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Analisi a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Federico Fellini, uomo, visionario, cineasta, maestro, regista e mio tallone d’Achille, dolente, impetuoso, strappacuore, quanto il silenzio del fruscìo sospeso delle sequenze più belle della storia del cinema, che lui stesso ha prodotto.
Un uomo che è stato obiettivo vivente della cattura del reale, che lo ha trasmesso nel modo più onirico e antirealistico possibile. Questo perché, come egli stesso affermava, ho imparato che se ripeti una parola tante volte, all’improvviso perde di significato; ed è per questo che i suoi film raccontano la verità, come quasi nessuno è riuscito a fare nella storia dell’arte: perché sono fatti di parole dal significato sospeso.
Il giorno di Halloween ha lasciato questo mondo e credo che, se avesse potuto scegliere quando andar via, non avrebbe potuto desiderare un giorno migliore.
L’inizio del Viaggio nella Vera dimensione, tanto cercata quanto indagata, nonostante gli unici strumenti terreni a disposizione.
Immagino Fellini vivere quel film esistito solo nella sua mente, come visione difficilmente afferrabile, “Il Viaggio di G. Mastorna”, il «ifilm non realizzato più famoso della storia del cinema» come ci ricorda Vincenzo Mollica.
Quel sogno lucido tanto agognato, quella rivelazione mista a speranza di una realtà ancora tutta da scoprire, celata dietro i limiti del tempo e degli schemi e percepita attraverso la bellezza terrena delle immagini e delle sensazioni.
Esploriamo insieme le tematiche estrapolate dai suoi capolavori, l’essenza del suo cinema che si contiene come una matrioska impetuosa e immorale, matrona prosperosa di essenza vitale, madre del suo mondo fatto di donne spirituali, rivelazioni inaspettate e Anima Mundi di personaggi dissociatamente reali.

Potremmo definirlo come il contenitore di tutta la poetica felliniana, la Matrioska Madre, quella che contiene tutte le altre. Il sogno è tutto: visione audiovisiva, elemento imprescindibile della sua poetica e maniera personalissima di interpretare la collettività.
Il sogno non è solo un mezzo per rendere la realtà più interessante e incline alla verità, ma un luogo abitabile da “ospiti” della propria stessa mente, per indagare le proprie pulsioni più profonde e - perché no - scoprire dimensioni di cui riceviamo impulsi inspiegabili ma molto suggestivi. 
Ogni atmosfera onirica dei film di Fellini si espande sempre con un tocco di magia spirituale: l’artista frequentava vere e proprie maghe e adorava che gli si leggessero le carte. L’incontro con il suo mentore, lo psicanalista junghiano Bernhard - non a caso anche astrologo direi - non solo crea una connessione profonda tra Fellini e il suo Io, ma cambia completamente la sua visione di vita reale e filmica. E il miglior modo per raccontare tutte le consapevolezze acquisite nel tempo è stato, appunto, il sogno e un contatto spiritualmente ultraterreno con il senso nascosto delle cose.
Chi si ciba dell’operato felliniano non può fare a meno di riconoscerne le espressioni in diversi punti: uno di questi è il colore. Un colore dalle tonalità che sembrano dipinte, in grado di narrare visivamente una profondità che solo Fellini ha saputo raggiungere.

