\"C'era una volta in America\" - La storia del cinema in sala 40 anni dopo

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~ LA REDAZIONE DI RC

La trama del film

La trama di C’era una volta in America si sviluppa come un viaggio nella memoria, dove la cronologia degli eventi è disordinata, quasi come i frammenti di un ricordo confuso dal passare del tempo. La storia ruota attorno a David "Noodles" Aaronson (Robert De Niro), un gangster ebreo cresciuto nelle strade di New York durante gli anni del proibizionismo, e il suo gruppo di amici d'infanzia: Max (James Woods), Patsy (James Hayden), Cockeye (William Forsythe) e Dominic (Noah Moazezi).


La struttura narrativa si basa su una serie di salti temporali, in cui Noodles ricorda la sua giovinezza nel quartiere ebraico, gli anni ruggenti del proibizionismo e il ritorno nella città ormai modernizzata degli anni ’60. Questo ritmo volutamente frammentato non solo contribuisce a ricreare la dimensione nostalgica del film, ma cattura anche il modo in cui la memoria funziona nella mente di un uomo segnato dai rimorsi e dai rimpianti. È come se Noodles ripercorresse la sua vita cercando di mettere insieme i pezzi, cercando risposte che sfuggono a ogni tentativo di logica lineare.


Inizialmente, la banda è composta da ragazzini pieni di speranze e sogni, ma già segnati dalla povertà e dalla durezza della strada. Leone dedica ampio spazio a questa fase, presentandoci un gruppo di amici che, con innocenza e scaltrezza, cercano di farsi strada nella vita. È una giovinezza rubata, in cui gli amici cercano un riscatto attraverso l’illegalità e la criminalità, non per il semplice gusto del crimine, ma perché è l’unica via per sfuggire alle limitazioni sociali. Il legame tra Noodles e Max è il fulcro emotivo di questi primi anni, una fratellanza che appare incrollabile, ma già velata da un’ombra di rivalità e ambizione.


Con il proibizionismo, la banda cresce e si consolida come una delle organizzazioni criminali più influenti della città. Leone rappresenta questo periodo come un’esplosione di euforia e potere: Noodles e i suoi amici vivono un'epoca d’oro in cui tutto sembra possibile, dalla ricchezza alla libertà, dal potere all’amore. Ma è qui che iniziano a sorgere le prime crepe. Noodles, sempre più scettico e introspettivo, inizia a percepire il lato oscuro della loro ascesa, mentre Max, accecato dall’ambizione, spinge la banda verso rischi sempre più alti, alimentando la tensione tra i due. Questo contrasto è uno dei motori narrativi del film, e porterà a scelte irreversibili, che culminano in un tradimento che cambierà per sempre le loro vite.

Negli anni ’60, un Noodles invecchiato e apparentemente dimenticato torna a New York per affrontare il proprio passato. La città è cambiata, modernizzata, e con essa i luoghi dei suoi ricordi, ora quasi irriconoscibili. Noodles si muove tra le strade cercando le tracce di ciò che era, e viene progressivamente risucchiato dai frammenti della sua giovinezza, delle sue scelte e dei suoi fallimenti. In questo ritorno, c’è una doppia dimensione: quella di chi vuole capire e perdonarsi e quella di chi cerca di chiudere i conti con i propri fantasmi.


Il film culmina in un enigma che lascia lo spettatore a riflettere: chi ha tradito chi? E, soprattutto, chi è davvero Noodles? Leone sceglie di non dare risposte chiare, lasciando che il pubblico si perda nel mistero, in quel sorriso enigmatico che chiude il film, aprendo però infiniti spunti di riflessione su ciò che è rimasto irrisolto.

