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Articolo a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Eh già, fortunatamente molti più nomi degni di nota per il panorama femminile registico, iniziano a farsi sentire. Ma quante sono le registe donne di cui non sentiamo parlare?
Le registe hanno contribuito in modo significativo all'evoluzione della storia cinematografica, già da prima che alcuni dei loro nomi riuscissero ad imporsi sulla scena.
Scopriamole e rivendichiamole tutte, gettandoci a capofitto in alcune suggestioni che, se colte, possono tutt'oggi essere rivoluzionarie.
I film girati da donne, possono offrire un punto di vista e una visione della narrazione sicuramente più profonde e veritieri di alcune storie e delle loro tematiche. L'introspezione e la motivazione dei personaggi inquadrati da una donna celano, a volte, sfaccettature più complesse di quelle a cui siamo abituati ad assistere. Ciò non rinnega la bravura di alcuni uomini che si cimentano, a volte con garbo e ammirazione, al decantare la personalità femminile. Ma come è possibile ignorare l'immagine che prende voce da una visione femminile?
Ecco a voi una carrellata di artiste da ricordare, riproporre, recuperare, riapprezzare.
Alice Guy-Blanché (1873-1968)
E' il 1896 quando la segretaria della storica casa di produzione Gaumont riesce a ottenere qualche metro di pellicola e a girare La Fée aux coux, il primo prodotto cinematografico realizzato da una donna. Fu Alice, insieme a Méliès, a concepire molte più possibilità espressive che il cinematografo dei Lumière aveva appena mostrato un anno prima. Alcune delle sue suggestioni, come il neonato che nasce dal cavolo nella pellicola appena citata o il letto "locomotiva" de Le lit à roulettes, sono state adottate dai posteri nei propri film. Insieme ad altre donne, come Lois Weber, è stata tra le prime a dirigere un proprio studio. Ha creato circa mille progetti, di cui la maggior parte sono andati perduti. Come tutte le artiste delle epoche passate, tutto ciò che spesso le donne creavano veniva pubblicato attraverso pseudonimi maschili o, nel caso del cinema, con il nome della compagnia di distribuzione. Molte sceneggiature firmò col suo nome: non vennero mai prese in considerazione. Lottò molto per apparire all'interno della dimensione cinematografica riconosciuta: scrisse un'autobiografia negli anni '40 e si metteva in contatto con tutti i colleghi storici che condividevano informazioni falsate sui propri prodotti, per correggerle. Oggi, grazie al lavoro di artisti e associazioni, possiamo apprezzare un pò della storia e del lavoro creato da questa grande pioniera.
Elvira Notari (1875-1946)
Persino del sud è, la prima regista italiana della storia e una delle prime registe nel mondo. Elvira Notari apre la strada al Neorealismo, fonda con suo marito la casa di produzione Film Dora e inizia a creare corti, documentari e lungometraggi, spesso tratti da romanzi d'appendice popolari, da fatti e eventi realmente accaduti e rappresentativi della città partenopea che l'aveva adottata. La Dora Film arrivò ad avere una sede a New York, contribuendo a rivelare un immaginario vero dell'Italia, rispetto a quello diffuso in America e divenendo centro di aggregazione per tutti gli immigrati italiani. La Notari fu, inoltre, pioniera della recitazione cosiddetta "naturalistica" e aprì una Scuola di arte cinematografica dove si impegnava personalmente ad insegnarla. Il suo insegnamento era molto moderno e si basava sulla psicologia dei personaggi, un qualcosa di nettamente contrastato dalle interpretazioni dell'epoca, permeate da dive come la Bertini e la Borelli. In molti hanno riconosciuto i suoi approcci di metodo a quelli adottati successivamente da Vittorio De Sica, nella direzione degli attori di Ladri di Biciclette. I personaggi femminili dei film di Elvira Notari ci misero poco ad indispettire il fascimo: forti, erotiche, folli streghe dei bassifondi insofferenti alle regole sociali, fecero sì che le pellicole che abitavano fossero censurate e considerate anti-nazionaliste. Sopravvissero ed approdarono in America attraverso il commercio clandestino delle opere censurate. Nel 2021, il videocontest del MAC fest - Festival della Musica, dell'Arte e della Cultura di Cava de' Tirreni,ha dedicato a "Elvira Coda" il 1º Premio al Miglior Cortometraggio, asserendo che «Di Elvira vogliamo ricordare il suo cognome da nubile, perché fu il suo talento a renderla celebre e non la sua condizione di moglie di Nicola Notari, che fu comunque alleato di una produzione artistica senza precedenti».
Lois Weber (1879-1939)
La prima regista americana a girare un lungometraggio, la prima a creare un film sonoro e la prima ad essere ammessa alla Motion Picture Directors Association. Insieme a Griffith e DeMille, contribuisce a creare il successivo step evolutivo della storia del cinema che conosciamo oggi. Si distaccò dalle tematiche dei due rivoluzionari colleghi, destabilizzando gli spettatori di un'epoca così chiusa: la Weber rappresentava la povertà, l'ipocrisia religiosa, la tossicodipendenza, la contraccezione, la pena di morte., finanche tematiche più leggere ma certamente consistenti, come la smania di spettegolare. Considerava le pellicole un modo per creare dibattito pubblico sulle questioni del mondo e, pertanto, aggrediva l'opinione pubblica in maniera coraggiosa e rivoluzionaria. Non si limitò a compiere precise scelte ideologiche, ma sperimentò molto per la creazione di uno stile personale e visionario. Insieme al direttore della fotografia, Dal Clawson, sperimentò dissolvenze e sovrimpressioni, tecniche di illuminazione e riprese in esterni mai tentate all'epoca. Eppure, accanto a Griffith e DeMille nei manuali cinematografici più diffusi, e che io stessa possiedo, non ce n'è traccia.
Germaine Dulac (1882-1942)
Nome d'arte di Charlotte Elisabeth Germaine Saisset-Schneider, ebbe un ruolo centrale nel cinema impressionista francese, realizzando dapprima progetti narrativi dal linguaggio tagliente e senza scrupoli, per poi imporsi con una traiettoria del tutto sperimentale. La belle dame sans merci, ad esempio, è la storia di un adulterio fortemente caratterizzata dall'attenzione all'ambientazione, alla scenografia e gli oggetti quotidiani, attraverso un uso ripetuto del dettaglio. Con La mort du soleil (1921) ,invece, comincia a sperimentare alcuni procedimenti tecnici (dissolvenze incrociate, sovrimpressioni, mascherini, ad esempio). A questo punto, con la sua opera più celebre, La souriante madame Beudet (1923), avviene la consacrazione della sua arte. Ispirato alla pièce teatrale di D. Amiel e A. Obey, affronta in chiave quasi femminista, il tema del rapporto di coppia, affrontando anacronisticamente la noia e l'ipocrisia della vita borghese e delle convenzioni che regolano i rapporti. La condizione della protagonista viene esaltata da ralenti, doppie esposizioni, soggettive e un notevole uso del primo piano, che ne rivela il dramma e il tormento.