Il viaggio è inteso - certamente -  come trascorso vitale, ma anche come modalità di esperire un evento. Tutte le vite sono un viaggio, ma è il modo che si ha di viverle che fa la differenza. E Fellini ha voluto viverlo e raccontarlo col linguaggio onirico, a prescindere dalle immagini profonde a cui ha dato forma scavando nel suo genio. 
Dall’infanzia, la chiamata dei clown del circo che aveva deciso di seguire e del cinema che ha consequenzialmente creato con set clowneschi e confusionari in cui a decidere era, appunto, l’imprevisto, Fellini ha vissuto creando l’inaspettato, scardinando previsioni a volte anche ovvie nello scorrere del tempo. 
I suoi frequentatori più assidui raccontano sempre del modo in cui volesse, in ogni momento libero della giornata, passeggiare per Roma e imbattersi nella bellezza del caso: dal cambiare strada all’improvviso mentre si dirigeva in un luogo preciso, al seguire intuizioni o piccoli avvenimenti dall’apparenza ordinari. Non amava viaggiare all’estero, ma viveva la propria realtà macinata e macinata come un viaggiatore che approda su una terra sconosciuta. E, dalla realtà quotidianamente esperita, tirava fuori cose sempre più nuove e sconvolgenti.
Adorava le stazioni, Fellini. Adorava immaginare dove la gente potesse andare, registrarne gioie e dolori, paure e ambizioni e crederle sempre dirette in realtà sconosciute e singolari.
Differentemente da come molti lo definiscono, il “Mago”, io ho sempre adorato riferirmi a lui come il “Clown”. E questo non perché non fosse un visionario, ma perché l’indagine del reale è filtrata molto più attraverso emotività spinte al limite e giustificate da una realtà che non esiste: quando un clown cade, noi ridiamo; quando un clown piange, noi ridiamo; quando un clown si fa male, noi ridiamo; quando un clown è dispettoso o ci spaventa (bonariamente), noi ridiamo. A clown tutto è permesso, a noi no. Dovremmo vivere in una realtà parallela appunto, o in un mondo in cui restiamo bambini a vita. Riusciamo a conservare quell’occhio infantile che si lascia stupire da tutto e che permettere di dire, fare e pensare, tutto.

“Io l’ho visto essere solo, nelle riprese, nei teatri…solo vuol dire, uno che non ha più il nemico davanti…quello che, come un boxer che non ha qualcuno da colpire, ma che ne ha bisogno. Uno che balla da solo ma che vuole la coppia. Questa solitudine angosciosa cerca il contatto con gli altri, ma gli altri non ci sono. Sono lì ad applaudire”.
~ Jordi Grau
Fellini era una gran bugiardo. Lo avrete sentito dire da molti. Questo perché, in linea con quanto raccontato finora, ogni verità presunta che lo riguardasse veniva sempre modificata dall’artista stesso o dai racconti che egli forniva agli altri. Ogni persona che abbia avuto la fortuna di frequentarlo in maniera più intima, sembra quasi credersi più speciale delle altre, sembra avere qualcosa di diverso da raccontare e ogni racconto è via via più leggendario e dissociato, quasi ad autoalimentare un mito che può andare sempre più oltre lo straordinario. 
Questo perché, anche nei rapporti interpersonali, Fellini mischiava persone e personaggi, limandone al limite i confini, per poter vivere terrenamente i viaggi mentali che cercava di portare in scena. E forse per questo sì, ogni persona riusciva a sentirsi realmente speciale, con una marcia in più. Perché l’occhio di chi ti guarda spesso restituisce molto di più di te di quanto tu non possa restituire a te stesso. 
Da questa, e da tante altre attitudini - come l’autobiografismo decretato sulle sue opere, la difficoltà dell’estraniarsi dalla propria realtà - proviene una sorta di visione individualistica. Una solitudine interiore, sfogata attraverso un’impronta soggettiva, personale, che forse più di tutto ha contribuito a rendere i suoi personaggi - nonostante l’estremismo della loro essenza - i più iconici in cui immedesimarsi. 
Se si conosce a fondo sé stesso, allora le possibilità di raccontare il vero diventano molteplici, perché la realtà la si assorbe in maniera più oggettiva. Fellini si dissociava da qualsiasi opera o artista: non aveva altra ispirazione se non i sogni e le limitate pulsioni della sua infanzia e adolescenza e in quelle ha cercato la verità, dimostrando tutt’oggi quanto esistano infinite vie per percorrere il proprio viaggio, ma solo una che conosciamo benissimo e cerchiamo di evitare è quella che ci porterà alla pace.
“Federico avrebbe potuto guadagnare tutto quello che voleva, cioè cifre inarrivabili. Il corteggiamento che hanno fatto le majors americane con Federico perché lui realizzasse l’Inferno di Dante, è stato un corteggiamento protratto per decenni. Arrivavano contratti di seicento pagine dove gli offrivano tutto. Federico prendeva queste proposte ridendo come un ragazzino. Non si soffermava un momento a considerarle come cose possibili. L’idea di mettersi al servizio di un progetto che invece di avere lui per perno aveva l’investimento di dollari… sapeva che sarebbe stato così insano per lui che la cosa non sarebbe stata “il film di Fellini”, come lui diceva, ma sarebbe stata “il film del Dollaro”.