La regia di Sergio Leone

La regia di Sergio Leone in C’era una volta in America è il risultato di una visione estremamente ambiziosa, che trasforma una storia di gangster in una meditazione sul tempo, la memoria e la perdita. Qui, Leone realizza quella che forse è la sua opera più personale e poetica, caratterizzata da una cura maniacale per i dettagli, un uso magistrale della cinepresa e una costruzione del ritmo che sfida le convenzioni del cinema narrativo classico. Questo non è un film che si limita a raccontare; è un film che ci avvolge in un’atmosfera di nostalgia e rimpianto, dove ogni scena è un tassello di una sinfonia visiva.


Uno dei tratti distintivi della regia di Leone in questo film è l’uso di una narrazione non lineare, che alterna passato e presente in un flusso di ricordi. Leone costruisce il film come una sequenza di flashback e flashforward, presentandoci il passato come qualcosa di indelebile, che non può essere riscritto o cancellato. Questo montaggio frammentato riflette il modo in cui il protagonista, Noodles, ripercorre la sua vita: in maniera disordinata, affiorando a momenti e saltando nel tempo come farebbe un uomo che si confronta con i propri rimorsi.


Leone ci porta così dentro la mente di Noodles, creando una sensazione di disorientamento ma anche di immersione profonda nei suoi ricordi. Lo spettatore è chiamato a ricostruire la trama insieme al protagonista, diventando parte del processo stesso della memoria. Leone riesce a manipolare il tempo in modo così raffinato da rendere quasi palpabile il peso dei decenni che separano l’età giovanile di Noodles dalla sua versione invecchiata, creando un’esperienza emotiva e immersiva unica.


Le inquadrature di Leone sono celebri per la loro precisione e per il senso di grandiosità che trasmettono, e C’era una volta in America ne è una delle prove più straordinarie. Ogni scena è costruita con una minuzia che lascia trasparire l’ossessione di Leone per il dettaglio: dai vicoli sporchi della New York del proibizionismo, ai colori caldi e dorati dei flashback, fino ai paesaggi urbani freddi e moderni degli anni ’60. Leone ci fa letteralmente "respirare" l’ambiente in cui i personaggi si muovono, trasformando ogni luogo in un personaggio a sé stante.


Prendiamo la scena iniziale, in cui Noodles si rifugia in un teatro d'opera vuoto e osserva una sequenza di film cinesi: Leone crea un’atmosfera sospesa, dove il tempo sembra fermarsi. Questo tipo di momenti è pensato per immergere lo spettatore in uno spazio di riflessione, e ogni inquadratura diventa un piccolo quadro visivo. Lo spettatore è quindi incoraggiato a osservare e interpretare ogni dettaglio, quasi fosse un investigatore visivo della mente di Noodles.


Leone è famoso per il suo uso del ritmo dilatato, un tratto distintivo che in C’era una volta in America assume una funzione ancor più rilevante. Le scene sono spesso costruite con una lentezza calcolata, che trasforma i dialoghi e i silenzi in elementi di suspense. Questo ritmo deliberato permette di immergersi più a fondo nella psicologia dei personaggi, dando al pubblico il tempo di assimilare ogni sguardo, ogni silenzio, ogni piccola sfumatura.

Un esempio emblematico è la scena della lunga attesa in macchina di Noodles davanti alla porta di Deborah (Elizabeth McGovern), la donna amata per tutta la vita. Leone insiste con il primo piano su De Niro, sul suo volto pieno di esitazione e speranza, un volto che da solo racconta più di qualsiasi dialogo. Il silenzio, la durata prolungata del momento, il respiro sospeso: tutto questo diventa quasi una forma di linguaggio a sé stante, uno spazio per il non detto che caratterizza tutta l’opera.


La fotografia, curata da Tonino Delli Colli, lavora in perfetta sinergia con la regia di Leone, usando la luce e i colori per evocare stati d’animo e differenziare i diversi periodi della vita di Noodles. I toni caldi e dorati dei flashback suggeriscono una visione quasi mitica della giovinezza, come se fosse avvolta in una luce idealizzata. Al contrario, la New York degli anni ’60 è caratterizzata da colori freddi e spenti, con una luminosità quasi artificiale, come a sottolineare la distanza tra i ricordi e la realtà ormai disillusa.

