Dialogo - Barbie e Ken da \"Barbie\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Barbie

Il film Barbie (2023), diretto da Greta Gerwig, parte da un’idea apparentemente semplice e pop: Barbie vive a Barbieland, un mondo perfetto, pieno di colori pastello, routine impeccabili, sorrisi eterni e case dei sogni. Tutte le Barbie sono donne di successo: ci sono Barbie astronauta, giudice della Corte Suprema, chirurga, premio Nobel, presidentessa. I Ken? Sono accessori decorativi. Presenti, ma marginali.

La protagonista è Stereotypical Barbie, interpretata da Margot Robbie. È la Barbie “classica”, quella bionda con il sorriso fisso e la vita perfetta. Un giorno, però, qualcosa si incrina: inizia ad avere pensieri di morte, si sveglia con l’alito cattivo, i piedi piatti, si sente fuori posto. Per capire cosa le sta succedendo, si rivolge a Weird Barbie (Kate McKinnon), una sorta di sciamana disfunzionale, che le consiglia di entrare nel mondo reale per trovare la bambina che ci sta giocando: perché qualcosa nella realtà sta interferendo con il suo mondo.

Barbie finisce a Los Angeles insieme a Ken (Ryan Gosling), che la segue senza invito. Qui succedono due cose importanti: Barbie scopre che il mondo reale non è come Barbieland — le donne non comandano, anzi, spesso sono oggetto di sessismo e controllo. Ken, invece, si sente finalmente visto. Scopre il concetto di patriarcato e se ne innamora. Quando tornano a Barbieland, Ken porta con sé il patriarcato e lo instaura come nuovo ordine sociale: cavalli ovunque, birra, TV a schermo gigante e Barbie ridotte a ruoli di supporto. A questo punto, Barbie — disorientata e sfiduciata — deve decidere chi è, e cosa vuole essere. Qui entra in gioco il monologo di Gloria (America Ferrera), che è uno dei punti centrali del film, ma ci torno in un’altra analisi perché merita un approfondimento tutto suo. La trama si chiude con un ribaltamento: le Barbie riconquistano Barbieland, ma soprattutto Barbie (quella stereotipata) decide di non tornare a essere una bambola perfetta. Vuole essere umana, con tutto il caos e la libertà che comporta.

Il dialogo

Barbie: Margot Robbie

Ken: Ryan Gosling

Barbie: Ken, è tutto a posto?

Ken: Si, assolutamente.

Barbie: Va bene se piangi, ho pianto anch’io. In effetti è sorprendente.

Ken: Sono un uomo liberato, so che piangere non è da deboli. (Piangere)

Barbie: Vuoi sederti un momento?

Ken: si siede. Questo è… è stata dura comandare.Non mi è piaciuto. 

Barbie: Ti capisco. 

Ken: E quei mini-frigo sono così piccoli. C’è entra solo un pacco da sei birre, e i freezer sono praticamente inutili. A essere sincero quando ho scoperto che il Patriarcato non riguardava i cavalli avevo già perso interesse…

Barbie: Va bene così.

Ken: Pensavo a questa come la nostra casa.

Barbie: Ohhh… 

Ken: piagnucola.

Barbie: Ken… credo di doverti delle scuse.

Ken: E’?

Barbie: Mi dispiace averti dato per scontato. Non tutte le sere dovevano essere tra donne.

Ken: Grazie di averlo detto. Grazie. 

Ken prova a baciare Barbie.

Barbie: OOh.. non intendevo…

Ken: Io non so chi sono senza di te.

Barbie: Tu sei Ken.

Ken: Ma è Barbie E Kan. Non esiste da solo Ken. Per questo sono stato creato. Io esisto soltanto… nel calore del tuo sguardo. Senza quello… sono solo un biondo qualsiasi che non sa fare le ribaltate. 

Barbie: Può darsi che sia il momento di scoprire chi è davvero Ken. +

Ken: Ok, credo di aver capito.

Ken Prova a baciare Barbie.

Barbie: No, nonno, questa non è la risposta. 

Ken: si schiaffeggia da solo.

Ken: Mi sento così stupido. Sono così stupido. Sono così… stupido. 

