Sandokan – Episodio 3 “In ostaggio”: trama completa e spiegazione del finale

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~ LA REDAZIONE DI RC

Sandokan – Episodio 3 “In ostaggio”: trama completa e spiegazione del finale

Nel terzo episodio di Sandokan, intitolato “In ostaggio”, la serie alza l’asticella del conflitto morale: non ci sono più solo pirati contro inglesi, ma persone intrappolate nei propri debiti, nella fede perduta, nelle colpe dei padri. In questo articolo trovi la trama completa dell’episodio 3 e la spiegazione del finale, con un focus su Yanez, Marianna, Sandokan e il tema dell’ostaggio, non solo fisico, ma anche interiore. 

Trama completa da "In ostaggio"

L’episodio si apre lontano dal mare, in un flashback ambientato in Paraguay nel 1825. In una chiesa in fiamme, alcuni fedeli pregano davanti a un crocifisso, mentre i soldati inglesi saccheggiano e uccidono senza pietà. Tra i presenti c’è Yanez, ancora prete. Un altro sacerdote riesce a salvare solo il calice dell’ostia, ma viene freddato da un inglese davanti ai suoi occhi. Sconvolto, Yanez afferra una pietra, pronto a reagire, ma una ragazza lo blocca con lo sguardo: è un momento sospeso, in cui il sacerdote è ancora diviso tra la non-violenza della fede e il richiamo alla vendetta.

Torniamo al presente: sul praho di Sandokan, la ciurma è diretta alle miniere di antimonio. Sani non si accontenta del patto: per lei non basta liberare solo il fratello, ma tutti gli schiavi delle miniere. Sandokan, però, è concentrato sulla missione e sulle urgenze immediate: Yanez sta peggiorando, la ferita si è infettata e il rischio di perderlo è concreto. Per salvarlo, Sandokan fa slegare Marianna e le ordina di curarlo, minacciandola: se non collaborerà, non rivedrà mai più suo padre. La ragazza è sorpresa dal tono e dalla lucidità del pirata, ma non ha scelta. Individua la cura: una muffa particolare che cresce su una pianta nelle foreste lì vicino. Marianna osserva Sandokan e Yandez da lontano, cominciando a cogliere la loro complicità e l’umanità nascosta sotto la superficie del pirata.

Al consolato inglese, il console e Brooke cercano di dare un senso alla fuga e al rapimento. Murray mette insieme i pezzi: Sandokan è scappato con una mappa, diretto verso il Borneo. Il console decide che Brooke partirà, affiancato da due uomini del Sultano del Borneo/Brunei, per rintracciare il praho e riportare indietro Marianna. Intanto, Marianna tenta di manipolare Sani in piena foresta: le promette che suo padre la ricompenserà se la aiuta a fuggire. Ma Sani non vuole più collaborare con lei: la fiducia è crollata.

La ciurma non vuole Marianna a bordo, è un rischio, una presenza ingombrante e pericolosa, ma Sandokan la mette sotto la sua protezione diretta. La nave di Brooke è pronta a salpare. Lui si congeda dalla sua serva, con cui ha un legame personale intenso, promettendole che al suo ritorno il consolato sarà “casa loro”. Sulla nave salgono anche i due uomini del Sultano, che però in realtà hanno altri ordini: il Sultano non vuole davvero aiutare Brooke, sapendo che, se fallirà, il console non potrà perdonarlo facilmente. Brooke parte, convinto di avere alleati, ma è già circondato dal tradimento. Nella foresta, Marianna si allontana per andare “in bagno”. Dietro un riparo, strappa un pezzo del suo vestito, si taglia volontariamente e usa il sangue per scrivere qualcosa sul tessuto. Nel momento in cui la vediamo, non sappiamo ancora cosa c’è scritto. 

Sulla nave, Marianna continua a curare Yanez, mentre lui recita preghiere in latino e ha visioni del suo passato in Paraguay: la chiesa, il sangue, la violenza, il dubbio verso Dio che comincia a farsi strada. Nottetempo, sul veliero che insegue il praho, Murray e Brooke discutono delle loro differenze e di Marianna stessa. Più avanti, Murray racconta un episodio del passato della ragazza: da bambina, dopo una frase crudele della matrigna sulle linee della vita e della morte sul palmo della mano, identiche, presagio di una possibile folle sfortuna, Marianna si era tagliata la mano nel tentativo infantile di “allungare” la linea della vita. Questo dettaglio lega il suo gesto passato al taglio che abbiamo visto nel bosco: Marianna è una ragazza pronta a farsi male pur di riprendere il controllo del proprio destino.

