Il monologo di V in La misteriosa scomparsa di W: analisi e significato

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di V! (protagonista de La misteriosa scomparsa di W) si apre con una nascita spettacolare, narrata con toni epici e surreali. Una scena che dovrebbe avere il sapore di un miracolo collettivo, ma che si incrina bruscamente nel finale, quando l’ingresso della bambina nel mondo reale si scontra con la brutalità e la violenza. Il testo condensa lo stile tipico di Benni: un linguaggio che mescola comico e tragico, grottesco e poetico, portando in superficie i paradossi della società e le illusioni che si infrangono contro la realtà.

Il monologo

Il giorno che io nacqui un sole improvviso meraviglioso entrò dalla finestra della sala parto e illuminò la scena, mia madre lanciò un trillo melodiosissimo, da soprano e senza sofferenza alcuna mi sparò in aria come una paletta di cannone, io feci una doppia capriola e ricaddi esattamente tra le braccia del primario, un uomo bellissimo, brizzolato, virile, non fumatore, e in quell’attimo – MIRACOLO.

Per la gioia a tutti i presenti ricrebbero i capelli, a chi non li aveva, si indorarono a chi li aveva, e una suora cresimina si spogliò della sua palandrana rivelando un corpo stupendo abbronzato, nato per l’amore, e un infermiere rozzo bitorzoluto unto la prese lì per terra, con il trasporto la dolcezza di un quindicenne, e MIRACOLO!

Tutti i malati si alzarono dai letti e invasero le corsie cantando, battendo il tempo con le stampelle e i gamboni di gesso, ognuno reggendo la sua flebo come un dono, e MIRACOLO!

I collassati si riebbero, i fratturati saldarono e i nefritici filtrarono, gli anemici rinsanguarono, i diabetici si amareggiarono, e tutti fecero cerchio intorno per vedere me, la bambina più bella del mondo, io, Vu!

E ci si inoculò morfina, si bevvero sciroppi e anche i più a lungo lungodegenti si levarono dai loro capezzali secolari e le loro piaghe da decubito erano diventati splendidi tatuaggi di draghi e di sirene e “a casa!” dissero, “andiamo a casa, perché abbiamo una casa, parenti, amore che ci aspetta!”

E il primario dei primari vetusto barbuto occhi dardeggianti, uno Zeus, disse: “ Ci dispiace che ve ne andiate. Questo ospedale sarà vuoto senza di voi”.

E in quell’istante dalla sala operatoria venne un chirurgo alto, bruno, virile, non inquisito, e tra le mani sporche di sangue reggeva qualcosa di umido e rosso. E al suo fianco c’era l’operato che si teneva la pancia. Così, ma era felice, non era affatto spaventato e il chirurgo alzò in alto la cosa umida e gridò: “Guardate! Guardate cos’aveva in pancia il signore! Non era una metastasi, no… era un triciclo!”

Un piccolo triciclo rosso, per me! E io vi salii. Avevo solo dieci minuti di vita, ma io vi salii. E partii, pedalando nel corridoio. tra le ali di degenti plaudenti e dalle camere mi lanciavano chi cioccolatini, chi vecchi biscotti, chi libri o settimanali e gridavano: “Non sappiamo più cosa farcene di queste cose, siamo guariti!”

E così uscii dall’ospedale, tra lo scampanio delle autoambulanze e fuori (si arresta un attimo, si rattrista) fuori c’era una nebbia pesante, densa soffocante e un ingorgo di macchine che fumavano per il calore come rocce vulcaniche e una canea di clacson e volti cerei e dentro le macchine guidatori agonizzanti che morivano lentamente, accelerando… e uno degli ingorgati, vedendomi rosea neonata, sudata col triciclo rosso che cercavo di passare davanti nella fila, mi mirò, aspettò, spalancò lo sportello dell’auto e bam!… mi centro.

Poi mi prese per il collo e disse “Credi che la vita sia tutta rosa e fuori eh, puttanella?”

Fu allora, che persi la fiducia nel mondo.