Il cast

Il cast di C’era una volta in America è uno degli elementi più straordinari e iconici del film.


Robert De Niro – David "Noodles" Aaronson: il peso dei ricordi


Robert De Niro porta sullo schermo David "Noodles" Aaronson, un personaggio che resta misterioso, intrappolato tra la durezza di un gangster e la vulnerabilità di un uomo segnato dalla perdita e dal rimorso. De Niro riesce a infondere in Noodles una profondità straordinaria, interpretando un uomo che sembra sempre in bilico tra la freddezza del criminale e la nostalgia dell'innocenza perduta. La sua interpretazione è fatta di sguardi, silenzi e gesti misurati: non c’è mai un’esplosione emotiva palese, ma un dolore che affiora lentamente, soprattutto nelle scene in cui Noodles ritorna nella New York degli anni ’60. La grandezza di De Niro sta nel rendere Noodles un enigma che lo spettatore non riesce mai a decifrare completamente, invitandoci a esplorare le sue motivazioni senza mai darci risposte facili.


James Woods – Max: l’ambizione che diventa ossessione


James Woods interpreta Max, l’amico fraterno di Noodles e, allo stesso tempo, il suo contraltare perfetto. Dove Noodles è introspettivo e quasi filosofico, Max è travolgente, carismatico e mosso da una fame insaziabile di potere e successo. Woods si immerge nel personaggio con un’intensità e una passione che lo rendono affascinante e, al contempo, pericoloso. Max è l’incarnazione di quell’ambizione che, portata all’estremo, si trasforma in ossessione e porta alla distruzione.

La chimica tra Woods e De Niro è uno dei motori più forti del film. Il loro rapporto è una miscela di lealtà e rivalità, affetto e risentimento, come spesso accade tra amici che sono cresciuti insieme ma scelgono strade diverse. Woods riesce a rendere palpabile questa tensione, dando al personaggio di Max un’ironia tagliente e una determinazione quasi spietata, specialmente nelle scene in cui la sua ambizione sembra prevalere persino sull’amicizia.


Elizabeth McGovern – Deborah: l’amore idealizzato


Elizabeth McGovern interpreta Deborah, l’amore impossibile e idealizzato di Noodles, una figura che incarna i sogni, le illusioni e, in ultima analisi, il dolore della perdita. Deborah è la personificazione della bellezza e della grazia, ma anche del rimpianto: rappresenta per Noodles un sogno inaccessibile, un’aspirazione che non si realizzerà mai completamente. McGovern conferisce a Deborah un’aura di delicatezza e di distanza, come se fosse consapevole di essere solo un’illusione che Noodles non potrà mai raggiungere.

La scena del loro incontro da adulti è uno dei momenti più struggenti del film: Noodles è combattuto tra il desiderio di conquistare Deborah e la consapevolezza di essere ormai estraneo al suo mondo. McGovern riesce a dare al personaggio di Deborah una dignità e una freddezza che rivelano la distanza irreparabile tra loro due, rendendo questo amore incompiuto ancora più doloroso e malinconico.


Tuesday Weld – Carol: una donna di strada con un cuore ferito

Tuesday Weld interpreta Carol, la donna cinica e disillusa che si lega a Max, una figura sfaccettata e ricca di complessità. Carol è una sopravvissuta, una donna che, come i protagonisti maschili, ha imparato a vivere in un mondo duro e senza compromessi. Weld riesce a rendere Carol un personaggio affascinante, capace di passare da una feroce determinazione a momenti di sorprendente vulnerabilità. Il suo rapporto con Max è ambiguo e complesso:è anche un legame di sopravvivenza e di mutuo bisogno.