Mabel Normand (1892-1930)
C'è una cosa più difficile del far ridere in campo artistico? Ce lo ricorda Mabel Normand e lo fa un centinaio di anni fa, quando Charlie Chaplin la definirà l'unico motivo di fascino dei film di Sennet (di cui era divertente protagonista). Regina delle slapstick comedies, secondo Sennett fu lei l'ideatrice del primo lancio di torta della storia del cinema. La sua fortunata creazione fu 'Mabel', un personaggio esasperatamente ingenuo e candido, che combina sempre pasticci. Una casalinga sciocca, gelosa, ma devota, Mabel è il ritratto dell'innocenza e della provincialità e l'artista sa contrastarla benissimo con dei modi eleganti e regali. Da attrice passò alla regia, dirigendo varie e famosissime comiche con Chaplin. Come i migliori paradossi esistenziali ci insegnano, chi se non Mabel poteva terminare la propria carriera a causa di drammatici scandali, morendo poi in un sanatorio per tisici? Dal 1922, Mabel intrattenne rapporti con diversi amanti, uno dei quali fu William D. Taylor, direttore della Paramount Pictures. Il primo febbraio 1922, l'uomo entrò nel bungalow di Mabel alle 19:00 e ne uscì quarantacinque minuti dopo. Peccato che alle 20:00 fu trovato ucciso da un colpo di pistola, che subito puntò i riflettori su Mabel, sulle altre amanti e su Sennett, rivale in amore in quanto compagno di Mabel. L'anno successivo, il suo autista sparò ad un miliardario la notte di Capodanno, serata a cui partecipava l'amica rivale Edna Purviance (vi ricorda qualche film questo fatto?). Fu l'inizio che portò a una fine sregolata e autentica, come la sua esistenza.
Dorothy Azner (1897-1979)
Il padre Luis era il proprietario dell'Hoffman Café, un famoso ristorante di Hollywood, con pannelli scuri e luci basse, punto d'incontro per personaggi come D.W. Griffith, Bill Hart, James Cruze, Mack Sennett, Charlie Chaplin, Erich von Stroheim, Hal Roach. Direi che già da qui, Dorothy approda in qualche terra di Oz cinematografica. Questi gentili uomini, nonché suoi amici, predissero per lei un futuro nel cinema. E così fu. La Azner parte come dattilografa di sceneggiature e approda al montaggio. Memorabile sarà il lavoro che effettua per la scena della corrida di Sangue e Arena, interpretato da Rodolfo Valentino, di cui girerà anche alcune scene. Venne subito apprezzata per una qualità che divenne intrinseca nei suoi montati: l'innovazione nel giustapporre suoni e colonne sonore alle immagini. Quando gira The Wild Party, ad esempio, sostituisce i pesanti microfoni fissi con fili appesi in alto dai quali pendeva il microfono,creandone una versione mobile affine ai propri effetti al montaggio. Dal 1933 si dedica unicamente alla regia, dirigendo interpretazioni femminili che riplasmano la figura della diva dell'epoca. Nel suo film più discusso, Dance, Girl, Dance, con Lucille Ball e Maureen O'Hara, mette in scena attrici che sostituiscono il glamour delle dive classiche con un forte umorismo. Il suo modo di caratterizzare la donna era così marcato tanto che la sua omosessualità veniva messa in discussione, come fosse un marchio di fabbrica per pubblicizzare i propri prodotti. Aperto lesbismo, capelli corti e cravatte per la donna che divenne, tra le altre cose, insegnante di sir. Francis Ford Coppola.
Lotte Reninger (1899-1981)
Signori, il nostro mondo ne ha avute per tutti i generi. Vi presento Lotte Reninger, antesignana del cinema d'animazione, maestra della tecnica della silhouette di carta. Nel 1923, Luis Hagen le offre un cospicuo finanziamento per realizzare un lungometraggio in silhouette e così la regista crea, con l'aiuto di Carl Koch, Walter Tuerck, Alexander Kardan e Walter Ruttmann, il suo capolavoro: Achmed, il principe fantastico. Un film muto, in bianco e nero, che riprende le ambientazioni de Le mille e una notte. I personaggi del film sono realizzati in piombo e cartone e composti dai 25 ai 50 pezzi separati, tenuti insieme da fili di metallo, per garantire movimenti ottimali. Le inquadrature della pelicola sono state trecentomila. Achmed, il principe fantastico è uno dei primi lungometraggi della storia e uno dei primi film d'animazione. La sabbia qui fa da maestra, insieme all'apparato Fischingerideato di Oskar Fischinger. La macchina è una specie di affilatrice sincronizzata ad una macchina da presa, che filma a passo uno la superficie di un blocco di cera dopo ciascun taglio, generando una particolare animazione astratta. Gli effetti speciali, invece, sono ottenuti con la sovrapposizione di tre lastre: Lotte ha inventato il tavolo multipiani (trick-table) che permetteva di mettere la macchina da presa in alto e riprendere tutte le lastre per offrire profondità di campo alle silhouette. Per ulteriori prodezze magiche, consultate il suo manuale, Shadows Theatre and Shadows Films. Non ve ne pentirete.
Leni Riefenstahl (1902-2003)
Regista, attrice, produttrice, ballerina, fotografa, amica di Hitler (che detta così...), fu celebre per i suoi documentari. Essi celebravano, apparentemente, il regime nazista, nella rappresentazione visiva ed estetica. Ma, sebbene la sua arte abbia avuto come principale connotazione quella propagandistica, basta analizzarla per non rinvenire principi razzisti e antisemiti. Di fatto, si distinse per la sua personalità anticonformista rispetto a quella femminile dell'epoca, e le sue opere sopravvissero alla caduta del regime, grazie alle rivoluzioni tecniche e culturali che apportarono. La sua controversia, però, non impedì le conseguenze che comunque l'iniziale vicinanza al nazismo comportava anche se, ai tempi, non giunse neanche all'adesione al partito. Grazie alle grazie del partito, riuscì a mettere le mani su macchine potenti, su una ventina di operatori utilizzati in contemporanea, su filtri per intensificare i contrasti al ralenti, su nuovi obiettivi a inedite angolazioni. Pose la macchina da presa perfino sott'acqua o in aria, agganciata a un pallone. Sperimentò molte tecniche di montaggio e contrasti musicali, creando sequenze che sono diventate classici della storia del cinema. Il suo Olympie, ad esempio, avrebbe dovuto essere una celebrazione della razza ariana, invece è una celebrazione della bellezza estetica dell'uomo, attraverso la rappresentazione dei corpi in enfatici movimenti. L'accostamento al regime le precluse per sempre una carriera in Europa, nonostante i processi americani la sollevassero da ogni accusa dopo le sue detenzioni. Così, Leni scappò in Africa e scoprì il suo continente, regalandoci reportage di riti e danze tribali memorabili. E guarda un pò dove le orme razziste possono portare una donna. A quasi ottant'anni poi, diventò una subacquea e creò immagini di una bellezza sospesa e ammaliante.
