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Analisi a cura di...
~ CLAUDIA LAZZARI
Quanto sappiamo dei mali del mondo?
Ma, soprattutto, quanto c'importa dei mali del mondo? Soffriamo per ciò a cui siamo costantemente esposti mediaticamente o soffriamo per qualcosa che realmente conosciamo, qualcosa di cui realmente abbiamo ben più di una percezione?
In un momento storico in cui, come si dice spesso, "non si capisce più nulla", ci sarebbe bisogno di chiarezza. Chiarezza, trasparenza. Termini inflazionati per dare una giusta impressione sulla loro esistenza. Ma giusto per darne l'impressione. Ad aumentare sono solo normative di trasparenza che, di fatto, ai piani alti si eludono con mezzi inimmaginabili, mentre i popoli vengono mossi come pedine, spesso incapaci di scindere notizie vere da quelle false. O di capire realmente la portata delle notizie vere.
C'è spazio, nella frenesia delle nostre vite, nel buco nero in cui il sistema iperproduttivo ci spinge, per la storia? Per la società? Per la comunità? Per far parte della vita civile e spostarne gli aghi della bilancia, visto che ci riguarda? Sì. E dico sì, perché deve esserci. Perché ognuno di noi, a questo punto della storia, dovrebbe sacrificare una moltitudine di cose che non crediamo sacrificabili, per cercare di comprendere l'epoca in cui viviamo. La storia è sempre stata fatta di sangue e povertà. E' cambiata solo la sua immagine. La sua estetica.
E' proprio così: anche il sociale vive di immagini. E noi artisti dell'immagine abbiamo una responsabilità molto grande: centrare la verità storica con immagini che non patteggino con piani politici, ma con piani empatici, umani. Come artista e persona che tenta tutti i giorni di essere attiva nel sociale, come umana profondamente attenta alle dinamiche social e mediali, dico che spero che l'attenzione che il mondo stia finalmente dando a questioni non idiote, non sia l'ennesima moda lanciata dalla pressione passiva di informazioni a cui siamo sottoposti.
Spero che le persone e, perché no, anche chi non conoscesse minimamente alcun spaccato di storia mediorientale e sia sceso in piazza, abbiano aperto gli occhi su ciò che i popoli spesso dimenticano: il mondo tende all'autodistruzione, finché le coscienze sono morte. Se anche una persona sulla faccia della terra, dopo i prodotti skin care e l'ultimo modello di un'auto sportiva, scrollasse tra pagine politiche sociali e - meglio ancora - libri ed interventi di esperti, allora quest'apertura del mondo verso un'ala del suo spazio dimenticata, non sarà stata vana. Non sarà stata una moda.
Il cinema, più di tantissime altre cose, ha il potere di raccontare e trasmettere conoscenze profonde, perché il "diletto", la bellezza, sono insegnanti poco esigenti e si fanno ascoltare con molta più facilità. L'arte è una delle poche cose prodotte dall'essere umano, che ci accomuna e ci rende identici, nonostante le profonde diversità delle nostre vite. Ci aiuta a riconoscerci come umani, ad emozionarci per vicende che non sono le nostre, nelle quali spesso non possiamo neanche identificarci, per vissuti completamente diversi. Eppure siamo lì. Scegliamo di usufruirne. E dopo la visione di un'opera d'arte, conserviamo qualcosa di nuovo.
Qualcosa di nuovo che non è altro che qualcosa di vissuto e stravissuto così tanto, da non riconoscerlo più. Un nuovo in realtà vecchio. Esperito. Cose che non ricordiamo più di essere.
Come essere umani, per esempio.
Su Gaza non voglio dire cose dette e stradette o parlare di cose di cui non posso parlare. Voglio solo dire: informatevi sul mondo, cercate sempre di capire in che punto della storia siamo e da che parte della storia siamo. Scegliete affinché non si ripetano mai orrori che oggi distruggono qualcun altro, ma che domani potrebbero distruggere te. Tua madre. Tuo figlio.
Perché ogni posto del mondo è anche nostro, perché se c'è una cosa che ci accomuna agli altri paesi è il potere che cerca di decidere per noi. E ci sacrifica, come fossimo il nulla più totale. Perché se una fetta di mondo viene intrappolata nella morte, allora tutte le altre fette devono liberarla. Perché siamo tutti esseri accomunati dallo stesso destino, dagli stessi motivi di gioia e - soprattutto - dagli stessi motivi di dolore.
Siamo parte di un sistema, di tanti sistemi. L'unico modo per essere consapevoli del nostro mondo, quello che anche noi nel nostro piccolo facciamo girare, è conoscerne gli eventi. E' scegliere. E' essere liberi. E la libertà può essere tolta, ai giorni nostri, in modi subdoli, che spesso non riusciamo a riconoscere.
Scegliete la conoscenza. Scegliete l'arte, sempre. Gente che parla non per politica, ma per umanità. E qui, sulla questione che oggi più di tutte ha smosso il mondo come non lo si vedeva scosso da tempo in situazioni simili, voglio segnalarvi delle parole figlie di immagini molto importanti. Di storie di vita che ci fanno capire quanto "i paesi" siano confini labili. Che tutto il mondo è nostro. Che tutto il mondo siamo noi.
