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La tua felicità e soddisfazione sono la nostra priorità assoluta. Vogliamo che tu ti senta ascoltato, capito e supportato in ogni fase del tuo percorso. FMA ha creato un ambiente in cui potrai non solo imparare e crescere come attore, ma anche sviluppare una rete di contatti vasta e preziosa.
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Chiunque decida di intraprendere il mestiere del cinema, prima o poi si trova davanti a una domanda che non è solo teorica, ma profondamente personale: seguire la strada del cinema d'autore, inseguendo una visione creativa personale e unica, oppure cercare di inserirsi in quella macchina complessa e affascinante che è il cinema commerciale, fatto di grandi produzioni, budget consistenti, generi codificati e un pubblico da soddisfare. Una domanda che non ha una risposta universale, che non può essere liquidata con un semplice “scegli quello che ti piace di più”, perché dietro ogni percorso ci sono scelte concrete, difficoltà pratiche, sfide quotidiane che riguardano non solo l'arte, ma anche la sopravvivenza, la carriera, il modo in cui si intende vivere il mestiere di filmmaker.
Perché è facile, in teoria, dichiararsi “artisti puri”, così come è facile immaginare di voler entrare subito nelle grandi produzioni; ma è molto più complesso imparare a capire chi si è davvero, quale forma narrativa ti appartiene, e quale compromesso, se necessario, sei disposto ad accettare senza tradire la tua voce.Perché il punto è tutto qui: la voce creativa.
Non il mercato, non la moda del momento, non i sogni ad occhi aperti alimentati dalle serie Netflix o dai film indipendenti da festival. La questione più profonda, che ogni studente di cinema deve affrontare lungo il percorso, è quella di trovare e riconoscere la propria voce narrativa, quella sfumatura unica che nessuno può replicare, quell'intenzione sottile che attraversa ogni inquadratura, ogni battuta, ogni scelta di montaggio. E per trovare quella voce non basta girare corti, non basta scrivere sceneggiature: bisogna anche conoscersi, sbagliare, mettersi in discussione, uscire dalle imitazioni che inevitabilmente influenzano ogni giovane autore all'inizio.
Quando un ragazzo o una ragazza entrano in aula a FMA, portano con sé immaginari diversi: chi si ispira a Scorsese, chi sogna il cinema di Sorrentino, chi guarda ai blockbuster Marvel come a un traguardo da raggiungere. E va bene così. Ma il compito della formazione non è incastrare gli studenti in un modello predefinito. È esattamente il contrario: aiutarli a esplorare, attraverso la pratica e il confronto, quale linguaggio li faccia vibrare di più. Nei laboratori di regia, negli esercizi di montaggio, nei corsi di storytelling, emerge spesso una verità inattesa: chi pensava di voler fare “cinema commerciale” scopre una voce intima e personale che lo porta verso progetti più indipendenti, chi era convinto di voler essere “autore puro” si accorge che ama costruire storie ad ampio respiro, capaci di coinvolgere il grande pubblico.
Cinema d'autore e cinema commerciale non sono mondi nemici. Sono due strade diverse per raccontare storie. E la cosa più importante, all’inizio di un percorso formativo, è non chiudersi a nessuna delle due possibilità. Perché entrambe richiedono professionalità, entrambe richiedono passione, entrambe — se affrontate con autenticità — possono portare a risultati straordinari. Il cinema d'autore chiede libertà di pensiero, la capacità di accettare che forse non sarai mai capito da tutti, che forse il tuo film avrà un pubblico ristretto, che forse i tempi di produzione saranno lunghi e incerti. Ma ti offre anche la possibilità rara di raccontare esattamente quello che vuoi, nel modo che senti più tuo, senza compromessi. È una strada di resistenza, di fedeltà a sé stessi, ma anche di solitudine a volte, di fatica economica, di difficoltà nel trovare finanziamenti. Non è un sentiero per chi cerca risposte immediate o riconoscimenti facili.
Il cinema commerciale, dal canto suo, ti insegna che raccontare una storia non significa solo esprimere sé stessi, ma anche comunicare con gli altri. Che l'immaginazione deve dialogare con il ritmo, con la chiarezza, con la capacità di costruire emozioni condivise da un pubblico ampio. Non si tratta di vendersi, come spesso si tende superficialmente a pensare: si tratta di accettare la sfida di lavorare entro dei parametri, mantenendo comunque viva una scintilla personale. Anche all’interno di un film mainstream, esiste sempre uno spazio per imprimere una firma invisibile, un dettaglio che parla della tua sensibilità come autore.