Tazuko Sakane (1904-1971)
Autrice di un solo film e pioniera della regia femminile in Giappone. Rimase l'unica fino al 1953, quando si aggiunse Kinuyo Tanaka. Dopo essersi sposata, ovviamente con un matrimonio combinato, prese la scabrosa decisione di divorziare e senza cercare di risposarsi, come facevano le donne dell'alta borghesia dell'epoca. Fu questo l'elemento che ostacolò il suo primo film, facendolo divenire anche l'ultimo, Hatsu Sugata, una storia che veniva pubblicizzata e criticata con storie scandalistiche legate al suo divorzio. Così, la prima regista giapponese che abbandonava il kimono per vestire con giacca, pantalone e capelli corti sul set, finì in Cina a girare documentari. Alla fine della guerra tornò in patria ma le fu proibito tornare dietro la macchina da presa. Continuò, così, ad essere aiuto regista di Mizoguchi, dedicandosi alla scrittura di sceneggiature.
Maya Deren (1917-1961)
Fu autrice di studi di estetica filmica, ma anche di riti vudù, per cui il risultato non può che essere quello di prodotti di un'influenza sperimentale straordinaria. Maya Deren rappresenta il movimento, spesso attraverso la danza, con movimenti registici sinuosi e atmosfere oniriche antesignane di un certo cinema surrealista. Studiò giornalismo e scienze politiche, si unì a numerosi movimenti della realtà suburbana socialista di New York, sviluppando inclinazioni femministe e all'avanguardia, ovviamente ravvisabili nella sua regia. Meshes of the Afternoon, uno dei film più importanti della storia, è considerato da Thomas Schatz il primo esempio di psicodramma poetico: un film onirico, che affronta questioni come l'identità sessuale, mostrando tabù e immagini scioccanti e usando il montaggio smontare la logica spazio-tempo del realismo dell'epoca. Il film, rigorosamente muto, rappresenta i quattro alter ego di Maya in un ossessivo e compulsivo conflitto interiore, continuo e angosciante. Maya fu la prima donna bianca ad essere iniziata alla religione voodoo e parecchie testimonianze visive ci ha lasciato sul tema. Ha costruito, insomma, un immaginario moderno e iconico che oggi possiamo ravvisare in moltissime realtà. Quando lo stile diventa storia.
Ida Lupino (1918-1995)
Divenne, dopo la Azner, la seconda donna a diventare membro della Directors Guild of America e fu la prima regista a girare il primo thriller firmato da una donna. Nei suoi film ritroviamo la maggior parte delle tematiche in cui riconosciamo l'immaginario dell'universo femminile di oggi: in Never Fear la poliomelite distrugge la vita di una ballerina; ne La preda della belva la protagonista viene stuprata prima delle sue nozze; in Hard, Fast and Beautiful una madre frustrata riversa le sue fallite ambizioni sulla figlia, costringendola a intraprendere la carriera di tennista. Ida Lupino fu prima di tutto attrice, ma iconica sarà la frase della sua sedia da regita: "La madre di tutti noi", in omaggio al suo soprannome, Mother. La truope l'appellava così per via della sua intimidatoria presenza alle spalle della macchina da presa.
Cecilia Mangini (1927-2021)
Considerata la prima documentarista italiana, Cecilia Mangini si dedica all'arte partendo dalla fotografia e lo fa solo per le strade della città. Quando esordisce col documentario Ignoti alla città, ispirato a Ragazzi di Vita, sa già cosa vuole raccontare. Ha già assorbito la povertà e la verità sociale. Nonostante il rifiuto della pellicola, immediatamente censurata dalla politica, Ignoti alla città resta determinante e permette anche l'avvio di una proficua collaborazione con Pierpaolo Pasolini stesso. Nel 1962, i due creano La canta delle Marane, considerato uno dei migliori documentari in Italia. A colpi di lunghi piani sequenza, il film documenta l'estate di una banda di ragazzini della periferia romana, i loro giorni che si susseguono tutti uguali, in mondo ancora scevro dalla modernità. Ne mostra la loro illusione, i loro desideri, i loro sguardi furbi e leggeri. E poi termina con la comparsa improvvisa di una coppia di vigili, mostrando come tra adulti e ragazzi non ci sia comprensione, come gli adulti non riescano ad accogliere e aiutare innocenti la cui tempra è causata dal divario sociale in cui non hanno scelto di vivere. Oltre alla tematica della periferia, sempre ben forte nei propri lavori, la Mangini indaga le tradizioni e gli arcaismi del Mezzogiorno, esaltandone la bellezza e denunciandone l'arretratezza. Per non parlare dei documentari prettamente politici, spesso commissionati dai partiti stessi. Non mancheranno incidenti e accuse, dovute alla vicinanza della regista col PCI, censure e boicottamenti. Divisioni e ambiguità, come ogni lavoro artistico sfacciatamente politico che, in base ai momenti storici, sfocia negli attriti. Ma è tutto fondamentale per comprendere la portata contenutistica del cinema della Mangini. Successivamente agli anni '60, il suo approccio non cambierà e si focalizzerà sull'Italia che muta, su i cambiamenti repentini della nostra storia, creando un pluripremiato bagaglio fondamentale per la nostra cultura.
Agnès Varda (1928-2019)
Consacrazione internazionale per la pioniera della Nouvelle Vague, unica donna affiancata a Truffaut e Godard. Agnès Varda ha sempre rifiutato quest'etichetta pionieristica, applicatale col film Cleo dalle 5 alle 7, un ritratto di due ore nella vita di una cantante che attende i risultati di un'importante visita medica. Nel 1965, con Il verde prato dell'amore, ottiene l'Orso d'argento a Berlino, il primo riconoscimento internazionale della sua carriera; ne riceverà altri e sarà definita da molti la prima cineasta femminista della storia. Con l'Oscar onorario del 2017, diventa la prima donna regista nella storia del cinema a ricevere questo riconoscimento. Nel 1971 firmò il manifesto delle 343 donne, dichiarando di aver avuto aborti illegali. Questo atto contribuì a cambiare la percezione sull'aborto in Francia e a consacrarla come una delle maggiori esponenti del movimento femminista del secondo Novecento. Il suo stile registico si avvia con la sperimentazione documentaristica, in cui ingloberà femminismo e critica sociale, per poi approdare allo scontro tra arte e modernità come mezzo di indagine della rappresentazione artistica.
