le sue figlie, ma Brooke e Murray intervengono: salvano le bambine e uccidono i soldati. Le piccole scappano nella giungla, portandosi dietro un’urgenza che farà detonare la parte finale dell’episodio. Intanto Sandokan recupera la vista. È un ritorno improvviso, quasi miracoloso, e lo usa subito per affrontare il capotribù. L’uomo gli dice che il giorno dopo incontrerà suo padre e compirà la profezia. Yanez, però, non ci crede. Ha paura che Sandokan venga manipolato, che la profezia sia una gabbia costruita da chi vuole guidarlo come un’arma. Sandokan, invece, è deciso: ora deve arrivare in fondo. Yanez prova a farlo ragionare, parla del popolo Dayak e di quanto siano esposti. Racconta anche qualcosa di personale: confessa a Sandokan perché ha smesso di essere prete, e quanto sia pericoloso ciò che sta accadendo attorno a quel villaggio. Ma Sandokan è irremovibile. Tra i due si crea una frattura che non è semplice discussione: è una separazione emotiva e ideologica. Si dividono. Sandokan parte da solo, dopo essersi salutato con amore da Marianna, mentre Yanez resta con un senso di presagio addosso.
Sandokan e il capotribù entrano in territorio Cayan. Arrivano a un villaggio abbandonato e in macerie, segnato dal fuoco. Il capotribù lo invita a usare “gli occhi interiori”, come se il viaggio non fosse più geografico ma spirituale. Sandokan viene risucchiato in una visione dal passato: vede i suoi genitori, vede suo padre, la notte in cui arrivarono gli inglesi. E vede una cosa che spezza ogni certezza: in mezzo a quel plotone c’è un giovane Murray. Il padre dona a Sandokan il ciondolo della tigre, come ultimo atto di identità prima della fine. Poi la visione diventa massacro: Sandokan vede il suo popolo trucidato, compresi i suoi genitori. E in quella scena compaiono i volti del potere: un giovane Murray, un giovane console, un giovane Sultano, in mezzo agli inglesi. Sandokan è devastato. Il saggio parla della profezia della tigre che caccerà gli invasori e ribadisce che il capo atteso non era suo padre: è Sandokan. Ma l’ultima rivelazione è quella che distrugge il cuore dell’episodio: l’assassino di suo padre è il padre di Marianna. Torniamo al villaggio: Sani e Marianna parlano della relazione tra Marianna e Sandokan e, per un attimo, trovano una leggerezza rara. Nuotano, ridono, provano a respirare. Ma Sandokan rientra e porta addosso la tempesta: è scuro in volto, cambiato. In quel momento arrivano anche le bambine salvate da Brooke e Murray, raccontano ciò che è successo, dicono che bisogna chiamare Sandokan perché gli uomini del Sultano sono vicini. Ma Sandokan ha un pensiero che brucia più della paura: la verità.
Senza mezzi termini dice a Marianna quello che ha visto: suo padre è coinvolto, suo padre è responsabile, suo padre è l’uomo che ha ucciso il padre di Sandokan. E la lascia. La scena è una frattura netta: non è un litigio, è un taglio. Ma mentre discutono arrivano Brooke e Murray: hanno raggiunto il villaggio seguendo le tracce e l’onda di sangue. Salvano Marianna e provano ad arrestare Sandokan. Sandokan sta per essere catturato, ma un’ultima visione lo blocca: ricorda il passato, ricorda il momento in cui un uomo lo salvò… e quell’uomo era Murray, da giovane. È un riconoscimento paradossale: uno dei nemici di oggi è anche una delle figure del suo passato. Sandokan capisce che non è finita, colpisce Murray e scappa. Il finale si chiude così: Marianna resta con Brooke, mentre Sandokan fugge da solo nella giungla, portandosi dietro una verità che brucia e un destino che si sta stringendo attorno a lui.
Il finale dell’episodio 6 è un triplo terremoto narrativo: identitario, sentimentale e politico. Identitario, perché Sandokan completa la fase più importante del suo viaggio interiore: non solo recupera la vista fisica, ma “vede” la scena originaria del trauma, il genocidio del suo popolo. La profezia della tigre smette di essere una leggenda e diventa un mandato: non è un’idea romantica, è una risposta a un massacro reale. E la rivelazione che tra gli inglesi ci fossero il Sultano e persino un giovane Murray indica che la tragedia non è stata un incidente: è stata una manovra di potere, una pulizia, un’operazione storica. Sentimentale, perché la relazione con Marianna viene spezzata proprio nel momento in cui sembrava diventare autentica. Il bacio alla cascata non è un “momento romantico” fine a se stesso: è la prova che tra loro sta nascendo un legame vero. Per questo la rivelazione è devastante: Sandokan non può più guardarla senza vedere il padre di lei in mezzo al sangue dei suoi. Il dramma non è “Marianna colpevole”, ma Marianna intrappolata: lei non ha commesso nulla, ma è figlia di un sistema e di un uomo che ha costruito la sua felicità sulla distruzione di altri. Il finale li separa perché, a livello narrativo, la serie deve portarli in una zona più adulta: non l’amore come fuga, ma l’amore come conflitto con la Storia.
Politico, perché la puntata chiarisce che la guerra nella giungla non è solo Brooke contro pirati o Sultano contro ribelli: è una guerra di narrazioni e responsabilità. Brooke “salva” le bambine e Murray è disgustato dalla tortura: la serie sta aprendo una crepa dentro il blocco coloniale, mostrando che non tutti i britannici sono identici nel modo di guardare la violenza. Eppure, proprio Murray è presente nel passato di Sandokan: è l’uomo che lo ha salvato e al tempo stesso è diventato un inseguitore. Questo crea un antagonista complesso, moralmente ambiguo, e prepara un futuro in cui il conflitto non sarà più “buoni contro cattivi”, ma individui che scoprono di essere stati ingranaggi di una macchina più grande. La rivelazione decisiva resta quella sul padre di Marianna: è il colpo che ribalta la serie. Fin qui Marianna era il ponte tra mondi. Ora diventa anche il punto di frattura: la persona che Sandokan ama e la prova vivente del sistema che gli ha tolto tutto. Il finale, con Sandokan che scappa e Marianna che resta con Brooke, mette in scena la nuova mappa emotiva della storia: Sandokan da solo con la profezia e la vendetta, Marianna dentro il mondo coloniale ma con una ferita nuova, Brooke vicino a lei ma sempre più coinvolto in una caccia che non è più solo dovere. E la visione su Murray suggerisce che Sandokan non potrà risolvere tutto con la spada: dovrà capire chi era davvero Murray allora, perché lo salvò, e cosa significa oggi colpirlo e fuggire.

“Nel buio” è l’episodio in cui Sandokan (2025) smette di parlare solo di fuga e inseguimenti e comincia a parlare di colpa, memoria e verità. La giungla non è più solo un posto: è un archivio vivente che restituisce a Sandokan ciò che gli era stato tolto, anche a costo di spezzarlo. Il finale, con la rivelazione sul padre di Marianna e la fuga solitaria di Sandokan, prepara il passaggio più duro: quando scopri chi sei e da dove vieni, non puoi più tornare indietro. E la Tigre della Malesia, da questo momento, non è più soltanto un simbolo: è una ferita che cammina.

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