La colonna Sonora e Ennio Morricone

La colonna sonora di C’era una volta in America, composta da Ennio Morricone, è uno degli elementi più distintivi e toccanti del film, un vero e proprio poema in musica che amplifica l’atmosfera malinconica e nostalgica della storia. In questo film, Morricone e Leone creano una sinergia straordinaria, dove la musica non è solo un accompagnamento ma una componente narrativa centrale, capace di evocare il non detto e di dar voce a sentimenti che i personaggi non riescono a esprimere a parole. Ogni tema musicale sembra rievocare un ricordo, un’emozione, e trasporta lo spettatore in una dimensione sospesa tra realtà e memoria.


La melodia principale: "Deborah’s Theme"


Uno dei brani più iconici della colonna sonora è il "Deborah’s Theme", un motivo struggente e delicato che rappresenta il legame di Noodles con Deborah, il suo amore idealizzato e irraggiungibile. Questa melodia appare in più momenti del film, come un ricordo dolce e doloroso che affiora nella mente di Noodles, quasi come un fantasma che lo perseguita. Il tema si sviluppa lentamente, avvolgendosi in una melodia malinconica, quasi sussurrata, come se cercasse di catturare l’essenza di un amore perduto e mai veramente vissuto.


Il "Deborah’s Theme" è una delle composizioni più evocative di Morricone e rispecchia perfettamente l’aura di mistero e nostalgia che permea tutto il film. Ogni volta che risuona, sembra trascinare lo spettatore dentro la mente di Noodles, facendogli vivere il suo stesso struggimento e la sua stessa malinconia. La sua bellezza eterea e malinconica riesce a esprimere il senso di inafferrabilità di Deborah, rendendo ancora più straziante il loro rapporto.


"Amapola": il rimando ai ricordi


Un’altra melodia che assume un ruolo fondamentale è "Amapola", una canzone romantica del passato che Morricone recupera e reinterpreta in chiave orchestrale. Questo brano, che non è stato composto da Morricone ma rielaborato per il film, diventa uno dei leitmotiv principali, associato ai ricordi dell’infanzia e della gioventù di Noodles.La melodia appare in momenti chiave, come se fosse una traccia sonora di quel mondo antico che Noodles tenta di recuperare attraverso i suoi ricordi. Morricone la usa per intensificare l’effetto dei flashback, creando una sorta di memoria musicale che ci riporta agli anni ’20 e ’30, gli anni d’oro della giovinezza e delle amicizie che Noodles ha perso per sempre.


"Cockeye’s Song": l’innocenza e la tragedia


"Cockeye’s Song" è un altro dei temi ricorrenti del film, suonato da un semplice flauto di Pan, che richiama l’infanzia e la giovinezza della banda di amici. La melodia è semplice, quasi infantile, ma allo stesso tempo struggente, e rappresenta l’innocenza che caratterizzava i protagonisti nei primi anni della loro amicizia, prima che le scelte sbagliate e la criminalità li portassero alla rovina. Il flauto di Pan conferisce al brano un’aura di semplicità e purezza, un po' come il sogno di una vita diversa che ciascuno di loro, in fondo, avrebbe potuto avere.


Il legame tra musica e memoria


La musica in C’era una volta in America non è mai usata per creare una tensione drammatica fine a sé stessa, come avviene spesso nei film di genere gangster. Morricone costruisce invece un accompagnamento musicale che sembra guidare i ricordi, quasi come se la musica fosse una componente interna alla memoria di Noodles. Ogni melodia si intreccia con i flashback e le scene del presente, quasi a suggerire che la memoria non è fatta solo di immagini, ma anche di suoni e melodie che restano impresse e riaffiorano negli anni, rievocando ciò che è stato e non tornerà mai più.

