Analisi - \"Mia\"

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Articolo a cura di...


~ MASSIMILIANO AITA

Forse dovrei scrivere domani questa analisi.


D’altronde così avevo promesso a Tiziana Buccarella.


Solo che non posso.


Avete presente quando un film parla così tanto di voi o di quanto di più caro

avete al mondo?


E avete voglia di raccontare a tutti perché quel film lì racconta di voi o del vostro universo?


Ecco.


Stasera a me è capitato questo.


Mia mi ha catapultato all’interno di un mondo in cui ho immaginato che io mi trovassi a vivere una situazione simile a quella di Edoardo Leo perché la vita dei miei nipoti era messa a rischio.


Mia racconta una storia purtroppo comune al giorno d’oggi: quella di una giovane ragazza, piena di dubbi ed insicurezze che tuttavia, almeno inizialmente, trovano espressione e risoluzione nell’ambito familiare piuttosto che amicale.


Se fossi davvero molto banale direi che il fuoco cova sotto la cenere ma cercherò di ricorrere ad un’altra metafora.


Pensate ad un bidone pieno di nitroglicerina che, ad un certo punto, qualcuno scuote.


L’esplosione è inevitabile.


Ed è inevitabile che l’incontro di Mia con il suo primo fidanzato Marco determini l’esplosione della famiglia perfetta.


Perché lo sappiamo tutti che le famiglie perfette non esistono.


Esistono le famiglie disfunzionali ed i rapporti disfunzionali e il racconto di Mia si muove lungo queste direttrici.


Il rapporto disfunzionale della ragazza con il fidanzato viene percepito, sentito dal padre perché assai disfunzionalmente questi considera Mia ancora la sua bambina.


E questa considerazione non cambia nemmeno quando, nel prosieguo della narrazione, succede l’irreparabile.


Edoardo Leo non riesce a far visita alla figlia in ospedale e preferisce rifugiarsi nel mondo dei video girati quando la ragazza era bambina e quando la sua famiglia appariva, appunto, perfetta.


Anche la maturazione nel protagonista maschile del desiderio di vendetta nasce dalla propria esigenza di superare i sensi di colpa piuttosto che rendere giustizia alla sua Mia.


Mia che dimostra nel corso del film determinazione e fragilità; capacità di comprendere il crescente pericolo cui va incontro ed incapacità di respingerlo.


Perché?


Perché la ragazza ha sedici anni e a sedici anni si desidera essere amati, riconosciuti.


E se qualcuno ti dice che sei bello/a, che sei bravo/a diventa il tuo eroe.

Lo so per esperienza personale quindi vi prego di credermi.


Questo meccanismo che conosco bene mi ha portato a riflettere su cosa avrei fatto se qualcuno rappresentasse una seria minaccia per l’esistenza dei miei nipoti.


La risposta istintiva che ci siamo dati io e Tiziana è stata: mazzate.


Mentre scrivo questo articolo, tuttavia, penso e rifletto.


Credo di essere un uomo tutt’altro che violento; credo di essere abbastanza evoluto, intellettualmente, da comprendere che la giustizia ha le sue regole ed i suoi tempi.


Però.


Però credo anche nella famiglia, negli affetti veri, nelle persone care.


E credo che avrei ben poco controllo sulle mie reazioni istintive qualora la stessa vita dei miei cari venisse messa a repentaglio.


Venendo allo pseudo esame tecnico del film, devo dire che la sceneggiatura di Ivano Di Matteo potrebbe rappresentare un buon esempio di scrittura poco tradizionale.


Manca infatti la fase della risoluzione.


Infatti, la situazione iniziale di apparente equilibrio della famiglia viene rotta dalla frequentazione tra Mia e Marco; l’evoluzione in negativo dei rapporti familiari è una icastica descrizione della fase di conflitto che culmina in un evento tragico; il successivo comportamento di Sergio (Edoardo Leo) è la conclusione che tuttavia si pone a distanza siderale dal ripristino di una situazione di equilibrio.


Greta Gasberr (Mia), nella sua interpretazione, mi è apparsa superba: misurata, efficace nel trasmettere con gli sguardi le emozioni che prova, pochissime faccette inutili.


Purtroppo, le faccette abbondano nell’interpretazione di Edoardo Leo (Sergio). L’attore testimonia con la sua interpretazione la plastica inadeguatezza della recitazione italiana a rendere credibili emozioni forti.


Questo però vale fino ad un certo punto del film.


Dal momento in cui si verifica la serie di eventi che porta al climax del film, Edoardo Leo si trasforma.


C’è una scena in cui lui e la moglie cenano in silenzio in cucina che fa venire i brividi: silenzio, solo silenzio per esprimere l’incapacità assoluta di due genitori di fronteggiare un dramma epocale.


Anche le scene in cui il “nostro” continua a rivedere i filmati dell’infanzia di Mia in silenzio o il cantare la canzone che la ragazza intonava da bambina per poi esplodere in un struggente: “E’ colpa mia” sono rese da Leo con tragica immobilità gestuale.


Milena Mancini è stata la mia insegnante in un weekend memorabile trascorso alla Scuola di Cinema che ho frequentato.


Non sono dunque obiettivo nell’esprimere la mia opinione sul suo agire.


Dico però questo: è una delle prime volte in cui vedo una donna-madre non essere la protagonista assoluta dei drammi vissuti dai figli.


Milena-Valeria rende con incredibile efficacia il ruolo “vassallo” che sino ad un certo punto viene chiamata a sostenere.


Lascia ogni iniziativa a suo marito Sergio cercando di ricucire il rapporto con Mia senza strepiti, in silenzio, nell’ombra.


Tuttavia, quando la tragedia si palesa nella sua intensità più drammatica e struggente, Milena Mancini viene proiettata in primo piano per seguire e sostenere la figlia nell’affrontare la sua lotta tra la vita e la morte.


Le scene di quando Valeria racconta a Mia le analisi delle serie preferite dalla ragazza o i risultati delle partite di pallavolo emozionano profondamente perché testimoniano che determinati ruoli non sono distinti, identificati da una parola (madre, padre) ma dai comportamenti.


E’ un film da vedere Mia?


Dipende.


Dipende se volete farvi male; dipende se volete mettere in dubbio le vostre capacità genitoriali; dipende se volete soffrire e piangere.


Io l’ho visto.


Ed ho pianto.


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