Lina Wertmüller (1928-2021)
Un esordio cinematografico semplice semplice: aiuto regia di Federico Fellini su La dolce vita e 8 1/2, al quale collabora anche come sceneggiatrice.Lina Wertmüller indaga tematiche politico-sociali, focalizzandosi sul divario tra Nord e Sud Italia, comunismo e anarchia, femminismo, borghesia e proletariato. Lo fa però con
leggerezza, con ironia e in modo spesso grottesco, imponendosi con narrazioni di personaggi disincantati e trascinati nelle mareggiate del clima italiano di quasi un secolo. Con
l'indimenticabile Pasqualino Settebellezze (1977), interpretato da Gianfranco Giannini e Mariangela Melato, è stata la prima donna ad essere candidata agli Oscar come miglior regia (la pellicola ne ricevette quattro).
Nell'immaginario cinematografico, ci sono anche i lunghissimi titoli dei suoi film, entrando addirittura nel Guinness dei primati per il titolo del film cinematografico più lungo della storia: Un fatto di sangue nel comune di Siculiana fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici. Amore-Morte-Shimmy. Lugano belle. Tarantelle. Tarallucci e vino.
Věra Chytilová (1929-2014)
Pioniera e più nota regista donna del cinema ceco-slovacco. Insieme a Štefan Uher dette vita alla nuova ondata cecoslovacca, la Nová Vlna e fu l'unica, tra tutti i cineasti del suo Paese, ad opporsi al regime politico del '68 ma a riuscire comunque a girare i suoi film. Complici un forte carattere e uno schizzato femminismo. Questi film furono inviati ai festival internazionali ma censurati nel suo paese. Dopo il 1989, contribuirà alla creazione di un nuovo cinema libero. Fin dall'inizio, la sua produzione si concentra sulle contraddizioni del mondo socialista, soprattutto per quanto riguarda la figura della donna. Věra Chytilová si impone con uno stile personalissimo e straniante, ad alto impatto visivo, le storie hanno un taglio in bilico tra la fantasia e l'assurdo. Film come Le margheritine, che rappresenta due giovani donne fuori controllo in una storia senza trama che distruggono usi e costumi della società come in una slapstick comedy, sono il cimelio di uno stile riconoscibile, cromaticamente poetico, crudo e pieno di sperimentalismi.
Liliana Cavani (1933)
Approdiamo, insieme a quello della Wertmüller, in territori che fortunatamente godono di una certa fama.
Si impone subito come scomoda rappresentante degli anni '60, Liliana Cavani, che già dai suoi primi lavori riceve delle censure per la sua visione delle società. Con i primi lavori come Storia del Terzo Reich, La donna della Resistenza e Francesco di Assisi, inquadra immediatamente quanto c'è da discutere: politica, donna, religione. Lo stile è molto vicino a quello dell'inchiesta, per cui il linguaggio è aspro ma anche personalizzato dalle proprie rivisitazioni di personaggi e storie conosciuti. Francesco di Assisi, in particolare, fu considerato precursore della contestazione del '68, mentre successivamente I cannibali, che rappresenta la storia di una ragazza che lotta contro le autorità che impediscono di seppellire i corpi di persone uccise dalla polizia (come minaccia per altre proteste), la esprime al meglio. Dal principio, dunque, si impone con storie senza tempo che sviscerano tutti i mali sociali, inserendoli però in cornici ambientali altamente disturbanti. Con Il portiere di notte, nel '74, ottiene il riconoscimento internazionale. Il giudizio fu quello di un maremoto di giudizi offesi dalla scelta della storia: la storia di un legame indistruttibile tra vittima e carnefice che si perdono nei ricordi della loro storia, in una stanza d'albergo. I due personaggi non sono due elementi qualunque: la vittima è una donna ebrea e il carnefice è un ex nazista. Le sequenze delle memorie sono ricche di perversione ed erotismi ossessivi e il contesto storico era quello - scabrosissimo - del lager. Tutto il resto è storia.
Dirige attrici e attori stellari, tra i quali Marcello Mastroianni, Burt Lancaster, Helena Bonham-Carter, Dirk Bogarde, Isa Miranda, Charlotte Rampling, Philippe Leroy, Gabriele Ferzetti, Marco Bellocchio, Lou Castel e tanti altri.
Larisa Shetipko (1938-1979)
Muore a soli 41 anni, ma non senza diventare una delle maggiori personalità del cinema sovietico, in pochissimo tempo. I suoi film indagano questioni politiche e sociali, come ovviamente la guerra sotto il regime di Stalin che visse, attraverso le ripercussioni psicologiche dei suoi personaggi. Memorabili sono, infatti, i suoi primi piani, cristallizzati dal bianco e nero, che abbandona solo per un film. In L'Ascesa, narra la "guerra patriottica" dei russi nella Seconda Guerra Mondiale. Durante le riprese del film, la regista ha voluto vivere nelle intemperie e nel gelo, così come avrebbero vissuto i personaggi dei suoi film, ricreando la natura e il clima vero nelle scelte delle ambientazioni in cui tutti dovevano essere immersi, lei per prima. Il regime, naturalmente, mal gradiva le sue opere, in quanto mettevano il luce le debolezze dei reduci di guerra e non le loro eroiche mattanze.
Nora Ephron (1941-2012)
Sempre letto di lei quanto fosse amata dal pubblico femminile. Perché, ovviamente, è stata dedita al tema dell'amore e al punto di vista delle donne, all'interno delle sue pellicole. Eppure, Nora Ephron, è semplicemente diventata la pioniera di una moderna commedia romantica americana, creando un vero e proprio immaginario negli spettatori. Ha giusto scritto Harry ti presento Sally, per tenerci in superficie. A volte come sceneggiatrice e regista, altre volte solo come sceneggiatrice, ha dato vita alle più iconiche rappresentazioni del genere: C'è post@ per te, con Tom Hanks e Meg Ryan; Magic Numbers, con John Travolta e Lisa Kudrow; Vita da Strega, con Nicole Kidman e Julie & Julia con Meryl Streep e Amy Adams.
Cinzia TH Torrini (1942)
La regia cinematografica è una parte sicuramente minore della sua carriera, ma non possiamo non menzionare la prestigiosa regista della serialità e della fiction italiana, Cinzia TH Torrini. L'aquila della notte, con Elena Sofia Ricci; L'ombra della sera con Laura Morante, Luca Zingaretti e Claudine Auger, Morte di una strega, con Amanda Sandrelli, Eleonora Giorgi, Ida Di Benedetto, Pino Amendola, Girone; l'intramontabile Elisa Di Rivombrosa, che lancerà Vittoria Puccini e Alessandro Preziosi; Pezzi Unici, con Pietro Castellitto, solo solo alcuni dei prodotti seriali ben scolpiti nell'immaginario degli spettatori. La Torrini ha dimostrato, in ben oltre quarant'anni di serialità, di non perdere mai l'ingegno per gli intrecci e di essere riuscita ad adattarsi a tutte le repentine modifiche del progresso tecnologico e mediale nel campo seriale. Recente è l'uscita di Sei nell'anima, biopic per Netflix sulla vita di Gianna Nannini.