Barbie: Ok, Ken. Devi cercare di capire chi sei senza di me.

Ken: Perché?

Barbie: Non sei la tua ragazza, non sei la tua casa, non sei la tua pelliccia…

Ken: La spiaggia…?

Barbie: No, non sei neanche la spiaggia. Forse tutte le cose che pensavi che ti definissero non sono davvero… te. Forse c’è… Barbie e…. C’è Ken. 

Ken: Ken… sono… io?

Barbie: Si!

Ken: Ken sono io!

Barbie: E io sono Barbie…

Ken: Ken… SONO IO!

Analisi dialogo

Questo dialogo tra Barbie e Ken è uno dei momenti più sinceri e intensi del film Barbie (2023), perché affronta in modo diretto — ma senza perdere ironia — il tema dell’identità maschile dentro (e fuori) una cultura che ha sempre messo al centro l'immagine femminile “ideale”... per gli altri. Greta Gerwig qui prende Ken, un personaggio nato come accessorio di plastica, e lo trasforma in un ragazzo disorientato, in cerca di un posto nel mondo. Ma soprattutto in cerca di un . Il dialogo è scritto con grande cura: è comico e tenero, pieno di fraintendimenti e battute, ma ogni riga porta con sé una riflessione profonda su dipendenza affettiva, ruolo sociale e senso del proprio valore.

Quando questo dialogo ha luogo, Ken è già passato attraverso la sua “fase oscura”: ha importato il patriarcato a Barbieland, ha preso il potere, ha messo su un culto del maschio alfa fatto di cavalli, birra, pellicce e mini-frigo. Ma tutto questo non lo ha reso felice. Al contrario: lo ha esaurito. E ora è lì, davanti a Barbie, svuotato, ferito e (per la prima volta) pronto a riconoscere che il suo problema non è Barbie… ma l’idea che ha costruito intorno a sé stesso per essere notato da lei.

“È stata dura comandare. Non mi è piaciuto.”

Ken inizia a spogliarsi del ruolo che ha indossato con tanta ostentazione. Ammette che la leadership imposta, quella che si è preso per affermarsi, non gli ha dato pace. È stanco, perché ha recitato una parte. Un riferimento esplicito a tutte le mascolinità che si costruiscono sull’idea di dominio per sentirsi riconosciute. A essere sincero, quando ho scoperto che il patriarcato non riguardava i cavalli…”

Qui Gerwig spara una delle sue cartucce migliori: una battuta demenziale che in realtà riassume perfettamente l’equivoco culturale in cui Ken è caduto. Pensava che il potere fosse qualcosa di visivo, estetico, spettacolare. Ma il patriarcato — quello reale — non è fatto di cavalli e birre. È fatto di esclusione, sopraffazione e fragilità mascherata. E lui, appena lo capisce, perde interesse.

“Pensavo a questa come la nostra casa.” Una frase semplice ci dice tutto del modo in cui Ken ha confuso l’affetto con il possesso. Non aveva un’identità propria, quindi si è aggrappato a Barbie. Ha fatto della sua attenzione l’unico riflesso in cui riconoscersi. “Mi dispiace averti dato per scontato.” Barbie si prende le sue responsabilità. Non perché abbia “sbagliato” a non amarlo, ma perché non ha mai considerato Ken come qualcuno che potesse esistere indipendentemente da lei. Questa è una mossa narrativa potente: non si tratta di metterli insieme, ma di riconoscere l’altro come soggetto, non come figura secondaria o decorativa.

“Io non so chi sono senza di te.” Ecco il nocciolo della crisi di Ken. È letteralmente stato creato “per Barbie”. Ma ora che il mondo fittizio si è rotto, deve affrontare una domanda che vale per tutti: Se non sono il ruolo che ricopro, se non sono lo sguardo che ricevo... chi sono? Ken… sono io?Sì. Questo è il momento della rinascita. È semplice e buffo, ma è esattamente il punto centrale della crescita di Ken. Non è “Ken di Barbie”. È solo Ken. E va bene così. Non ha bisogno di performare, di conquistare, di essere guardato. Deve solo riconoscersi come persona. È una scena che funziona perché non si prende sul serio e lo fa profondamente, allo stesso tempo.

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