Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Non so se la mia definizione di cinema introspettivo sia più personale che tecnica: film di qualsiasi genere possono indurre lo spettatore a riflettere particolarmente su se stesso o su determinati aspetti della vita. Per la stesura di questo articolo, dunque, ho scelto film che scuotono l'inconscio semplicemente in maniera più viscerale e sospesa, film in cui il concetto di spazio-tempo è dilatato e a volte difficile da afferrare. Molti sono legati a strutture più aleatorie e oniriche; altri sono basati su strutture canoniche ma ugualmente efficaci.
E' indubbio che una trama ben delineata sposti l'attenzione sull'evento, mentre una trama meno tracciata spinga ad attenzionare pensieri e dialoghi, per cogliere il senso di quanto si sta svolgendo sullo schermo. Quando poi le immagini sono tracciate da uno stile unico e da una bellezza compositiva come pochi riescono a creare, allora il cinema introspettivo diventa pura poesia d'animo e, i suoi film, diamanti incastonati nella nicchia degli intoccabili. Puri pezzi inediti da approcciare con i guanti e da non commentare con leggerezza. Oggi, per necessità "evolutive" sembrano prestarsi sempre di più ai linguaggi di fruizione moderna: molti dei film da me riportati in questo viaggio non sarebbero eseguibili in questo momento, a causa della bassa soglia d'attenzione di uno spettatore-consumatore che non esige nulla dall'audiovisivo.
Ad ogni modo, dispongo le mie scelte in ordine di creazione.
Non è stato facile selezionare determinati film e dividere l'articolo in due parti: 160 è il numero della mia lista di partenza. Follia! (non per chi mi conosce).
Molti della cernita che ho, ovviamente, dovuto eseguire, sono film del mio cuore. In generale, ho scelto anche in base alle tematiche trattate.
Buona discesa in profondità.
Capolavoro espressionista di Robert Wiene, considerato il manifesto della corrente, nonché il primo film horror della storia. Possiamo tranquillamente segnalare quanto il genere della pellicola sia ambiguo come la sua trama: l'orrore si mischia al noir e al thriller psicologico, il tutto condito con una visibile ambientazione gotica e una maniera di giocare con scenografie, luce e atmosfera, che inquadra l'opera nel cinema d'autore. Uno dei migliori mai esistiti. La storia è onirica e conturbante. A raccontarla è Francis, giovane di Holstenwall, piccola cittadina in cui approda il Dottor Caligari. L'uomo è un ipnotizzatore che svolge delle esibizioni col sonnambulo Cesare in un luna park.
Quest'ultimo viene presentato dal Dottore come un uomo che predice il futuro e l'approdo dei due personaggi, successivamente al quale iniziano ad accadere una serie di inquietanti omicidi, induce Francis a pensare che non sia un caso. Francis crede che il Dottore induca Cesare a compiere i delitti. La pellicole procede con lucidi intrecci ricchi di suspance ma, all'improvviso, il finale capovolge completamente gli eventi, gettando lo spettatore in crisi. Ciò che ha visto potrebbe essere invenzione della mente malata di Francis, un espediente narrativo per noi oggi scontato, ma che nasce con questo film e condizionerà l'intera narrativa cinematografica per sempre.
Come trascina Il Gabinetto del Dottor Caligari nelle profonde retrovie dell'inconscio, interpretazioni che negli anni ci hanno letto autoritarismo politico, tematiche legate alla manipolazione e all'obbedienza, la paranoia e l'inquietudine generata dall'instabilità? Attraverso l'atmosfera sognante, distorta da ombre scure e giochi di luce, scenografie deformate e interpretazioni teatralmente esagerate. In poche parole, creando un ambientazione irreale.