Munich (2005) - Steven Spielberg che racconta dell'eccidio degli atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco '72. In particolare, il regista si concentra sull'operazione "Ira di Dio", per scovare i responsabili dell'attentato, ponendo l'attenzione sul tema dell'inutilità della vendetta, sull'ambiguità che anche senza volerlo nasce sempre sugli schieramenti, per poi esaurirsi sull'esaurimento delle differenze tra i due gruppi contrapposti. Bene e male, ragione e torto, inizio e fine, non esistono in questo racconto: in una guerra non c'è giustizia, c'è punto di vista e solo sconfitta.
Valzer con Bashir (2008) - Il doloroso viaggio animato nella memoria di Ari Forman. Coraggiosissimo film antimilitarista sull'eccidio di Sabra e Shatila. Ari, ex fante dell'esercito israeliano, cerca di ricordare cosa è successo durante le tragiche giornate della vicenda svoltasi in Libano, mentre serviva per il suo paese, indagando spaccati del passato e del presente coevo.
Il Giardino dei Limoni (2008) - Eran Riklis ci dona forse il punto di vista in cui maggiormente lo spettatore può proiettarsi: una vedova palestinese si confronta legalmente col Ministero della Difesa Israeliano "a causa" di un limoneto posseduto dalla donna sul confine cisgiordano. Lei vive nel suo limoneto. Lui costruirà lì una villa e la cosa potrebbe rappresentare un pericolo per la sua incolumità. Un limoneto come simbolo di storia, appartenenza, famiglia, memoria, che si trova in un punto indistinto della terra in cui, per meccanismi storici che si susseguono in catene di errori infinite, non può più stare. Un piccolo simbolo che assume la potenza di un'esistenza intera e comune. Perché alla fine le cose, anche queste cose, sono sempre semplici.
Lebanon (2009) - Samuel Maoz ambienta questa storia durante la prima guerra in Libano, completamente su di un carrarmato. L'incubo del combattimento da parte di chi lotta e rischia di morire ogni nanosecondo della propria vita, la sofferenza di chi è chiamato a combattere per guerre di potere di cui neanche beneficerà, un ritmo magistrale dall'emotività strabordante, che scava nella profondità prima umana e poi storica della vicenda.
Paradise Now (2005) - Pluripremiata pellicola del regista palestinese Hany Abu-Assad, sull'ideologia degli attentatori suicidi. La forte storia di due amici palestinesi, Said e Khaled, reclutati per compiere gli attacchi suicidi terroristici su Tel Aviv. Il film è ambientato sugli ultimi giorni precedenti alla loro ipotetica morte, sul credo del "sacrificio supremo", e sui dubbi che presto iniziano ad impossessarsi di Khaled, sottolineando la differenza "ideologica" di un Said che invece è molto convinto. La tematica non esclude il focus sulla disperazione del popolo palestinese, attenzionando l'evidenza che le posizione estreme, difficili da comprendere, sono molto spesso figlie di un dolore e di un avvilimento così impensabili da non poter essere - appunto - compresi da tutti.
Il figlio dell'altra (2012) - Diretto da Mehdi Dehbi e Lorraine Lévy, il film racconta la storia di due bambini, uno ebreo e l’altro musulmano, che, nati al confine tra Israele e Palestina, vengono scambiati per errore alla nascita. Quando i due crescono, si scopre che Joseph non è ebreo e Yacine non è musulmano, un evento che spinge innanzitutto le famiglie a doversi interrogare sulla propria identità e ad interfacciarsi con la realtà dell'inesistenza dei confini religiosi. I due nuclei si ritrovano a dover, necessariamente, dialogare, combattendo la paura e la diffidenza, ammettendo la totale uguaglianza della loro esistenza.
Fauda (2015) - Serie di quattro stagioni interpretata da Lior Raiz, attore che ha fatto davvero parte delle forze militari di Tel Aviv, che segue con ampio respiro la rivalità israelo-palestinese. Una serie che, vista oggi, si rivela profetica per quanto riguarda la piega presa dal conflitto negli ultimi anni.
No Other Land (2024) - Poche parole necessarie per il capolavoro di Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal, Rachel Szor, recente manifesto artistico e documentaristico sulle azioni di Israele sui territori della Cisgiordania. Attraverso la storia di amicizia tra l'attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuval, il film mostra le condizioni del popolo palestinese mediante registrazioni degli ultimi anni che mostrano momenti di vita quotidiana della popolazione bombardata. Il documentario non manca di riferimenti al passato, collegamenti che accendono i riflettori sugli albori del conflitto e sulle concatenazioni storiche che hanno portato poi all'attacco del 7 ottobre, momento a ridosso del quale le riprese sono state concluse. Un prezioso regalo per la memoria storica e artistica che stiamo vivendo.
E che la storia che stiamo vivendo diventi un punto di svolta, una rinascita globale, la speranza di un mondo migliore. La credenza che possa esistere un mondo migliore. E che il mondo non si auto migliori senza la nostra responsabilità.
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