Sally Potter (1949)
Orlando, Lezioni di Tango, The Man Who Cried, Ginger & Rose. Bastano pochi titoli a celebrare la regista a cui ci riferiamo, a percepire la portata delle sue idee visive e della sua maniera catturante di narrare le emozioni e le storie dei personaggi. I film di Sally Potter hanno vinto molti premi internazionali e sono fortemente permeati dalla sua cultura artistica, che comprende la danza, la musica, arti performative e sperimentalismi: Yes ha uno script scritto interamente in versi; Rage è stato il primo film in assoluto ad essere proiettato sui cellulari; oscilla tra direzioni teatrali, black comedy e drammi, indagando la profondità dei sentimenti umani nei contesti più originali. Tra i volti delle sue opere: Cillian Murphy, Tilda Swinton, Johnny Depp, Cate Blanchett, John Turturro, Elle Fanning, Javier Bardem, Bruno Ganz, Patricia Clarkson, Kristin Thomas, Timothy Spall, Sam Neill, a tanti altri.
Wilma Labate (1949)
La regista dell'orfanite, la splendida definizione che Wilma Labate stessa ci ha regalato per definire il contenuto della sua opera. L'"orfanite" è il senso di perdita che l'essere umano prova almeno una volta nella vita. Un sentire che, nell'accezione cinematografica, può avere infiniti spunti e nevralgie. E nell'autodefinirsi così precisamente, la Labate non si descrive come una donna a cui piace raccontare l'abbandono, ma come una donna che attraverso riscopre la solitudine come innesco di decine e decine di sentimenti diversi. I suoi intensi lavori ci mostrano la sua poetica, uno stile lento e sospeso, crudo nel silenzio e nella particolarizzazione ambientale, amatore del tempo, delle energie ribelli, delle amare rassicurazioni. Ambrogio, il suo debutto alla regia con Enrico Brignano, Roberto Citran e Anita Ekberg, narra di una donna decisa a realizzare l'ambizione di un lavoro prettamente maschile. Il suo capolavoro indiscusso, La mia generazione, con Silvio Orlando, Francesca Neri, il prediletto Claudio Amendola, Stefano Accorsi, Anna Melato e Arnaldo Ninchi, narra di un terrorista italiano che percorre l'Italia da Sud a Nord per approdare al carcere di San Vittore, a detta della Polizia che lo preleva, "per incontrare la propria ragazza". In realtà non sarà così. Un film che rappresenta il suo stile intenso, molto dettagliato, gentile con la psicologia dei personaggi.
Colta documentarista, inoltre, collabora con personalità come Ettore Scola, Mario Monicelli, Gabriele Salvatores, Franco Gilardi, Gillo Pontecorvo.
Tutto è equilibrato nel mondo di Wilma Labate, che si impone a livello europeo come colta rappresentante del nostro cinema.
Chantal Akerman (1950-2015)
Battezzata dall'influenza di Pierrot le fou di Godard, Chantal Akerman si impone sulla scena con uno stile sperimentale, nel quale si intravede l'influenza di Bresson, Ozu e dello stesso Godard. Infatti, le sue inquadrature sono fisse e precise, pochi dialoghi, atmosfere sospese, tempi dilatati, lente carrellate che assorbono lo spettatore. Fin dal suo primo lavoro, il cortometraggio Saute ma ville, una tragedia clownesca in cui la protagonista (lei stessa) facendo esplodere il forno di casa causa l'esplosione della città intera, manifesta una tendenza comune a tutti i suoi progetti: indaga tematiche identitarie, politiche, sessuali e religiose per approdare ad un drammatico esistenzialismo e lo fa attraverso storie di personaggi abitanti del disincanto, distaccati ed emotivamente trattenuti. Forti sono i richiami alla memoria, alla mancanza, al desiderio, alla sospensione del tempo e dello spazio nelle sue opere. Un cinema, il suo, fortemente unico e contemporaneo.
Kathryn Bigelow (1951)
Il suo The Hurt Locker, tra le varie candidature, fu il primo a vincerlo l'Oscar per la miglior regia ad una donna. Katrhyn Bigelow nasce come pittrice e la cosa si evince molto nelle inquadrature dei suoi film, basti pensare a The Loveless, ispirato alla pitture di Hopper, per capire quanto la portata visiva di Bigelow sia un elemento di natura autonoma e riconoscibile. Dopo il successo di alcuni film indipendenti, approda ad Hollywood consacrata da Il buio si avvicina. Un horror. E non un semplice horror, ma una narrazione bizzarra e frammentaria che diventa un cult del genere, nonostante compaia in un momento in cui i numeri di riscontro sono bassi. Oscilla tra visioni di stile oniriche e indagini psicologiche per poi scegliere la guerra come centro del conflitto umano sull'esistenza. E lo fa guadagnando all'improvviso un enorme terreno e attirando l'attenzione per la visione femminile di una tematica fortemente maschilizzata, affidando la propria voce registica a personaggi come Maya, giovane ufficiale della CIA che agisce contro Bin Laden nel film Zero Dark Thirty.
Jane Campion (1954)
Molti sono i riconoscimenti che Jane Campion ottiene come regista di fama internazionale. Molti, troppi, le attribuiscono un successo oppresso da dinamiche maschiliste e produttive del cinema, eppure i suoi film parlano per lei. Basta cercare. I suoi film rappresentano la vita di donne, celebri e non, che si muovono in ambienti oppressi e imparano ad agire "da uomini", ma in maniera sana. I testi e i dettagli dei suoi film sono originali e brillanti, i sentimenti che narra - anche nelle storie d'amore - hanno sempre un tocco di aspra disillusione, non sfociando mai nel romanticismo. Lezioni di piano è certamente il suo capolavoro, per il quale vince l'Oscar alla migliore sceneggiatura e la candidatura al miglior film, proclamandosi così come la regista con più candidature agli Oscar mai avute. Il film è la storia di un triangolo amoroso, che si svolge in una sontuosa e raffinata ambientazione ottocentesca, in cui uno dei lati del triangolo è un uomo che frequenta la popolazione indigena maori. Questo film basta a descrivere l'originalità e il tocco di Jane Campion, che propone tematiche semplici e le rende uniche e originali. Ritratto di signora, con Nicole Kidman e John Malkovich, Holy Smoke - Fuoco Sacro ,con Harvey Keitel, Bright Star, con Abbie Cornish, Ben Whishaw, Paul Schneider, Kerry Fox, Edie Martin, Thomas Brodie-Sangster, Il potere del cane, miglior regia agli Oscar 2021, schiaffeggiano lo spettatore con registri altalenanti e storie perfette, armonie stilistiche ed espedienti mai scontati; per non parlare di In the Cut, un ritorno sulle scene attraverso il quale rilancia sugli schermi Meg Ryan, in un una discutissima storia di degrado, pregna di nudo e sesso esplicito, criticata ai massimi livelli ma sempre pronta ad imporre la stellare presenza della Campion nella nostra storia.