Potentissima pietra miliare dell'immaginario cinematografico, Il settimo sigillo ha consacrato Ingmar Bergman a livello mondiale e ha diffuso il linguaggio introspettivo tipico dei suoi film, divenuti tesori di unicità e riflessione. Il cavaliere Antonius Block rientra dalle crociate in compagnia del suo fedele scudiero. Sulla via del ritorno incontra la Morte e, per temporeggiare l'arrivo della fine, decide di sfidarla a scacchi mettendo in palio proprio la sua vita. Una scena cult omaggiata da allora e per sempre. Block è tormentato da quanto vissuto in guerra, da quel momento del XIII secolo svedese in cui il terrore, il fanatismo religioso, la peste e la devastazione gli riempiono la testa di dubbi e perplessità circa l'esistenza di Dio e il senso della vita. Da una parte, anche attraverso l'utilizzo di altri personaggi come i flagellanti e una ragazza bruciata sul rogo per l'accusa di stregoneria, c'è il mondo che esegue guerre per Dio e al contempo ne implora l'intervento divino per la salvezza; dall'altra parte c'è Block che ne sottolinea l'ambiguità e la contraddizione mortifera. Nonostante il macrotema del film sia proprio quello della fede e del rapporto tra l'uomo e Dio, Bergman contrappone a quesiti sulla morte di inesistente risposta, la forza della vita e del suo significato, praticamente personificata da una famiglia di saltimbanchi. Essi, semplici individui pacifici e uniti nei loro valori spirituali e umani, daranno speranza e valore all'esistenza, al punto che Block si sacrificherà per la loro sopravvivenza.
Un film sull'orrore che, nonostante tutto, non scalfisce la capacità di trovare la luce.
Consacrazione internazionale per Akira Kurosawa, Rashomon è un film che affronta le debolezze, le pulsioni e le ipocrisie tipiche dell'essere umano, ad un livello in cui esse non sono semplici difetti o errori di percorso, ma profonde inclinazioni autodistruttive dell'individuo.
Un taglialegna, un prete e un cittadino discutono su un fatto di cronaca avvenuto qualche giorno prima: l'omicidio di un samurai. Il prete e il taglialegna vengono convocati in tribunale in quanto il primo aveva visto il samurai viaggiare attraverso il bosco con sua moglie e il secondo ne aveva rinvenuto il cadavere. In tribunale, un altro uomo si presenta con un bandito che dichiara essere l'assassino del samurai. L'unica cosa certa che si evince da tutte le testimonianze è la violenza sessuale ai danni della donna, ammessa anche dallo stesso bandito; sulla morte del samurai, il quale spirito viene interrogato attraverso la convocazione di un medium, le versioni sono sempre discordanti. Non s'arriva al dunque: il samurai potrebbe essere morto per onorare la moglie a duello, per essersi ucciso in seguito al disonore, morto per mano della moglie che non sa se effettivamente sia la colpevole, perché rinviene il cadavere colpito dal suo pugnale dopo essere caduta in uno stato di incoscienza...ogni versione differisce in base a come l'immagine del testimone appare in epilogo, rivelando infinite possibilità celate nel lato oscuro dell'umanità, che contiene squallore, convenienza, ipocrisia, omertà, violenza, misoginia, egoismo, tornaconto e vigliaccheria. Il tutto evidentemente visibile attraverso una grande cortina di menzogne, resa magistralmente da immagini vivide, silenzi di immersione profonda nella natura circostante che esalta maggiormente il contrasto con quella umana, accompagnata da chiaroscuri pittoreschi che sottolineano il dramma di un'epoca che nella disperazione del postguerra riesce sempre ad esprimere il peggio della verità umana. Il samurai stesso, anche da morto, mente pur di difendere un onore "degradato" da una moglie violentata.
Mastodontico film della storia del cinema, Vertigo: la donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, racchiude alla perfezione l'autorialità e le tematiche predilette dell'artista senza tempo, generatore di dettami assoluti ai quali i posteri si rifanno anche - come spesso accade - senza accorgersene.
John Ferguson, "Scottie", inizia a soffrire di vertigini dopo un incidente sul lavoro. Decide così di lasciare la polizia e accetta la richiesta d'aiuto di un amico, Galvin Elster. L'uomo gli chiede di sorvegliare la moglie, Madeleine, la quale manifesta stati di incoscienza in cui sembra posseduta dallo spirito di Carlotta Valdes, donna morta suicida nel secolo precedente. Ferguson si innamora di lei e nasce tra i due una storia d'amore. Sfortunatamente, non riuscirà a salvare Madeleine durante un ennesimo stato di incoscienza: la donna si getta da un campanile e Ferguson, a causa di un attacco di vertigini, non riuscirà ad impedirlo. L'evento squarcia il già delicato equilibrio mentale dell'ex poliziotto il quale, dopo un periodo di riabilitazione, incontra Judy, sosia della perduta Madeleine. Ferguson cerca di trasformarla nell'amante perduta, in maniera ossessiva, trascinando la vicenda in un epilogo tragico. Nella scoperta, in particolare, di essere stato ingannato dall'amante stessa e dal suo amico.