Fascimo e provincialismo, il fondo della sua vita sul nascere. Le suore di San Vincenzo e la leggendaria fuga per unirsi al circo del clown Pierino. Il letto con i quattro angoli corrispondenti ai cinema: Fulgor, Opera Nazionale Balilla, Savoia e Sultano e l’immaginazione di ogni sera, prima di addormentarsi, che creava uno spettacolo per ogni angolo, fermandosi quasi sempre al terzo.
La creazione di un mondo slegato dalle pretese nazionaliste e politiche dell’epoca, dal quale sfuggiva per la repressione personale, all’inizio del tutto morale. Quando il marcio del nostro Paese cominciava a venir fuori, quando Chaplin colse lo spirito hitleriano, quando la distruzione strofinò gli occhi di una popolazione che sembrava non fosse stata smossa neanche dai campi di sterminio, Fellini era a Roma con Giulietta, pronto ad esorcizzare questi cambiamenti attraverso i racconti della sua vita “provinciale”, mostrando ai propri spettatori innocenza, sincerità e purezza, aspetti che si porterà dietro anche nel modo con cui dimostrerà di relazionarsi agli avvenimenti, un modo per niente sofistico, elaborato o concettoso. E’ proprio questo il tocco di verità ed empatia che ha reso i suoi film di una verità senza eguali.
Queste visioni infantili se continuassero con la maturità probabilmente inghiottirebbero ogni capacità di pensare e agire. Non si tratta di restare in perenne contemplazione delle proprie fantasie infantili. L’importante sarebbe ritrovare sul piano della consapevolezza la facoltà visionaria. Proprio perché è una delle possibilità della natura umana e non c’è una ragione di privarsene.

Il punto di svolta. Ogni personaggio felliniano, soprattutto il suo alter ego sempre presente, rappresenta la chiave per aprire la porta più serrata della vita. Che sia vissuta, desiderata o solo contemplata, che sia l’amante, la borghese arrivista, la moglie, la prostituta, la tradita, sono tutte figure portatrici di verità che l’uomo che vi si rapporta non riesce a cogliere e, soprattutto, figure attraverso le quali l’uomo cerca di dialogare o comprendere emozioni e bisogni che non riesce ad affrontare.
Oltre ad uno specchio sociale totalmente moderno per l’epoca, attraverso la figura della donna Fellini mostra l’uomo in tutta la sua fragilità, in un momento storico in cui l’orgoglio nazionale era tutto e la virilità l’unica porta d’accesso alla quiete.
Sulla prostituta, in particolare, figura primaria di abominio, mi ci soffermo per esemplificare l’occhio del regista sull’argomento: la prostituta inizia l’uomo alla vita sessuale, come una madre guida i propri figli e rappresenta la sua voglia costante di tradire. Fellini ritiene che il nostro paese idolatri la madre e la ricerchi costantemente, non solo in se stessa, ma anche nella Madonna, in Roma, nella madre patria, nella madre Chiesa, dimostrando un’ostinata paura della perdita della madre come certezza. Per questo la prostituta o anche l’amante diventano rifugio e svago nei momenti di smarrimento.
L’erotismo che spesso assume la visione del femminile, non è altro che la degenerazione dell’amore: se la società distratta da vizi e ipocrisie soffoca le proprie pulsioni, allora implode in istinti impetuosi e disturbanti.
E cosa dire dell’amore per le donne? Io parlerei solo di Giulietta, sua moglie, la donna della sua vita, così profondamente diversa da tutte le donne di cui Fellini si circondava. E in questo rapporto ci vedo la massima della Verità. Una donna piccola, minuta, dalle forme eleganti e infantili, pura ma per niente docile, razionale e solida. Un piccolo clown che nella modalità infantile assume fattezze addirittura androgine, che all’occorrenza diviene austera prostituta. Una donna con l’aria da folletto che sembra uscita da una delle illustrazioni del regista, così diversa dalle super formose matrone a cui ci si abitua nei suoi film. Una donna che, ne La Strada, ha rappresentato l’incomunicabilità del femminile come nessuna artista ha mai più fatto nella storia.
Sono disposto a tollerare gli errori di tutti, quelli di Giulietta mi indispongono. In questo sono profondamente ingiusto. Il fatto è che Giulietta abita dentro di me assai prima degli altri attori: e mi sembra che non le sia consentito sbagliare. A volte vorrei dirle: come, sei nata in questa storia prima di tutti, e ancora non ti senti integrata alla perfezione con l’immagine che stiamo componendo?