Cristina Comencini (1956)
Prendi un personaggio che interpreta una persona comune e smascheralo, rivela i suoi segreti, le sue emozioni e pulsioni nascoste, le sue ambiguità che lo rendono profondamente e dannatamente umano. E' questo ciò che fa Cristina Comencini all'interno della sua opera e lo fa in modo visionario, con scelte mai scontate, con le tematiche più disturbanti e richiamando i pensieri più puri e al contempo scomodi che lo spettatore, di norma, tende ad allontanare, per ricongiungervisi attraverso film come Il più bel giorno della mia vita, Va' dove ti porta il cuore, La bestia nel cuore. L'indimenticabile Virna Lisi brilla nelle pellicole della Comencini, che ha diretto, fra i tanti: Mariangela Melato, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Valeria Moriconi, Valérie Kaprisky, Fabrizio Bentivoglio, Carlo Cecchi, Giovanna Mezzogiorno, Margherita Buy, Isabella Ferrari, Micaela Ramazzotti, Paola Cortellesi, Claudia Pandolfi.
Francesca Archibugi (1960)
Brillante e riconosciuta regista è Francesca Archibugi, madre di pellicole come Mignon è partita, Il grande cocomero, La pazza gioia, Gli sdraiati, Il colibrì è la splendida recente serie tv La storia. Considerata una delle maggiori registe italiane, la Archibugi ha ad oggi uno stile riconoscibile, delle scelte coerenti con una visione univoca e concentrata sull'esplorazione del mondo emotivo di giovani e bambini, sulle dinamiche familiari, sentimentali, psichiche, tutte inquadrate in ambientazioni ben precise, che provocano e ricavano il meglio e il peggio dai personaggi. Importante sceneggiatrice, ricava dalla letteratura spunti di storie senza tempo e le rielabora con originalità e punti di vista suggestivi, cogliendo sempre i tempi giusti nelle scegliere le argomentazioni da selezionare, in base alle urgenze del momento in cui le elabora.
La Archibugi vanta esperienze come attrice, tra cui la partecipazione in La caduta degli angeli ribelli di Marco Tullio Giordana, e ha diretto stelle del cinema come Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli, Sandrine Bonnaire, Sergio Castellitto, Laura Betti, Pierfrancesco Favino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Giancarlo Giannini, Vittoria Puccini e tanti altri. Numerose le candidature e le vittorie ai maggiori premi italiani, la conferma di pellicole la cui lucentezza parla da sé.
Roberta Torre (1962)
Qualcuno ha detto (finalmente) musical? Roberta Torre è considerata caposaldo del musical-sceneggiata, amata e criticata per i suoi lavori di distorsione del reale mediante il mezzo del fantastico. Questo perché le storie che seleziona sono cronache nere che, accadute o meno, riguardano la realtà di tutti i giorni e la regista le rivisita con sarcasmo, con rifacimenti musicali, con espedienti onirici e suggestivi, donando un gusto unico e originale. Tano da morire, ad esempio, è la storia di un mafioso di Palermo ucciso dai corleonesi che si suppone agisca dall'Aldilà per impedire il matrimonio della sorella. Una satira piena di gags, farcita da brani di Nino D'Angelo rivisitati in musical, che non idolatra né denuncia, ma percula! Poi c'è Sud Side Story, in cui già il titolo lascia intuire gli esiti della visione; un musical con Mario Merola e Little Tony ispirato a Giulietta e Romeo di Shakespeare. Successivamente, stupisce in maniera diversa lo spettatore cambiando completamente rotta: dal drammatico Angela, Donatella Finocchiaro e Andrea Di Stefano, passando per il noir Mare nero, con Luigi Lo Cascio e Anna Mouglalis, e la serie tutta al femminile, Extravergine, Roberta Torre è pronta a stupire non lasciandosi mai definire, facendo si che sia la novità il suo unico tratto distintivo. E a noi piace così.
Paola Randi (1970)
Prima di approdare al cinema, Paola Randi lavora per 12 anni in organizzazioni non profit a favore del ruolo delle donne nel panorama economico. Nel 1996, insieme a Chiara Sforni, Federico Parenti e Federica Santambrogio, fonda e dirige, fino al 2000, TTR trimestrale sul teatro e le arti visive, da cui nasce un Festival Internazionale di Teatro di Ricerca a Milano, in collaborazione con le maggiori istituzioni culturali italiane e internazionali. Partecipa al Talent Campus della Berlinale 2004, che vanta docenti come Ken Loach, Mike Leigh, Stephen Frears, Anthony Minghella, Walter Murch, Alan Parker; inoltre, segue il seminario di Werner Herzog, alla Scuola Holden di Torino. Dal 2003 si dedica solo al cinema. Scrive e dirige video, progetti di animazione, cortometraggi, tra cui Giulietta della spazzatura con Valerio Mastandrea e La Madonna della frutta con Isabella Ragonese. Esordisce nel lungometraggio con Into Paradiso con Gianfelice Imparato, Peppe Servillo, Saman Anthony, ottenendo subito quattro nomination ai David. Il suo secondo lungo, Tito e gli alieni, di nuovo con Mastandrea, è una commedia surreale italiana, ambientata in Nevada. Con il sequel de La befana vien di notte II, dirige Serena Rossi in una commedia sulla storia di una donna single, regista teatrale, soddisfatta della propria vita sconvolta da una notizia assurda: l'Arcangelo Gabriele le comunica che presto sarà madre e avrà un bambino. Ma Paola Randi non si limita ad arricchire il nostro cinema con opere dal respiro internazionale e surreale. Ha tenuto lezioni al CSC di Roma, alla Oxford University, all'Università di Roma Tor Vergata, alla Wake Forest University, alla Roma Film Academy; insegna alla Griffith e alla RUFA.