Indugiare sulla creazione stilistica hitchcockiana sarebbe inutile, mi limito a sottolineare l'elemento analitico principale del film, che riguarda il tema dell'identità. Quella perduta di Ferguson e quella doppia di Madeleine/Judy, scarnificata inoltre dallo spirito di Carlotta Valdes, nonché di Elster con le sue macchinazioni. Il lento incubo contemplativo di Vertigo destabilizza e angoscia, ci trascina anche nella questione del trauma, della fobia, dell'ambiguità umana che non viene sciolta dai personaggi, proprio per creare una trasposizione fedele a quella reale. Vertigo è l'esistenza in bilico tra vita e morte o, propriamente, tra amore e morte, le due forze trainanti dell'esistenza: una salvifica e una distruttiva. La vertigine, in particolare, è un elemento che sposa una parte della perdita d'equilibrio che è anche attraente: il salto nel vuoto come enorme rischio e irresistibile svolta.
Due anni dopo Hiroshima, mon amour, Alain Resnais concepisce L'anno scorso a Marienbad, un film di straordinaria bellezza.
In questo racconto, Resnais non dilata il tempo ma lo schiaccia, in un unico grande e sontuoso ambiente. Un grand hotel fastoso, barocco, elegante, pieno di colonne e marmi, persone ricche e altolocate, rigidamente incastonate nelle regole ferree della buona società. Un uomo percorre le stanze di questo luogo sospeso e ci porta alla scoperta delle consuetudini delle classi, mostrando personaggi come intrappolati in una dimensione ultraterrena, in un'atmosfera oggi più che mai senza tempo. All'improvviso incappa in una donna e si sofferma di continuo su di lei. Sembra un corteggiatore comunemente rapito finché, parlandole, rivela di conoscerla. In particolare di aver avuto una storia con lei l'anno precedente a Marienbad. I due si sono amati ma lei, a quanto pare, non ne ha memoria.
Dopo una lunga e dettagliata ricostruzione del passato, la promessa di un futuro libero, di un avvenire migliore, la donna - che all'inizio prende come un gioco quella strana situazione - inizia a credere che quei ricordi appartengano anche a lei. Prima rifiuta l'idea, si spaventa, si irrigidisce; ma l'uomo è sempre più convincente, sicuro, impavido, irresistibile. La follia diventa reale, il mare di confusione si asciuga e rivela un'esistenza altra ma presente, alla quale la donna cede. Le rivelazioni sono, spesso, tutt'altro che rassicuranti, ma la donna cede alla memoria rivisitata e si lancia con lui in un futuro che sembra promessa d'amore e bellezza incessante e, al contempo, pericoloso presagio di nefandezza.
Un film sull'amore e sul ricordo, sulla confusione di una memoria che si plasma e si lascia plasmare, dagli altri e da noi stessi. Dai nostri sogni futuri o dai nostri traumi passati, dai fantasmi di necessità insoddisfatte e dalle sbarre di invisibili prigioni, tanto più pericolose di quelle tangibili.
Difficile scriverne eppure mistico tentare, nonostante ci abbia scritto una tesi su Federico Fellini, accostarsi al genio di un inconscio reso universale è pauroso ed eccitante. Otto e mezzo è un film in cui tutto si compie, un sogno altrui in cui possiamo vivere e sentirci esseri umani e esseri fiabeschi, al contempo. uno dei film in cui la contrazione temporale in un'unica dimensione è riuscita alla perfezione, dove la verità della memoria e di quanto esista per sempre nel qui ed ora, è espressa al meglio e senza disturbo.
Un viaggio certamente autobiografico in cui tutti ci identifichiamo, perché Fellini dà sempre voce a quella parte inconscia celata dal soffocamento schematico e sociale di qualsiasi epoca, rendendolo sempre attuale.
Guido è un regista stanco e annoiato. Qualsiasi cosa lo riguardi non lo stimola, né lo entusiasma. I rapporti con la moglie, con gli amici, col suo produttore, persino quello con l'amante, il cui ruolo è di norma personificazione dell'evasione, sono scialbi luoghi in cui non si riconosce. Il suo lavoro né risente con l'assenza di ispirazione e con l'accumulo di fantasie inconsce, scansate a morte dalla produzione e quindi ossessivamente represse da Guido. Il quadro è costellato dai fantasmi della memoria, tanto presenti e ricorrenti perché frutto dell'espressione del disagio di chi tormentano, un passato da cui si fugge e si impara, una nostalgia che si scansa e si benedice. Gli indimenticabili caratteri felliniani si susseguono in un caos ordinato alla maniera del sogno che, in quanto tale, viene interpretato e per ogni interpretazione è giusto.