Leone e Morricone scelgono di usare la colonna sonora per rappresentare i ricordi come qualcosa di vivido, come se ogni nota e ogni tema musicale fossero una traccia indelebile di un passato che non può essere dimenticato. In questo modo, la musica diventa parte integrante della narrazione e aiuta lo spettatore a entrare nella psiche di Noodles, rendendo l’esperienza ancora più immersiva e coinvolgente

L'eredità di un capolavoro

Il ritorno in sala di C’era una volta in America per il 40° anniversario è un evento significativo per gli appassionati di cinema, ma anche per chi scopre per la prima volta questa epopea creata da Sergio Leone. Questa nuova distribuzione permette di vedere il film in versione restaurata e integrale, restituendo finalmente al pubblico la visione originale di Leone, spesso mutilata e incompleta nelle versioni circolate in passato.


A distanza di quattro decenni, il film mantiene intatta la sua capacità di coinvolgere, emozionare e far riflettere, dimostrando una risonanza culturale e un impatto che vanno ben oltre la semplice narrazione di una storia di gangster.

In apparenza, C’era una volta in America potrebbe sembrare una classica storia di gangster, con sparatorie, vendette e tradimenti, ma il film trascende il genere per diventare una riflessione sull’esistenza, sulla memoria e sul tempo. La vita di Noodles e dei suoi amici diventa una metafora della condizione umana, del desiderio e del rimpianto che tutti, in un modo o nell’altro, portiamo dentro di noi. Leone usa il mondo del crimine organizzato per rappresentare qualcosa di universale: l’ambizione che porta alla distruzione, i legami che il tempo trasforma e corrompe, l’inevitabilità della perdita.


Questa dimensione esistenziale è ciò che rende il film sempre attuale e in grado di parlare a generazioni diverse. Non è una semplice storia di criminali, ma una storia di amicizia, di amori mai realizzati e di vite segnate dalle scelte sbagliate. Leone ci porta a riflettere sul prezzo del potere e dell’avidità, ma anche su quanto sia fragile la felicità e quanto rapidamente possa svanire. È questo aspetto universale che, oltre il fascino visivo e narrativo, mantiene C’era una volta in America profondamente rilevante ancora oggi.


Dal punto di vista visivo e stilistico, C’era una volta in America è diventato un punto di riferimento per molti registi e cineasti, influenzando profondamente il modo in cui vengono raccontate le storie di gangster e di memoria. Il ritmo lento, le lunghe inquadrature, la dilatazione dei tempi e l’uso di flashback hanno lasciato un’impronta indelebile nella narrazione cinematografica, trasformando il film in una vera e propria scuola di stile.


Registi come Martin Scorsese, Quentin Tarantino e Christopher Nolan hanno citato l’influenza di Leone nelle loro opere, in particolare per la sua capacità di usare il tempo e la memoria come elementi narrativi centrali. Questa eredità visiva è visibile anche nelle serie televisive moderne, dove spesso si sperimentano narrazioni non lineari e ambientazioni storiche ricostruite con maniacale attenzione al dettaglio, proprio come in C’era una volta in America. La risonanza visiva del film, quindi, va oltre i confini della singola opera, contribuendo a plasmare l’estetica del cinema contemporaneo.


La riscoperta della versione integrale: un atto di giustizia per l’opera di Leone


Uno degli aspetti più significativi di questa riedizione in sala è la possibilità di vedere C’era una volta in America nella sua versione restaurata e completa, quella pensata originariamente da Leone. Quando il film uscì negli Stati Uniti nel 1984, fu sottoposto a pesanti tagli che ne compromisero la comprensione e ne limitarono l’impatto emotivo. Solo successivamente, la versione integrale è stata ripristinata, rendendo giustizia alla complessità della trama e alla struttura narrativa frammentata che Leone aveva concepito.


Questa nuova versione, ora finalmente accessibile al grande pubblico, restituisce tutte le sfumature e le sottotrame del film, dando alla storia una coerenza e una profondità che erano andate perse. Il ritorno del film nelle sale italiane per i 40 anni dalla sua uscita rappresenta quindi un atto di riscoperta e un omaggio alla visione originale di Leone, che può ora essere apprezzata nella sua interezza.

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