Sofia Coppola (1971)
Nessuna presentazione per Sofia Coppola, che gioca con la macchina da presa già ad un anno di età e lo fa sul set de Il Padrino, accanto a suo padre, partecipando anche negli altri film della saga come attrice. La regista si impone, però, con uno stile personalissimo e riconoscibile, pregno degli anni '70 e delle sue esperienze nel mondo del design, del videoclip e della televisione. La sua personalità filmica mantiene sempre il passo coi tempi e rappresenta le moderne suggestioni delle epoche coeve. Il risultato è un immaginario riconoscibile, fiabesco, elegante e racchiuso in confezioni di racconti iconici. Dal primo lungo, Vergini suicide, passando per Lost in Traslation e Maria Antonietta, ci regala favole moderne e sospese, seducenti realtà al limite di una straniante raffinatezza che sa disturbare e inculcarsi nella visione dello spettatore e culla la visione con continui riferimenti cinefili e musicali, dagli anni '50 in poi.
Patty Jenkins (1971)
Dopo il successo di Monster Patty Jenkins si consacra a Wonder Woman e il suo film, Wonder Woman, diventa il maggior incasso diretto da una donna, superando il record detenuto da Mamma Mia! Patty Jenkis intinge nel femminismo altre sfumature tematiche. In Monster, ad esempio, cerca di far si che il giudizio dello spettatore dinanzi alle vicende di una serial killer sia libero dalla sempre maggiorata influenza che ha il sesso del colpevole. In questo caso, colpevole donna. Inutile fingere che molti criminali del cinema siano idolatrati e super fighi; per la Jenkins, non solo la cosa è sbagliata, ma è sbagliata a prescindere dal sesso. La comprensione del personaggio, se avviene, deve esistere per il suo vissuto. Nessun canone estetico che eserciti fascinazione effimera. Neanche e soprattutto se la criminale è donna. Anche in Wonder Woman, la costruzione della narrazione si libera di alcuni stereotipi e suggestioni antifemministe, realizzando un manifesto preciso di ricreazione dell'immaginario comune.
Ava Duvernay (1972)
E' la prima regista afro-americana a vincere diversi premi: miglior regia al Sudance Film Festival, con Middle of Nowhere, la prima a ricevere una candidatura come miglior regista ai Golden Globes e per il miglior film agli Oscar, nonché la prima donna afro-americana a dirigere un fantasy Disney, con Nelle Pieghe del Tempo. Da premiata professionista del marketing pubblicitario e giornalista, Ava Duvernay si consacra al cinema riempiendo i propri progetti di suggestioni documentaristiche e cronistiche, tanto che spesso la finzione non le è stata perdonata, come in Selma - La Strada per la Libertà. Le scelte che compie non seguono una caratterizzazione di tipologia, ma narrano quanto per lei è necessario. This is the life, documentario con cui debutta, è la storia del movimento Good Life Cafe di Los Angeles; I will follow, è la storia, liberamente tratta, dalla vita di sua zia, alla quale fu diagnosticato un cancro e della quale Ava si prese cura fino alla fine; Selma racconta la vita di Martin Luther King Jr., Lyndon Johnson e della marcia del 1965 da Selma a Montgomery. Con i suoi film ha spaccato i botteghini e le classifiche, spaziando tra diversi generi e tematiche. Ha all'attivo più di 100 titoli nell'ambito della promozione, fra piccolo e grande schermo, lavorando per Steven Spielberg, Clint Eastwood, Michael Mann, Bill Condon, Robert Rodriguez, Kevin Smith e molti altri.
Maura Delpero (1975)
L'acclamato Vermiglio è un fenomeno indiscusso in questo momento, selezionato per la corsa agli Oscar ha ottenuto due riconoscimenti a Venezia, consacrando così Maura Delpero nel panorama cinematografico internazionale. In realtà, il suo lavoro era già più che in circolazione. Hogar, lungometraggio di finzione di coproduzione italo-argentina, è uno dei dieci selezionati per la Script Station della Berlinale 2015; vince la Menzione al Miglior Progetto e il premio ARTE Festival de San Sebastián, ed è stato presentato con il titolo Maternal al Locarno Film Festival, dove ha vinto quattro premi. È stato selezionato in più di settanta festival internazionali. Nel 2020 Kering e il Festival di Cannes assegnano alla Delpero il Women in Motion Young Talent Award.
In Vermiglio, la regista narra la storia di una famiglia del Trentino, che esiste l'ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale. Perfetta e giusta la scelta del patriarca Cesare, uomo che controlla e gestisce la famiglia di donne attraverso le dinamiche comunitarie e sociali dell'epoca, ma soprattutto, uomo non violento. Questo è fondamentale per rendere alla perfezione i meccanismi che creano la prigionia della figura della donna, perché la violenza spesso fa sì che un'intera cultura sbagliata venga presa sotto gamba, attraverso l'alibi di atteggiamenti giustamente più gravi. Dolori e riflessioni dignitose, vissute in silenzio, senza alcuna tirannia che sconvolge l'equilibrio di una fiaba antica ma attuale, che pone l'attenzione anche sulla comunità, sulla vita semplice, in bilico su un sottilissimo filo di speranza. La guerra non irrompe, nessuna granata uccide qualcuno o spazza via il vissuto della famiglia. Piuttosto è una continua minaccia che condiziona e che muove i fili di destini sconosciuti che cercano di autodeterminarsi, ponendo luce sulla violenza silente dell'incomunicabilità e della prigionia sociale. Un film necessario per la nostra attualità, sempre più difficile da afferrare.
Alice Rohrwacher (1981)
Torniamo in Italia per dire che Alice Rohrwcher la si riconosce già dalle locandine e dai titoli dei suoi film, che promettono una fiaba delle meraviglie, come suggerisce già il suo nome. Si affaccia da subito, fin dagli esordi, timidamente al cinema internazionale. Con Corpo celeste racconta di una bambina svizzera che ritorna a Reggio-Calabria, con sua madre e sua sorella, e viaggia per un ambiente degradato e pregno di cattolicismo, il tipico cattolicismo direi. Già da questa storia, si evincono le scelte che la Rohrwacher manterrà come proprio tratto distintivo: favole sognanti, ambientate ad oggi, ma rese stranamente inverosimili dai contrasti che per la nostra cultura sono ancora fortissimi da tollerare. Silenzi, sospensioni, occhi di realtà progredite che sviscerano ambienti tradizionalisti e bigotti, non privi però di fascino, non privi di impressioni. Il mondo pop, il progresso moderno, che si insinua in luoghi non pronti ad accoglierlo e ne squarcia le convinzioni, le protezioni, ne innesca i cambiamenti e i cedimenti alle pulsioni e alla libertà. Così accade in Le meraviglie, storia di una famiglia patriarcale che vive in un casale all'insegna di ritmi scanditi dalle pratiche agricole, e viene sconvolta dall'arrivo di un ragazzo in affido e di una troupe televisiva, come ci fosse un giovane Fellini alle prese con la visione del circo. Sarà un caso che l'adolescente inquieta che vuole fuggire dal casale si chiami Gelsomina? Poi in Lazzaro Felice, miglior sceneggiatura a Cannes, la regista pesca una famiglia di mezzadri che lavorano per la marchesa Alfonsina De Luna, unica donna che conosce il mondo al di fuori della sua tenuta e che si guarda bene dal farlo conoscere ai propri mezzadri, trattati ancora come in un feudo. Il problema è che nel mondo ci sono già i cellulari e gli anni '90. Tutto cambia quando Lazzaro, contadino che non conosce neanche le proprie origini genitoriali ma che è comunque felice di vivere e Tancredi, figlio della marchesa annoiato dalla visita in tenuta, in cui non può neanche utilizzare il cellulare, stringono amicizia. I risvolti degli scontri delle due realtà, potete immaginarli o assolutamente viverli, se non l'avete già fatto. Approdiamo, infine, a La chimera, pluripremiato film inserito tra i cinque migliori film stranieri dalla National Board of Review del 2023, la storia di tombaroli che si guadagnano da vivere scovando tesori etruschi a Tuscia, territorio in provincia di Viterbo che mantiene il suo nome etrusco di secoli e secoli fa. Il mondo di Alice è un mondo solo suo, eppure difficilmente qualcuno riesce a far capire il nostro di mondo attraverso una visione così unica e poetica.