Guido fa costruire un'impalcatura per un film e non sa neanché a cosa gli servirà. L'unica cosa certa è la sfilata di tutti i personaggi che avviene lì, nella ciclica danza circense che è quella che ci ruota in testa, diretta da noi come registi e da Guido come Caronte del nostro viaggio introspettivo di spettatori.
Dell'immenso regista dell'incomunicabilità, Michelangelo Antonioni, scelgo Persona come secchio di un pozzo di film introspettivi e unici.
Elizabeth Vogler, durante una rappresentazione teatrale dell'Elettra, si blocca improvvisamente, impadronita dalla voglia ingestibile di ridere. In seguito a quest'episodio, si chiude in un patologico mutismo. Il ricovero in clinica non rivela problematiche fisiche come l'afasia, ma una cosciente scelta di non parlare più. La dottoressa responsabile delle sue cure decide di affiancare ad Elizabeth una giovane e inesperta infermiera personale, Alma, e le suggerisce un periodo di riposo nel totale isolamento in una casa a mare. Durante il soggiorno, il silenzio di Elizabeth perdura; Alma, invece, trova in lei una perfetta interlocutrice e si apre molto, al punto da ammirare completamente la donna, ritenendo il suo silenzio una potentissima forma di autoaffermazione ed emancipazione. Alma si abbandona ad importanti confessioni e ai racconti di traumi indicibili, come una violenza sessuale di gruppo a suo danno; queste confessioni si sovrappongono a segreti che ugualmente Elizabeth dimostra di nascondere, come quello della sua maternità indesiderata. Elizabeth non riesce a parlarne, a differenza di Alma, ma ciò non impedisce il reciproco riconoscersi e anche confondersi, all'interno di due destini diversi solo in forma. La magia/stregoneria del loro legame si interrompe quando Alma scopre che Elizabeth ha raccontato quanto da lei confessato in una lettera. L'infermiera l'aggredisce e poi se ne pente, ripristinando il suo ruolo distaccato e professionale. Le due si separeranno al termine del periodo di isolamento e l'incomunicabilità si scioglie all'interno di un silenzio che, senza rompersi, non ha quantomeno vanificato la comprensione della complessità dei muri del dolore.
Il maestro surrealista Luis Bunuel è sicuramente uno dei registi più introspettivi della storia; scegliere Il fascino discreto della borghesia tra le sue opere è solo uno dei modi per dimostrarlo.
La pellicola altro non è che una smascherata epocale degli intrighi borghesi: sei membri dell'alta borghesia pranzano insieme, o meglio, tentano di farlo. Di continuo, un ostacolo impedisce loro di mangiare. Sbagliano data della festa, qualcuno muore improvvisamente all'interno del ristorante dove si svolge l'evento, un reparto di soldati irrompe nel luogo per un'esercitazione. Addirittura in uno dei tentativi, il ristorante è in realtà il palco di un teatro, con cibo di plastica e una platea che fischia perché gli attori non conoscono la parte. Un vescovo spara all'assassino dei suoi genitori, terroristi sconvolgono la quiete, tutte situazioni che si rivelano, poi, essere sogni di uno dei personaggi principali e tutti i sogni che si susseguono all'interno di quelli precedenti, in una lunga catena di disturbi che fanno perdere anche allo spettatore il senso e il punto focale del racconto. Ciò che incalza è il desiderio della festa e del cibo generato dall'attesa e l'incontrovertibile capacità dei borghesi di abbandonare il loro "buon costume", a prescindere dalla gravità della situazione che li tormenta. Le maniere nobili, la compostezza e l'ipocrisia di volti che celano le più alterate condizioni psichiche non vengono mai allentati dai personaggi. E nonostante ciò il regista riesce, proprio attraverso il mantenimento costante della loro condizione, a farci cogliere la vera natura dei personaggi.
Il peggior incubo, dunque, diventa proprio quello di non conoscere la propria parte dinanzi agli altri, in una delle più eleganti e mistiche forme di rappresentazione introspettiva del reale.
