Analisi, la \"mascolinità tossica\", tra \"Familia\" e \"Maschi veri\"

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Articolo a cura di...


~ MASSIMILIANO AITA

Nelle ultime due settimane ho visto un film ed una serie – entrambi aventi quale tema la c.d. “mascolinità tossica”.

Il film è “Familia”; la serie “Maschi Veri”.

L’analisi che segue non vuole esaminare dal punto di vista tecnico od emozionale né l’uno né l’altro prodotto cinematografico.

Lo scopo delle brevi righe che seguono persegue un fine diverso: sottoporre all’attenzione di voi sedici lettori (che notoriamente impiegate il vostro tempo libero a seguire le mie elucubrazioni mentali perché null’altro di meglio avete da fare) come il cinema possa affrontare da diversi angoli visuali il medesimo soggetto di attenzione.

Familia illustra con toni crudi, freddi, duri un dramma familiare – ispirato ad una storia vera – in cui la mascolinità tossica del padre riesce a distruggere l’intero nucleo di riferimento.

Ciò accade soprattutto generando nel figlio minore quello che potremmo definire un conflitto di lealtà: conservare il ricordo delle violenze inferte dal padre alla madre quando il figlio stesso era ancora un bambino ovvero assimiliare, assorbire, introiettare questi comportamenti.

Rifiuto-accettazione: un conflitto interiore che sfocia in una tragedia prevedibile ma non per questo meno sconvolgente.

Quello che merita davvero il mio apprezzamento in Familia è la totale assenza di

qualsivoglia concessione al melodramma, alla banalizzazione del dolore; i protagonisti manifestano il profondo disagio che vivono attraverso gesti misurati, reali che trasmettono allo spettatore una crescente sensazione di angoscia.

Chi guarda Familia ha chiaro in mente dove porteranno quelle dinamiche ma non si

annoia, non riesce a staccare gli occhi da quanto viene raccontato sullo schermo.

Per capirci è come se assistessimo alla ricostruzione del delitto di Garlasco in forma di fiction.

Io ci ho messo tre giorni per finirlo perché, ogni trenta quaranta minuti, sentivo il respiro mancare e provavo l’irrefrenabile impulso di vomitare.

Vomitare tutta la mia repulsione, la mia profonda ed irriducibile avversione nei confronti di quei “maschi” che mi fanno vergognare di appartenere – almeno biologicamente – al genere maschile.

Familia, sia chiaro, non appartiene al novero dei capolavori indimenticabili né vuole

appartenervi.

Familia getta un sasso nello stagno senza che autore ed interpreti ritirino la mano: ti induce a riflettere, ad elaborare il pensiero primitivo che spesso anima l’agire di noi “maschi” e a comprendere che modelli di comportamento sbagliati producono

conseguenze gravi ed irrimediabili.

Gravità e senso di irremediabilità del tutto estranei, al contrario, in “Maschi veri”.

Una pessima, dimenticabile fiction.

Un mal riuscito tentativo di analizzare la “mascolinità tossica” in chiave “leggera”.

Sia chiaro che in sé l’idea poteva apparire interessante.

Chi può dimenticare film quali “Il grande dittatore” o “Il dottor Stranamore”.

Solo che lo sceneggiatore ed il regista di “Maschi veri” non sono né Chaplin né Kubrick.

In realtà, a dirla tutta, NON SONO.

Quello che manca totalmente nella serie della quale sto ora parlando è proprio la

sceneggiatura.

Sapete bene che ogni narrazione dovrebbe prevedere una situazione di equilibrio di

partenza, la sua rottura, le peripezie dell’eroe e la ricostruzione dell’equilibrio.

In “Maschi veri” tutto questo “viaggio dell’eroe” manca: i personaggi rimangono pressochè uguali a sé stessi dall’inizio alla fine, le linee di conflitto vengono trattate con pressapochismo e superficialità.

Soprattutto il tema della serie vive e si alimenta di stereotipi sia nella descrizione dei personaggi (lo scapolo impenitente, il marito remissivo, quello frustrato per la fine del matrimonio ed il manager in carriera) che nella narrazione della loro evoluzione.

Le singole storie procedono secondo una linea narrativa del tutto prevedibile e scontata.

Anche Maschi veri ha suscitato in me sensazioni di vomito perché davvero mi sono chiesto come sia possibile finanziare certi progetti.

E’ una domanda retorica ovviamente.

So bene che gli attori/attrici coinvolti etc, etc hanno più importanza della storia stessa.

Però mi chiedo e vi chiedo: “si può banalizzare il male”?

Hannh Arendt risponderebbe di sì, che si può.

Vi direbbe anche che dobbiamo rifuggire da questa banalizzazione e guardare in

profondità.

Ed ecco allora che serie tv come “Maschi veri” rivelano tutta la loro inutilità.

Non fanno ridere, non alimentano una riflessione, non provocano reazioni di rifiuto o repulsione.

Ti lasciano fermo a pensare su come sia facile sprecare il proprio tempo.

E su come sia pericoloso sprecare il proprio tempo per chi scrive o recita.

Guardare serie tv come “Maschi veri” alimenta la depressione, ti induce a pensare che non c’è futuro per gli attori bravi, gli scrittori bravi.

Non qui in Italia almeno.

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