\"Adolescence\": la conferma che nel cinema non si è già detto tutto, basta saper raccontare

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Articolo a cura di...


~ CLAUDIA LAZZARI

Fermi tutti. Ci siamo.


Quante serie sugli adolescenti ci hanno atrofizzato il cervello, negli ultimi tempi? Ma, soprattutto, quante serie su adolescenti in cui piccoli malesseri maschili insegnano a svampite ragazzine sognatrici come si fa il sesso, in cambio di lezioni sull'amore? Bruciate tutto e sparatevi Adolescence.

Miniserie di quattro puntate, geniale costrutto di quattro piani sequenza, girati e interpretati stupendamente. Scritta dagli inglesi Jack Thorne e Stephen Graham (che nella serie interpreta il padre del protagonista) e diretta da Philip Barantini, Adolescence nuota nel mare di catrame misogino e vacuo a cui assistiamo di continuo, per analizzare sociologicamente i protagonisti e le dinamiche apparentemente semplici in cui la nostra società di oggi è immersa.


Il tredicenne Jamie, e mi inchino all'interpretazione del giovanissimo Owen Cooper, uccide una sua compagna di classe. E alla trama non frega nulla dell'arma del delitto, che non farà ritrovare, dei probabili o non probabili tentativi di approccio sessuali o della cruenta scena dell'assassinio (a stento visibile nelle immagini): dopo una prima puntata che si sofferma sul dramma dell'arresto di un ragazzo così piccolo, tradisce le premesse a cui le piattaforme ci hanno abituato per virare sul marcio invisibile che sta ammuffendo le nuove generazioni. Insicurezze, complessi, aspettative e frustrazioni genitoriali, briglie completamente sciolte, interessi inesistenti, il capitalismo dei social, la misoginia nei suoi tratti più celati che, altro non sono, che la miccia che accende i reati gravi. Proprio per questo Thorne e Grahm non ci seducono con gli intrighi dell'omicidio, ma ci devastano con gli effetti di una tragedia che non ti aspetti, perché così radicata nelle motivazioni sociali da potertici ritrovare dentro anche tu, che stai leggendo.

Proprio per questi motivi, la serie si svolge in quattro ambientazioni diverse, suddivise per tematiche precise.


La prima puntata si svolge nel commissariato, la seconda a scuola, la terza durante la seduta di Jamie con la dott.ssa Ariston e la quarta nel furgone e nella casa della famiglia di Jamie. Il punto sono i motivi del gesto del ragazzo, quelli che le persone oggi continuano ad ignorare o a non voler vedere. Quelli per cui i maschi non assassini continuano a ricordarci ottusamente che "loro non sono così".


I social, sono un punto focale. Inutile ripetere quanto cinquant'anni fa il mondo fosse ancora più misogino. Oggi la donna si emancipa e i social ci sottopongono tutti i sacrosanti giorni a modelli inafferrabili che ci gettano in una frustrazione psicologicamente annientante. Il cyberbullismo aumenta gli effetti del bullismo vertiginosamente. I tempi cambiano e noi dobbiamo cambiare coi tempi, questo ci dice Adolescence.

Gli adolescenti che seguiamo nella seconda puntata, non sono bambini di tredici anni che sognano di fare il cinema o gli astronauti. Sono bambini grandi, che giocano a fare gli adulti, che soffrono per non essere belli e ricchi, per percezioni inesistenti che hanno di se stessi; sono bambini che non sognano perché sui social vedono sempre qualcuno che sa fare meglio di loro, per cui trovano inutile investire tempo in un'ambizione: c'è sempre qualcuno che ha qualcosa che non possono avere. Una di queste cose, sono proprio le donne. Nessun politically correct e nessun femminismo in Adolescence. Anche a questo assistiamo: le ragazze pensano di doversi svendere per piacere e per questo finiscono in meccanismi pericolosi di shareting. Inoltre, non fanno sconti ai maschi e non sempre li subiscono. Spesso alimentano un patriarcato di cui esse stesse sono vittime e non se ne rendono conto. Del resto, a tredici anni, di cosa diavolo vogliamo parlare? E' proprio per questo che dopo la seconda puntata la serie si concentra sulla psicologia di Jamie analizzata da una persona adulta, per finire sugli adulti in sé. Adulti anch'essi spaesati, che hanno vissuto la loro giovinezza in un mondo che ci appare quasi antico e impalpabile. Adulti che sembra quasi non riescano più ad essere tali, in questo mondo che continua a correre lasciandoci tutti indietro e soli, anche in mezzo alle folle o alle famiglie unite.

Dà molto da riflettere e il pubblico, per quanto avvezzo alla nullità dei contenuti che li bombarda, vuole ancora riflettere. E lo sta dimostrando facendo galleggiare Adolescence sulla superficie dell'oceano Netflix.

E noi siamo felici.


La regia ci travolge senza effetti speciali: quattro piani sequenza, costruiti con precisione. Gli spazi prendono vita, le spalle dei protagonisti prendono vita. Le loro voci, prendono vita. Perché forti, anche senza visi inquadrati, sui piani d'ascolto di chi le subisce. Tutto è connesso, come in un'orchestra. Tutto è fondamentale e importante nei quadri che Barantini ci regala. I gesti degli interpreti assumono un'importanza principale, molto più degli scatti di ira. La cosa fondamentale sono i piccoli atteggiamenti, i silenzi e le esitazioni, rendendo la regia e le interpretazioni perfettamente coerenti con le intenzioni della trama. Nessun colpo di scena, nessuna scoperta eclatante, eppure la forza della serie è disarmante. Questa è tecnica. Questo è cinema.

Menzione dovuta agli interpreti, soprattutto ai giovanissimi che hanno sostenuto una prova che non è solo forte emotivamente, ma anche tecnicamente. Un cast brillante per un prodotto che splende.

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