Esordio del regista del sogno, David Lynch, inarrivabile maestro dell'inconscio che mette in scena un incubo gigantesco. La storia, come ogni sogno, è difficile da decifrare eppure manifesta la verità come poche cose di nesso logico riescono a fare. Realizzato agli albori della sua vita come regista, durante un difficile periodo economico e di trapasso ulteriormente smosso dall'arrivo della sua primogenita, Lynch esprime l'incertezza e la paura attraverso una serie di sogni messi insieme. Il personaggio stesso, Eraserhead, "Testa di gomma", è una persona svuotata dalla città nebulosa in cui vive, da una relazione indesiderata forzata dall'arrivo di un figlio, per di più daeforme. La verità, la salvezza a cui aspira, quella che non può raggiungere ma può solo contemplare, è celata dietro al termosifone di casa sua, che rivela un palco con una donna, personificazione dello spirito di un luogo di possibilità e giustizia. Quel palco, contenitore di insicurezze concretizzate nell'incapacità di agire artisticamente, nella compressione della creatività a causa dei problemi della propria vita, è insieme luogo di speranza e meta irragiungibile. Non resta che disfarsi della cosa che maggiormente impedisce il proseguimento di una vita per come la si vuole: il bambino. La gonfia rappresentazione di ciò che non possiamo controllare, del punto di svolta personale più alto, della misura maggiore che l'essere umano può sperimentare di se stesso, divenire responsabile di altri e decidere per loro e per se stessi senza distruggerli, il vincolo maggiore. Ma ciò non basterà. Perché nonostante tutto, nonostante gli eventi, nonostante gli amori, il lavoro e i figli, quando l'inconscio è una prigione, le sbarre sono in testa. Ed Eraserhead ce lo dimostra sul finale.
Un gioiello di inestimabile valore.
E come non includere il visionario Stanley Kubrick, maestro della ricerca e delle visioni, che con il suo Eyes Wide Shut analizza l'uomo in base al tempo perduto: quello delle emozioni represse e delle frustrazioni personali.
Bill e Alice, una bellissima coppia dell'alta borghesia, nasconde ipocriti segreti esistenziali come è oramai di affermata consuetudine storico-sociale. L'elemento distintivo del viaggio è che esso non riguarda la coppia, ma il singolo. I due vivono nella propria dimensione, nel proprio passato, nelle proprie ambizioni represse, nelle proprie pulsioni e nelle proprie gelosie e l'unica cosa che fanno insieme - e involontariamente - è guardare in faccia lo sfacelo della propria relazione che era già visibile mentre veniva ignorato. Lo squilibrio di questa coppia viene spogliato e liberato come un corpo nudo, che fa dell'erotismo lo strumento di emancipazione e rivisitazione delle abitudinarie e inevitabili dinamiche di relazioni consolidate, dai segreti e dalle noie.
Ogni magnifico quadro onirico che compone le scene può essere letto a se e darci spunti di riflessione, in una parabola travolgente il cui epilogo - che sembre essere un richiamo costante durante tutta la narrazione - viene stravolto: ciò che sembra il desiderio maggiora di Bill alla fine del suo viaggio perde completamente valore. L'uomo non tradirà sua moglie. Il fatto classico che lancia, interrompe, sconvolge, scopre gli altarini di una relazione, non si realizzerà, destandoci da un torpore in cui per tutta la durata del film ci assopiamo trasognati. Il desiderio è meglio dell'oggetto desiderato e la mente è più potente della pulsione sessuale.
Dalla penna dell'immenso Charlie Kaufman, uno degli scrittori capostipite di film introspettivi, Spike Jonze dirige Essere John Malkovich, una storia che esplora un'altra dimensione in cui è possibile sperimentare una doppia esistenza: quella di burattinaio e quella di burattino.