Una scelta, certo, va fatta a un certo punto. Ma non deve essere una scelta forzata né precoce. Prima bisogna praticare, sperimentare il più possibile, mettersi alla prova su generi diversi, collaborare con altri creativi, affrontare stage, masterclass, laboratori intensivi come quelli organizzati negli studios DNArt, che Focus Movie Academy mette a disposizione per far vivere agli studenti l'esperienza reale del set. Bisogna scrivere corti intimi e girare videoclip pop, costruire scene per una webserie e raccontare una storia silenziosa in tre minuti, lavorare con i limiti di budget e confrontarsi con l'efficienza produttiva. Solo così, pezzo dopo pezzo, si costruisce un'identità creativa solida.
E poi arriva il momento di guardarsi dentro e chiedersi: quale cinema voglio davvero
fare?
Non quale cinema piace al mondo. Non quale cinema mi garantirebbe subito lavoro. Ma quale storia, quale emozione, quale tipo di linguaggio mi fa sentire vivo quando lavoro. Avere una voce creativa non significa rifiutare il compromesso in assoluto. Significa sapere dove si è disposti a cedere, e dove no. Significa accettare che ogni progetto ha esigenze diverse, ma anche sapere che ogni inquadratura, ogni taglio, ogni silenzio può parlare di noi, anche in un contesto produttivo più grande, anche in una macchina commerciale ben oliata.
La verità è che il cinema, sia d'autore sia commerciale, premia chi ha qualcosa da dire e sa dirlo con intelligenza e cuore. E costruire questa capacità non è un dono magico: è il frutto di anni di studio, pratica, errori, revisioni continue. È quello che Focus Movie Academy chiede a ogni studente: non scegliere una scorciatoia, ma scegliere un'identità. Non limitarsi a sognare un tipo di cinema, ma imparare a costruirlo, pezzo dopo pezzo, in aula, sul set, sulla timeline, davanti a un copione ancora tutto da riempire.
Perché alla fine, che tu scelga di raccontare la tua storia più intima o di dirigere il prossimo blockbuster di successo, sarà sempre la tua voce a fare la differenza. E trovare quella voce, difenderla e farla crescere, è l’unico vero viaggio che vale la pena di intraprendere.
Questa è una delle domande che più spesso si pongono gli studenti al primo anno.
La risposta è sì. Ma con una condizione: se sai cosa stai vivendo in quel momento. Una pausa non è una sospensione. È un gesto narrativo invisibile.
Può essere:
un rifiuto (non ti rispondo perché non posso)
una difesa (non dico quello che provo)
un’apertura (ti guardo e lascio che sia tu a parlare)
una rivelazione (mi accorgo di qualcosa, ma non so ancora dirlo)
Per questo nella formazione FMA si lavora molto anche sulla costruzione emotiva del personaggio, sull’uso consapevole dello sguardo e su tutto ciò che passa senza bisogno di parole. La pausa giusta ha un significato. Ha una storia. È una scelta, non un silenzio riempitivo.
Anche per chi studia regia e sceneggiatura a Focus Movie Academy, il silenzio è un linguaggio. Si lavora su scene in cui: il conflitto è latente, ma visibile nei gesti; le battute si interrompono, e il silenzio “dice il resto”; il ritmo della scena cambia grazie a una pausa imprevista Un regista che conosce il silenzio non ha bisogno di spiegare tutto. Sa quando fermarsi, quando far parlare la camera, quando lasciare allo spettatore lo spazio per completare il senso. È un lavoro sottile, che viene esplorato anche durante le sessioni negli studios DNArt, dove i filmmaker in formazione girano scene con attori dell’Accademia. E lì si vede subito: chi sa gestire una pausa, sa girare una scena vera.
Un consiglio pratico per attori e registi in formazione
Se stai studiando cinema, prova a fare questo esercizio: Prendi una scena scritta, togli una battuta.
Poi chiediti:
1) Cosa succede se il personaggio non risponde?
2) Cosa può comunicare con lo sguardo?
3) Che effetto ha sul ritmo?
4) E se tagliassi due righe? Sarebbe più potente?
Spesso, il vero centro emotivo della scena non sta nella battuta, ma nella reazione.
Conclusione: una pausa ben costruita è un atto artistico
Chi impara a stare in silenzio in scena, impara a recitare davvero. Perché recitare non è “dire bene le battute”. È abitare un momento. E i momenti più forti, al cinema, non fanno rumore. Ma lasciano il segno. A Focus Movie Academy, questo si impara facendo esercizi, girando scene, lavorando insieme, osservando, aspettando. Anche in silenzio. Perché a volte, davvero, una pausa fatta bene vale più di cento parole.
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