La misteriosa scomparsa di W, di Stefano Benni

La misteriosa scomparsa di W” di Stefano Benni è un romanzo del 1982 che sembra leggero, quasi fiabesco, ma in realtà è costruito come una satira feroce e visionaria della società contemporanea, della politica e dei mezzi di comunicazione. La sua struttura narrativa è frammentata, fatta di episodi e cronache, e ruota intorno a un mistero bizzarro: la sparizione della lettera W dall’alfabeto. All’improvviso, nessuno riesce più a pronunciare o scrivere la W. Parole, nomi, marchi, giornali: tutto si inceppa. Questo piccolo vuoto linguistico diventa subito un evento politico e mediatico enorme. La mancanza di una singola lettera mette in crisi istituzioni, aziende, quotidiani, fino a scatenare vere e proprie indagini. La trama principale segue proprio la ricerca della W, ma Benni utilizza questo filo conduttore per aprire parentesi narrative, sketch satirici e racconti paralleli.

Il libro descrive un’Italia deformata, caricaturale, dove ogni fenomeno diventa pretesto per interessi di potere. Ci sono politici che cercano di sfruttare la scomparsa della W per ottenere consenso, giornali che montano il caso per vendere copie, esperti che propongono soluzioni improbabili. La satira è diretta a un sistema mediatico e politico che non si concentra mai sul problema reale, ma sul tornaconto che può ricavarne. Non esiste un unico protagonista: il romanzo è un coro di figure, alcune grottesche, altre buffe, altre ancora surreali. Si incontrano scienziati ossessionati da ipotesi assurde, giornalisti che trasformano il caso in feuilleton quotidiano, cittadini comuni che devono imparare a vivere senza una lettera. Benni mescola registri linguistici diversi: dal burocratese alla cronaca nera, dalla poesia nonsense alla parodia di articoli di giornale.

La lettera W non è scelta a caso. È una lettera “straniera”, presente in molte parole importate, nei marchi commerciali e nella lingua dei consumi. La sua scomparsa diventa una metafora della fragilità delle nostre convenzioni culturali e della dipendenza da simboli imposti dall’alto. Allo stesso tempo, Benni mette in evidenza quanto sia assurdo il modo in cui i media e la politica reagiscono a eventi che riguardano la comunicazione, amplificandoli fino a farli diventare questioni di stato.

Analisi Monologo

Il tono epico-grottesco della nascita La descrizione della nascita è volutamente esagerata, caricata di immagini miracolose: la madre che lancia un “trillo melodiosissimo”, il primario descritto come un eroe virile, i malati che guariscono e ballano. Tutto è iperbolico, teatrale, costruito per suggerire un evento straordinario. Benni utilizza il registro della parodia: il miracolo, qui, non è sacro ma farsesco, ridotto a un’esplosione di immagini surreali.

La costruzione dell’illusione Ogni episodio aumenta la sensazione di un mondo in festa: la suora che si spoglia, i malati che si trasformano in figure vitali e danzanti, persino un’operazione chirurgica che si risolve con un triciclo rosso regalato alla neonata. La nascita della protagonista diventa così il simbolo di una speranza collettiva, una promessa di rinnovamento.

Il contrasto con la realtà esterna Tutta questa magia si interrompe di colpo quando la bambina esce dall’ospedale. All’esterno non ci sono più canti e guarigioni, ma nebbia, traffico, rumore, disperazione. È l’ingresso nel “vero mondo”, quello dominato dalla violenza e dalla meschinità. Il gesto dell’automobilista che colpisce la neonata sul triciclo e la insulta è il punto di rottura: l’innocenza e la speranza vengono schiacciate dalla brutalità quotidiana.

Dal miracolo al disincanto La frase conclusiva: “Fu allora, che persi la fiducia nel mondo” – rovescia tutto ciò che era stato costruito prima. L’eccesso grottesco del miracolo iniziale serve proprio a rendere più netto e doloroso lo scarto con la realtà. È come se Benni dicesse: il sogno di un mondo giusto e vitale è destinato a infrangersi contro l’egoismo e la crudeltà umana.

Conclusione

Questo monologo è una parabola sull’illusione e la perdita di fiducia. La nascita, celebrata come evento miracoloso, è subito annullata dall’impatto con una realtà cinica e soffocante. Benni costruisce così una metafora sulla condizione dell’essere umano: ogni promessa di rinnovamento rischia di spegnersi quando incontra la gabbia sociale, fatta di meschinità, violenza e disillusione. È una scena che, dietro la comicità e l’assurdo, nasconde una riflessione amara sul rapporto tra speranza e realtà.

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