Craig è un burattinaio che affronta un periodo di crisi economica. Sua moglie Lotte lo spinge a travarsi un altro lavoro, uno vero e remunerativo. Craig, sfruttando la propria abilità, trova l'impiego dal dottor Lester, come archivista in un'azienda. Si innamora di una collega e cerca in tutti i modi di conquistarla. Il mondo ordinario viene, però, stravolto da una scoperta: Craig incappa in un passaggio segreto nascosto nel suo ufficio, che lo catapulta immediatamente nella mente dell'attore John Malkovich. Confessa il tutto alle "sue" due donne: la collega sfrutta la cosa ideando un tour a pagamento; Lotte, invece, intende scoprire a fondo il mondo appena scoperto e se ne lascia ossessionare, al punto di credere di avere un'identità transessuale. Lotte e la collega di Craig, Maxine, vivono una vita diversa in John Malkovich, fino al punto di stravolgere la propria e di non riconoscerla più. Craig le perderà entrambe, in quanto diventeranno attratte reciprocamente ma vivendo attraverso Malkovich. Tutto si evolve nuovamente quando l'attore si renderà conto di essere controllato da qualcosa, o qualcuno, e scoprirà tutto. Entra egli stesso nella sua testa per venirne espulso e completamente controllato dagli altri personaggi. In particolare Craig che lo utilizza per ottenere ciò che ha sempre voluto e ciò che ha perduto, verso l'epilogo di un finale ancora più inaspettato.
Questa pazzesca storia allucinante si incentra sui labili confini della personalità, sullo sfruttamento delle debolezze che spesso siamo noi stessi ad alimentare, sulla manipolazione e sul soggiogamento. In particolare, su quanto a volte queste ultime siano estremamente collegate, nonostante le crediamo spesso facce di medaglie diverse.
Nove storie si intrecciano in una giornata a Los Angeles. Due uomini pronti a morire, uno in diretta tv perché incapace di mollare il proprio pubblico - che è la sua famiglia - e la tv - che è la sua casa - e il secondo in casa, con sua moglie dai nervi a pezzi e in attesa di un figlio, un guru del machismo, che l'ha rinnegato. Poi c'è un poliziotto alle prese con una ragazza cocainomane, un ex bambino prodigio dei quiz rovinato dalla fama precoce e un bambino che sta per fare la stessa fine. Personaggi petali della Magnolia, in realtà nome di un viale della San Ferdinando Valley in cui è ambientato il film. La mente direttrice del film, il grande Paul Thomas Anderson, si affaccia a quella che sarà la sua consacrazione, con un film corale legato da un singolo tema: la fuga dalle proprie origini che macchiano per sempre la propria esistenza, attraverso i mezzi più disparati: tv, droga, antidepressivi, carriere improbabili. Il fil rouge è la solitudine che contraddistingue tutti i personaggi, il senso di inadeguatezza e abbandono esorcizzato in modi diversi. L'improbabile epilogo, un'iconica pioggia di rane, l'unico evento surreale rispetto alle realtà facilmente ravvisabili nel quotidiano - seppur esagerate con stile - sembra volerci dire che siamo tutti comunque accomunati dal nostro esistere. Ci sentiamo soli, abbandonati, siamo in fuga da ciò che ci tormenta, ma viviamo nella stessa città, nello stesso giorno, sotto lo stesso cielo in cui tutto può accadere. Anche una pioggia di rane. E' questo che spezza una catena individualista di sofferenze e che ci riporta alla verità del nostro essere umani.
Capolavoro di Tim Burton, genio di mondi fantastici, Big fish è la storia di un conflitto tra padre e figlio che rivela - attraverso il fantastico - la possibilità di vivere una vita all'insegna dell'immaginazione. Una magia che risolve anche i problemi più profondi e i distacchi più gravi.
Will fugge da un padre che racconta frottole in continuazione, un uomo che sembra non voler affrontare la vita, anteponendo alle prese di posizione necessarie al suo svolgimento, fantasie assurde e pazzesche. Edward, però, un giorno si ammala gravemente. Suo figlio corre al suo capezzale e inizia a fare l'unica cosa che gli resta: ripercorrere la vita di quell'uomo e cercare di carpirne quanta più verità possibile. E così, tra incontri con streghe e giganti, circhi di anni e uomini-lupi, guerre e conquiste amorose, Will capisce quanto sino a quel momento ignorava: suo padre era vissuto conciliando alla perfezione realtà e fantasia, colmando con l'immaginazione i terreni più frastagliati del mondo che abitava e riuscendo a trovare risposte laddove le domande ponevano quesiti impossibili da affrontare.
Ad ormai un passo dalla morte, Edward decide di voler continuare fino al possibile a disegnare la propria storia e chiede a Will l'unica cosa che non potrà raccontare: la sua fine. Will allora gli narra di una fuga spettacolare dall'ospedale verso un fiume, dove l'attendono tutti i personaggi della sua vita. E così sarà, al funerale di Edward: l'uomo è morto in pace, avendo ottenuto la comprensione del figlio e alla cerimonia tutti i personaggi di cui aveva sempre narrato l'uomo si presentano - in maniera certamente molto meno fantasiosa da quella con cui erano stati descritti - alle esequie. Un'ennesima conferma per Will e una grande celebrazione per un uomo incompreso.
