2001: Odissea nello spazio - 57 anni fa esordiva uno dei massimi capolavori del cinema

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Articolo a cura di...


~ CLAUDIA LAZZARI

Da dove partire?


Da una definizione? Epopea sul mistero della vita? Celebrazione della conoscenza umana? Esperienza visiva della contrazione temporale?

“2001: Odissea nello spazio” è tutto quanto un’opera artistica cinematografica possa essere.


E’ un’avventura percettivo-sensoriale, carente di parola, trascinata da una fenomenologia corporea - legata all’occhio - che trasporta il protagonista e gli spettatori in dimensioni alternative. La sua storia è L’Archetipo fantascientifico, le sue immagini sono la Bibbia della Fotografia, il suo concepimento è la Legge della Regia.


Odissea nello spazio di Stanley Kubrick esordisce nelle sale cinematografiche il 2 aprile 1968.


La pellicola, divisa in episodi, descrive la nascita della nostra forma di vita. L’evoluzione della scimmia in essere umano, la trasformazione dell’intelligenza artificiale in conoscenza e coscienza pseudo umana, il passaggio dal nostro spazio ad una dimensione alternativa dell’esistenza, nella quale si ritorna, dalle quale si arriva e nella quale ci si trasforma.

La causa o, dal nostro punto di vista, il testimone di questi passaggi epocali è un monolito nero che vediamo comparire improvvisamente nella savana, senza scoprirne mai l’origine. Esso è circondato da scimmie. Una di queste scopre che un osso può diventare un’arma e questa consapevolezza è la miccia dalla quale scaturiscono la sottomissione delle altre scimmie, la possibilità di cibarsi di carne e la capacità di uccidere. La natura viene sottomessa, nella fase primordiale del concetto di sottomissione, all’uomo.

Dopo alcuni stadi evolutivi, uno scienziato americano intraprende un viaggio verso la luna: sotto una delle basi di insediamento è stato scoperto un monolito nero, che emette potentissimi fiotti energetici di luce in direzione di Giove. Gli studiosi sono certi che la pietra abbia quattro milioni di anni e che sia stata volontariamente seppellita da qualcosa.


Così, l’astronave“Discovery” viaggia alla volta di Giove per esplorare quanto di sconosciuto il mondo interstellare ha da offrire alla visione esistenziale della nostra creazione ed evoluzione. Discovery è dotata di un computer, HAL, la mente elettronica più perfetta mai costruita, che conosce l’obiettivo da perseguire. Tre membri dell’equipaggio sono ibernati, altri due sono alla guida del mezzo. L’andamento del viaggio cambia quando HAL commette un errore e i due astronauti alla guida decidono di disinnescarlo: la macchina si ribella. Uccide tutti i membri dell’equipaggio, tranne David Bowman, il nostro protagonista. Egli riesce a distruggere HAL e a continuare il suo viaggio, dopo la visione improvvisa del monolito al di fuori dell’astronave.

Non mi serve altro per passare al finale del film: il corridoio luminoso che si espande davanti agli occhi di David e ne inghiotte la navicella su cui era in viaggio; la precipitazione dell’astronauta nella corsia di luci psichedeliche e turbini colorati, nei raggi accecanti che cambiano forma di continuo. Il suo occhio sbarrato dallo stupore riflette un’esplosione dorata, prima di partecipare alla fine di quel viaggio sovrumano in una stanza completamente bianca. Il corpo sballottato sulle note del Danubio Blu di Johann Strauss figlio, che donano un effetto straniante, quello perfetto per l’esaltazione del bello attraverso il suo contrario.

Giunto a destinazione, David guarda fuori dalla navicella, attraverso l’oblò, per scoprire un uomo in tuta spaziale: è lui stesso, con qualche anno in più. Si imbatte, poi, nella sua versione anziana e nella sua versione morente, sacralmente vegliata dal monolito nero, nonché la sua versione embrionale, che diventerà poi astro che ritornerà verso la Terra, per esistere ancora e ancora. Letteralmente, una delle esperienze più sensazionali della storia del cinema. Una finzione che assumiamo a verità, una rappresentazione così giusta di quanto conosciamo sulla filosofia dell’esistenza da diventare più verosimile dell’Inferno Dantesco.


Kubrick esigeva dallo spettatore. Lo si sapeva allora e lo si sa soprattutto oggi, quando uno spettatore medio si accosta alla sua filmografia con la testa deflagrata dai prodotti attuali.