Credo in Gesù Cristo. Non è soltanto il più grande personaggio della storia dell’umanità, ma Egli continua a sopravvivere nell’Essere che si sacrifica per il suo prossimo. Sono ignorante di dogmi, e forse potrei anche essere eretico senza saperlo. Il mio cristianesimo è grezzo. Io penso che la preghiera possa essere considerata come un esercizio che ci renda più vicini al soprannaturale. In altri tempi sono stato praticante: ora non so che pregare quando ho paura e sono triste: bisogna invece arrivare a pregare anche nella gioia.
Aggiungerei a questa citazione perfettamente autodescrittiva, il carattere cinematografico di passaggi come miracoli, processioni e reazioni psicologiche spesso folli, che tutt’oggi affascinano i cineasti, anche quelli più distanti dai culti. Questo per tutto quanto detto finora dalle Matrioske precedenti che la contengono.
Inoltre, il culto che Fellini associa alla natura italiana in maniera radicata, viene esplorato nei rimorsi, nelle nostalgie, nei tradimenti dell’innocenza, nell’oscuro e impellente sentimento di senso di colpa animato costantemente dal ricatto cattolico, di cui trattiene il richiamo spirituale e cerca di diffonderlo, scindendolo da quello ideologico.
E ora, a chi è arrivato fin qui e mi rende felicissima nell’esercizio assolutamente rivoluzionario di allenare la propria attenzione, dico Grazie e Buon Viaggio.
Di Vita e di Fellini.
Per chi ne è digiuno o per chi ne è già dipendente, scrivo le tappe mistiche da percorrere.
LUCI DEL VARIETA’ (1951)
LO SCEICCO BIANCO (1952)
I VITELLONI (1953)
L’AMORE IN CITTA’ - episodio AGENZIA MATRIMONIALE (1953)
LA STRADA (1954)
IL BIDONE (1955)
LE NOTTI DI CABIRIA (1957)
LA DOLCE VITA (1960)
BOCCACCIO ‘70 - episodio LE TENTAZIONI DEL DOTTOR ANTONIO (1962)
8½ (1963)
GIULIETTA DEGLI SPIRITI (1965)
TRE PASSI NEL DELIRIO - episodio TOBY DAMMIT (1968)
BLOCK-NOTES DI UN REGISTA (1969)
FELLINI SATYRICON (1969)
I CLOWNS (1971)
ROMA (1972)
AMARCORD (1973)
IL CASANOVA DI FEDERICO FELLINI (1976)
PROVA D’ORCHESTRA (1978)
LA CITTA’ DELLE DONNE (1980)
E LA NAVE VA (1983)

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