Al di là della bellezza dell'immaginario, Big fish espone un realtà che non ha solo a che fare con l'elemento salvifico dell'immaginazione: tutti noi creiamo delle immagini, più o meno fantasiose, delle persone con cui ci rapportiamo. Immagini di chi non capiamo, di chi odiamo, di chi ci fa soffrire o di chi ci fa bene. Tutto è filtrato, spesso, dal nostro mondo e dalle nostre esperienze. E tutti quelli che possono dire di sopperire alla realtà con l'immaginazione, vera e propria, riescono a percepire il mondo con più verità, senza l'ostacolo del razionale.
Dalla penna di Charlie Kaufman, Michel Gondry dirige una delle storie d'amore più indimenticabili del cinema. Joel e Clementine si incontrano su una spiaggia di New York e, lungo il tragitto in treno per Rockville Center, iniziano a tessere la tela della loro relazione. Ciò che non sanno è che, fino a qualche giorno prima, si conoscevano già. Avevano avuto una storia di due anni finita male e l'avevano completamente rimossa dalla loro mente rivolgendosi alla clinica Lacuna, diretta dal dottor Howard Mierzwiak.
La storia è sezionata in scene che richiamano la scomposizione effettiva dei ricordi in memoria e ci mostra un elemento essenziale: nonostante la buona riuscita della cancellazione (più problematica per Joel che alla fine si pente e la ostacola fortemente), i due si incontrano nuovamente, nella scena dell'inizio del film. Troveranno entrambi il materiale prodotto da Lacuna, nastri registrati dei due che confessano le motivazioni della fine della relazione (tutto ciò che, reciprocamente non tollerano dell'altro) e decideranno di proseguire con la loro conoscenza. Nonostante tutto.
Questa storia inedita ha posto l'attenzione sulla conservazione del dolore, seppur profondo. Sull'esaltazione di quanto conserva e dona di positivo, a prescindere dalla sofferenza. E sull'inevitabilità del destino, la possibile esistenza di un piano superiore a cui è inutile sottrarsi. Come inutile è, certamente, schivare il dolore invece che accoglierlo e trasformarlo.
Scritto e diretto da Charlie Kaufman, Anomalisa è uno stop-motion sull'idealizzazione dei rapporti, sul modo in cui percepiamo le persone e sull'azione che esse hanno nello svolgimento della nostra esistenza. Michael Store è un celebre oratore che tiene una conferenza per un suo acclamato best seller. Nonostante il modo in cui ci viene presentato, l'uomo è infelice e stressato; inoltre, soffre di una patologia: vede tutte le persone, conosciute e non, con un volto simile e tutte hanno la stessa voce maschile.
In seguito all'evento del best seller sente una voce, un'unica e prima voce diversa, femminile. Appartiene a Lisa, la donna di cui si invaghisce e sceglie di conquistare per rincorrere perdutamente la sua voce. Deciso a divorziare e concluso il suo intento di conquista, Michael cambia improvvisamente idea durante una cena con Lisa. Inizia a notare cose di lei che lo infastidiscono e, piano piano, la voce di lei inizia a mutare nella solita voce maschile e il suo volto comincia a perdere di unicità.
La delusione fa sì che rovini la conferenza e il suo rientro a casa, deludendo moglie e figlio, amici e familiari che lo hanno accolto con una festa a sorpresa. Michael si accinge a proseguire la sua solita infelice vita mentre inaspettatamente Lisa si lascia ispirare dall'esperienza vissuta con lui. Cambia il rapporto con se stessa e vuole tornare a vederlo.
C'è un particolare che capovolge la lettura di tutto il film: l'hotel in cui Michael si reca per la conferenza. E' il Fregoli Hotel, che prende il nome da Leopoldo Fregoli, grande imitatore e trasformista mondiale. Al suo nome è legata una sindrome che fa sentire, il paziente che ne soffre, perseguitato da una singola persona, il cui volto è visto su tutti coloro che lo circondano.
Le duplici chiavi di lettura non negano, però, una stessa matrice: i legami non hanno solo dettami irrazionali e le leggi dell'attrazione non sono solo universali, ma anche nostre e quindi soggette alle nostre esperienze.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.