Chloé Zhao (1982)
Nata a Pechino, Chloé Zhao si appassiona da subito della cultura occidentale, infatti a soli 15 anni riesce già a studiare in un college di Londra. Il suo primo progetto, al di fuori del cinema indipendente, è Eternals, prodotto dai Marvel Studios. I suoi lavori indipendenti, però, sono ad oggi il suo punto di forza. Basti pensare al grandioso Nomadland, con protagonista la straordinaria Frances McDormand, col quale la Zhao vince l'Oscar per la miglior regia e per il miglior film. Vince, inoltre, per lo stesso film il Leone d'Oro, il Golden Globe, il British Academy Film Awards e il Directors Guild of America Award, diventando la seconda donna - e la prima di origine asiatica - a vincere la categoria ad ogni premiazione. Le tematiche dei suoi film sono incentrate sulle storie di persone normali, in differenti ambientazioni, che lottano per qualcosa, che tentano di sopravvivere. E lo fa sviscerando le emozioni degli stessi, senza ricorrere a sentimentalismi. La figura della donna viene indagata da personaggi che si impongono con forza maschile, che ricorrono alla freddezza e all'introspezione; viceversa, la Zhao dipinge personaggi maschili che si arrendono all'emotività e che dimostrano di convivere alla perferzione con la parte di loro che cede a sentimenti e insicurezze.
Greta Gerwig (1983)
Dopo la prolifica formazione nel cinema indipendente, Greta Gerwing invade i nostri schermi con Lady Bird, Piccole donne e Barbie, pellicole che non hanno più bisogno di presentazione. Attrice, sceneggiatrice e regista, dona da subito una personalità precisa, con delle idee immediatamente riconoscibili. Lady Bird è il ritratto dell'adolescenza della Gerwig, che subito ci fa comprendere la sua visione e il suo modo di raccontare: humor, dolcezza, forza. La stessa gentilezza e vivacità la trasporta in un grande classico, una sfida visto che la sua è la settima trasposizione. Piccole donne è il simbolo di un femminismo moderno, inquadrato in un'epoca che tira le briglie, permettendo di focalizzare bene gli aspetti ideologici del femminile. Il personaggio di Jo, per cui sceglie nuovamente Saoirse Ronan, ci rimanda al proprio racconto di sé, in un personaggio nel quale si sentiva identificata probabilmente già durante la sua adolescenza a Sacramento, la sua città natale. La sua esperienza e la sua produzione, che vantano una precisa fattezza in cui tutto funziona, cinematograficamente parlando, fa il suo salto sovversivo con Barbie, che sconvolge la sua arte-tipo, con un blockbuster da capogiro. La Grewig si appropria di un personaggio iconico della cultura pop, giocando in maniera geniale sul modo in cui le bambine e le donne giocano e proiettano i propri sentimenti femminili nella visione della propria esistenza.
Emerald Fennell (1985)
Attrice in pellicole di successo, come Albert Nobbs, Anna Karenina, The Danish Girl e la serie The Crown, la pluripremiata Emerald Fennell salta alla regia producendo un gran boato al suo atterraggio. Basta scegliere Saltburn per comprendere le sue intenzioni. Un omaggio alla british comedy degli anni '60 e al tanto agognato over acting, la pellicola narra la storia di un divario sociale, sovvertendo tutti i canoni estetici e ideologici della dicotomia aristocrazia-plebe, che sopravvive oggi nelle nostre forme. Sceglie l'ambientazione di una tenuta, rendendola una sorta di magico castello agli occhi di uno dei due protagonisti, Oliver (Barry Keoghan), studente che accede ad Oxford tramite una borsa di studio. Il ragazzo stringe un rapporto col ricco e incompreso Felix (Jacob Elordi), intavolando una tematica classica di amicizia nel divario sociale. In poco tempo, però, tutto si sconvolge. Un thriller gotico, inquietante, disturbante, provocatorio, sovversivo, che richiama l'ambientazione di Burton e stravolge le dinamiche sociali. Un film unico del suo genere, che conferma quanto predetto con l'esordio di Una donna promettente, in cui la Fennell rappresenta l'attualissimo tema dello stupro con l'originale idea di far fingere alla protagonista di essere ubriaca per dimostrare come ogni uomo che si avvicini voglia possederla con la forza. Il tutto sempre farcito dalla scelta di una chiave dark e da esiti inaspettati e fortemente creativi.
Amiche e amici, la mia impegnata rassegna sul mondo registico femminile deve concludersi per uno sforo (già molto prolisso) della vostra soglia attenzionale.
Voglio comunque lasciarvi con altri nomi che, per evidenti esigenze di spazi, non ho potuto approfondire con voi: Kinuyo Tanaka, Julja Solnceva, Barbara Loden, Sarah Maldoror, Claudia Weill, Margarethe Von Trotta, Lizzie Borden, Euzhan Palcy, Marta Mészaros, Julie Dash, Claire Denis, Lucrecia Martel, Ann Hui, Céline Sciamma, Rakhshan Benietemad, Andrea Arnoch, Susanne Bier, Nadine Labaki, Vivian Qu.
Scrivetemi, poi, se sono riuscita nel mio intento con questo articolo.
L'arte è un mestiere difficile e io sono sicura che, per ognuna di queste donne - soprattutto quelle in quest'ultimo elenco - non è stato facile per niente sgomitare. Guardare per credere. Che i nomi femminili non vadano sbandierati in quanto tali, ma in quanto nomi capaci e intrisi di contenuti artistici di livello. Come tutti gli altri. Rendiamo giustizia, sempre.
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