Sul praho, Marianna affronta la realtà del lavoro da mozzo: viene derisa, osservata con sguardi maliziosi dalla ciurma.

Sandokan interviene, la porta nella propria cabina, le dà abiti più adatti sopra la vestaglia da notte, e arriva quasi a tagliarle i capelli per renderla meno riconoscibile. Marianna si oppone e preferisce legarli, preservando un minimo della sua identità. Di notte, quando tutti dormono, Marianna cammina sul ponte. Viene seguita da Yussuf, un pirata che la provoca e poi la aggredisce. Sandokan, sveglio, interviene immediatamente e chiama la ciurma. Ne nasce un duello: Yussuf tira fuori un coltello, ma Sandokan si rivela un combattente superiore. Marianna, in lacrime, è terrorizzata. Yussuf viene sconfitto, ma Sandokan non lo uccide. Yanez interviene con una frase chiave:

“Una vita per una vita.” La vita di Yussuf è salva. Il debito è aperto.

A casa, il console è distrutto dalla preoccupazione per Marianna. La matrigna, invece, è convinta che la ragazza sia scappata di sua volontà con il pirata, proprio come sua madre “pazza”. Quando la donna insinua che Marianna possa essere come lei, il console reagisce con uno schiaffo. È un momento in cui la violenza domestica si intreccia con lo stigma sulla follia femminile e mostra quanto sia fragile l’equilibrio familiare.

Sul veliero di Brooke, i due uomini del Sultano provano a depistarlo, ma lui non si lascia ingannare: sente che qualcosa non torna. In preda all’oppio, Brooke vaga sul ponte con un cannocchiale. Ed è lì che vede un drappo insanguinato di Marianna, abbandonato nella foresta. Solo ora lo spettatore legge chiaramente la parola scritta con il sangue:

“MINIERE”.

 Brooke capisce finalmente la destinazione di Sandokan: le miniere di antimonio.

Il praho dei pirati arriva alle miniere, e per la prima volta Marianna vede il “progresso” del padre dall’altro lato. Gli schiavi lavorano in condizioni disumane, sotto terra, tra crolli, fatica e morte. L’antimonio, ricchezza per l’impero, è costruito sulla pelle del popolo oppresso. Marianna è sconvolta. Sani lo è ancora di più: agli occhi della ragazza, Sandokan è colpevole tanto quanto gli inglesi, perché si arricchisce rubando sullo stesso sfruttamento del suo popolo. Yanez e Marianna parlano: lei gli confida che sua madre era credente, come lui un tempo, e gli chiede pietà, implorando di lasciarla andare. È un confronto tra fede tradita e richiesta di misericordia. Nottetempo, Sandokan guida l’infiltrazione nelle miniere con la sua ciurma. Sani riesce finalmente a ricongiungersi con il fratello, mentre i pirati sgominano gli schiavisti. Qui arriva il colpo di scena: Sandokan rivela la sua vera intenzione non solo liberare il fratello di Sani, ma tutti gli schiavi delle miniere. Il pirata si rivela ancora una volta ambiguo: vive di razzie e violenza, ma ha un codice etico che lo distingue sia dagli inglesi che dagli schiavisti locali. Sul praho, lasciato di vedetta, il pirata più giovane avvista l’immenso veliero di Brooke, guidato dal segnale di Marianna.

Capito che Brooke li ha raggiunti, Sandokan improvvisa un piano: qualcuno deve depistarlo, fuggendo con lo scafo degli schiavisti carico di antimonio. I suoi occhi si posano su Yussuf: “Una vita per una vita.” Questa volta la frase assume un altro significato: se Yussuf accetterà di guidare lo scafo-esca, rischiando la pelle, potrà redimersi agli occhi della ciurma per il tentato abuso su Marianna. È il prezzo da pagare per la vita che Sandokan gli ha risparmiato la notte prima. Yussuf accetta e si impadronisce dello scafo.

Nel frattempo, Sani prova a liberare il fratello. Lui la spinge a non ostinarsi: la convince ad andare con i pirati, a salvarsi, lasciando lui indietro. Sani viene trascinata via in lacrime, segnata dal senso di colpa e dall’impotenza. Brooke vede il veliero con l’antimonio che si allontana, ma non morde l’amo. Intuisce che è un trucco per depistarlo e fa aprire il fuoco con i cannoni. Sandokan, per un momento, crede che il piano stia funzionando. Ma sulla terraferma, una volta tornato verso gli schiavi, viene colto di sorpresa da Brooke, che ormai l'ha raggiunto. I soldati inglesi circondano i pirati: Sandokan è a tiro.