2001 Odissea nello spazio è un viaggio ipnotico attraverso la galassia, che ci porta alla scoperta dei “perché” e il monolito rappresenta un’entità divina, come potrebbe esserlo un’entità extraterrestre per noi: la conoscenza, che non abbiamo, e la ragione, che ci appartiene e che comporta tutti quegli eventi che accompagnano la nostra evoluzione, durante i quali la pietra è sempre presente. Esso ci induce e conduce al concetto nietzschiano dell’Eterno Ritorno, con un’aggiunta fondamentale: l’uomo nasce, cresce e muore, per poi rinascere, ma diventa uomo quando scopre la violenza.


Dalla violenza provengono evoluzioni e distruzioni, sempre e comunque, le dicotomie della nostra esistenza: sacro e profano, divino e terreno, distruggiamo per costruire e costruiamo per distruggere. E, con lo stesso ritmo, moriamo per rinascere e nasciamo per morire. Il tutto, nella pancia di una galassia che se fosse un essere pensante non ci percepirebbe neanche, a testimonianza del fatto che il nostro grande mistero del vivere e morire è solo una parte di un mistero ancora più grande.

L’OCCHIO


Dedicherò uno spazio di questo articolo alla figura dell’occhio, che rispecchia a pieno la dimensione filmica, metaforica e astronomica del film. HAL ha una pupilla rossa cerchiata da un alone, l’occhio di David che nell’ascesa alla stanza della verità viene irradiato da macchie luminose in movimento che sembrano descrivere il collasso di un astro, le forme astrali in sé, la visione artistica di un mezzo - quello cinematografico - che procede per immagini e questo, in particolare, che racconta quasi interamente solo per immagini. Inoltre, la forma della circonferenza caratterizza intere parti della storia: l’architettura delle navicelle spaziali, i pianeti e le orbite, la ruota in cui si trovano David e il suo vice, l’oblò della stanza bianca, il globo/placenta dell’embrione.

L’occhio simboleggia il canale della conoscenza, il passaggio tra mondi diversi, l’apertura e la chiusura alla vita, che in vita si apre e in morte si chiude.



LA STORIA


2001 Odissea nello spazio è stato scritto praticamente in contemporanea al suo romanzo omonimo, quello di Arthur C. Clarke. Lo scrittore fu contattato da Kubrick per ottenere un soggetto di fantascienza e i due crearono, in pratica, insieme il film e il libro.

L’ambiente spaziale è fedelmente riprodotto alla perfezione e la realtà visionaria sull’intelligenza artificiale, troverà lucida conferma (come possiamo ben notare oggi). Due anni prima dell’approdo dell’uomo sulla luna, Clarke e Kubrick rappresentano l’assenza di suoni nello spazio, l’assenza di gravità, l’identificazione vocale, le navicelle spaziali e le stazioni posizionate intorno alla terra, la videotelefonia. Le immagini successivamente trasmesse dalla Missione Apollo dimostreranno la straordinaria anticipazione fatta dal regista con la sua opera.


Per quanto riguarda il computer HAL 9000, se si cambia l’acronimo scegliendo per ogni lettera quella successiva, si ottiene la dicitura IBM, associata al primo computer della storia. Clarke ha sempre specificato che il fatto fosse casuale e che “HAL” sta per “Heuristic Algorithmic Computer”. Noi, però, non siamo dello stesso avviso: questa scelta rappresenta a pieno la critica che Kubrick lancia all’allora IBM che stava già monopolizzando le dinamiche del paese.


Nonostante la scrittura delle opere avvenne in contemporanea, su richiesta di Kubrick il libro fu pubblicato due mesi dopo l’uscita del film, per evitare di intaccare il processo immaginativo e interpretativo degli spettatori.

Le riprese del film iniziarono il 29 dicembre 1965 e finirono il 7 luglio 1966, la post-produzione durò due anni.

Curiosità e approfondimenti

Match cut: lo stacco colossale che scatta sulla sequenza dell’atterraggio dell’osso che ricade al suolo, dopo aver tramortito una scimmia, attacca su un nero abissale che ospita l’immagine della nave spaziale, sospesa nell’aria alla stessa altezza dell’osso. Questo è considerato il più famoso match cut della storia del cinema: uno stacco tra due immagini che ricopre milioni di anni e milioni di chilometri. La caratteristica principale di questa sequenza al montaggio è la continuità che lega i due momenti lontani attraverso analogie nelle immagini, in questo caso azioni analoghe, che sembrano una la continuazione dell’altra;


Dan Richter: nel costume della scimmia principale, si nasconde Dan Richter, coreografo quasi tutte le scene primitive. Le scimmie sembrano così verosimili che alcuni giurati degli Oscar non permisero al film di concorrere per la sezione di maschere e trucco. Gli ominidi sono mimi e ballerini, accompagnati da veri cuccioli di scimmia. La specie di ominidi doveva essere priva di indumenti, cosa infattibile per l’epoca, per cui fu scelta una forma primordiale degli australopitechi;


Front projection: è il sistema, all’epoca rivoluzionario, con cui sono state realizzate le prime inquadrature. Fu inventato dallo scrittore di fantascienza, William F. Jenkins e fu brevettata nel 1955 da Leinster. Il suo primo impiego, però, fu in 2001 Odissea nello spazio. Ci fu un unico effetto involontario col suo utilizzo, ovvero il luccichio negli occhi del ghepardo, ma a Kubrick l’effetto non dispiacque. Lo definì un “lieto incidente”;


Modellini della NASA: i satelliti, le orbite, la stazione spaziale e la nave sono riproduzioni di progetti della NASA mai realizzati e furono creati da veri ingegneri aerospaziali. Kubrick non voleva assolutamente che potessero essere copiati, quindi fece distruggere tutti i modellini prima ancora della fine del set. E’ tutto andato perduto;


Tibia o femore?: prima del lancio dell’osso, la scimmia tiene in mano un femore, quando poi in volo vediamo una tibia. L’errore fu di un operatore al quale Kubrick aveva chiesto di prendere un osso lanciato in aria nel cortile dei teatri di posa. Non prevista dal copione, questa scena entrerà a far parte del famoso match cut;


HAL, che nacque ATHENA…: inizialmente il computer doveva essere un apparecchio femminile, che simboleggiasse la dea della saggezza, ma poi Kubrick decise di disumanizzare la voce, proprio in virtù della protesta contro l’IBM;


La colonna sonora perduta: inizialmente, Kubrick ingaggiò Alex North per comporre la colonna sonora, il compositore con cui aveva già lavorato su Spartacus, ma alla fine nessun brano frutto del lavoro di anni fu trovato dal musicista alla proiezione del film. Tutto era stato sostituito da musica classica a sua insaputa, gettando l’artista in una profonda depressione. Anni dopo la morte di Kubrick, il suo meraviglioso lavoro per Odissea nello spazio fu reso noto al pubblico, grazie al lavoro del suo amico compositore Jerry Goldsmith. La colonna sonora che conosciamo contiene opere di Strauss jr. (Sul bel Danubio Blu), Strauss (Così parlò Zarathustra), Ligeti (Atmospheres) e Kachaturian. Ligeti, in particolare, fu entusiasta dell’impiego delle proprie opere all’interno del film, ma commenta molto duramente l’atteggiamento di Kubrick: «Meraviglioso è il modo in cui la mia musica è utilizzata nel film, lo è meno che nessuno mi abbia mai consultato e che non sia stato pagato. Ammiro l'arte di Kubrick, ma non il suo egoismo e il suo disprezzo per la gente». Un chiaro riferimento anche a quanto accaduto a North. Le scelte del regista, però, inconfutabilmente creano un effetto mistico;


Effetti speciali: per riprodurre le scene dei paesaggi africani, Kubrick utilizza una proiezione frontale per illuminare i fondali, in quanto le classiche tecniche non realizzavano un effetto che il regista riteneva realistico. La tecnica consisteva nell’impostare un proiettore in modo da inquadrare lo scenario ad angolo retto rispetto alla macchina da presa e nel riflettere lo scenario attraverso uno specchio semiriflettente posto ad angolo di fronte alla macchina da presa, in modo tale da riflettere l’immagine proiettata in avanti su un fondale progettato appositamente.

Questo modus operandi è l’antesignano del green screen;


Slit-scan: è la tecnica con cui è stata realizzata la scena finale, che consiste nel posizionare tra cinepresa e piano una fessura di scorrimento, creando l’effetto stargate (fasci di luce);


Tra i molteplici riconoscimenti, il film ottenne un Oscar ai migliori effetti speciali e tre candidature (miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior scenografia).

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