Mentre tutto sembra perduto, Yanez emerge, tenendo Marianna con una pistola puntata alla tempia. La situazione si ribalta: non è più solo Marianna ostaggio di Sandokan, ma Brooke ostaggio della vita di Marianna. I soldati, terrorizzati all’idea di ferirla, gettano le armi. Anche Brooke, dopo un attimo di esitazione, abbassa la sua. È il gesto più spregiudicato di Yanez: un ex uomo di fede che non esita a usare una ragazza come scudo umano. Sandokan può così fuggire con la ciurma e con Marianna ancora prigioniera, urlando “Ci vediamo a Singapore!” a Brooke.

Spiegazione del finale dell’episodio 3

Sandokan annuncia il piano: chiedere un riscatto al console in cambio della figlia. La prossima destinazione è Singapore. Marianna è disgustata da Yanez: non riesce ad accettare che un ex sacerdote possa usare la sua vita come arma di ricatto e fidarsi ciecamente di un pirata come Sandokan. Lui però è sereno, quasi cinico: secondo Yanez, Marianna può lamentarsi quanto vuole, ma è viva proprio grazie a quella scelta. A questo punto torniamo ai ricordi del Paraguay: vediamo finalmente Yanez compiere il gesto che aveva esitato a fare all’inizio. Impugna la pietra e uccide il soldato inglese che lo minacciava. Poi, rivolgendosi ai fedeli, pronuncia una frase che lo segnerà per sempre: “Dio ci ha abbandonato.” Quel momento sancisce la sua trasformazione: da semplice prete a uomo pronto a usare la violenza in nome della sopravvivenza e della ribellione. Nel presente, accanto a Marianna, Yanez sussurra: “Se Dio esiste, è un po’ distratto.” Poi si allontana verso prua.

L’episodio si chiude su questa nota amara e lucidissima.

Il finale dell’episodio 3 mette al centro una parola chiave: ostaggio. Marianna è ostaggio due volte: fisicamente del pirata, ma anche moralmente delle azioni di suo padre. Alle miniere, per la prima volta, vede il “progresso” inglese dal punto di vista degli sfruttati. La sua identità di “figlia del console” si incrina: ciò che ha sempre dato per scontato (la civiltà, l’ordine, il potere coloniale) ora appare come violenza mascherata. Sandokan è ostaggio della sua leggenda e dei suoi giuramenti. Ha promesso a Sani di liberare il fratello, a Yandez di non abbandonare la ciurma. È costretto a tenere insieme onore, strategia, sentimento verso Marianna e odio verso gli inglesi. La decisione di liberare tutti gli schiavi mostra un codice morale che lo avvicina più a un ribelle che a un semplice pirata.

Yanez è ostaggio del proprio passato e del suo rapporto con Dio. Il flashback in Paraguay e le frasi “Dio ci ha abbandonato” e “Se Dio esiste, è un po’ distratto” raccontano la storia di una fede tradita dal silenzio davanti al male. In Paraguay, il sacerdote indeciso sceglie la violenza per difendere i fedeli. Nel presente, quell’uomo di fede è diventato un realista spietato: preferisce salvare la vita di Marianna con un gesto moralmente ambiguo (usarla come scudo) piuttosto che restare coerente con una morale astratta. Il suo messaggio è chiaro: in un mondo dominato da imperi e cannoni, Dio non basta; bisogna sporcarsi le mani.

Brooke è ostaggio del fallimento. Deve dimostrare al console di essere all’altezza, ma è circondato dai doppi giochi del Sultano e dalla superiorità tattica di Sandokan. Quando getta le armi per salvare Marianna, perde la battaglia militare ma ne guadagna una sul piano umano: mostra di tenerci a lei più del proprio orgoglio.

Yussuf incarna letteralmente il principio “una vita per una vita”. La prima volta, quella frase è una misericordia: la sua vita viene risparmiata grazie a Marianna. La seconda volta, diventa un debito da pagare: rischia (e probabilmente sacrifica) la sua vita per aiutare la ciurma a fuggire. È una forma di giustizia pirata: ruvida, brutale, ma coerente.

Conclusione

Il terzo episodio di Sandokan, “In ostaggio”, è un capitolo di svolta: trasforma un semplice rapimento in una riflessione su chi appartiene a chi, su quanto conti una vita in un sistema che calcola solo profitti, miniere e mappe. Il finale, con Marianna usata come ostaggio e il flashback in Paraguay, ci dice che non esistono più “buoni” e “cattivi” semplici: esistono persone ferite che provano a sopravvivere, scegliendo ogni volta tra morale e necessità.

La rotta per Singapore promette non solo un nuovo scenario, ma un’ulteriore escalation emotiva e politica, con Marianna al centro di un conflitto che ormai è molto più grande di lei.

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